Edgar Morin e la complessità, una sfida anche per l'orientamento

Martedì 30 Aprile 2024

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  • 28/3/2024

Edgar Morin e la complessità, una sfida anche per l'orientamento

Edgar Morin, filosofo e sociologo nato a Parigi nel 1921, è uno dei principali teorici della complessità applicata alle scienze umane e all’educazione. Anche nel campo dell’orientamento, la sfida alla complessità impone di valorizzare le diversità, di mettere il soggetto nella condizione di scegliere tra le diverse opzioni in cui impiegare le energie, sempre in base alla sua vocazione. A cura di Laura Fraccalanza, Orientatrice Asnor.

“Il concetto di complessità designa la possibilità di descrivere l'unità (di un sistema, di un ambiente, del mondo, ecc.) ricorrendo alla distinzione fra gli elementi e le relazioni di cui essa si compone”. (Enciclopedia delle scienze sociali - 1992 - di Niklas Luhmann)

“…si è accumulato un immenso sapere sull’umano, sulle sue origini, sulla sua natura, sulle sue complessità. Ma questo sapere è disperso, parcellizzato e compartimentato fra tutte le scienze, e l’impotenza o l’incapacità di riunire questo sapere mantiene un’immensa ignoranza sulla nostra identità”. (E. MORIN, Conoscenza Ignoranza Mistero, Raffaello Cortina editore, Milano, 2018, p.85.).

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Il paradigma della complessità

La parola “complesso” si chiarisce con il suo significato etimologico di complexus, ossia tessuto o tenuto insieme, in grado di connettere i saperi, di cogliere i legami tra i processi e di interrelare i fatti e i fenomeni.

L’aumento della complessità non è un fenomeno gestibile o controllabile; si presta a interpretazioni differenti; richiede una radicale riorganizzazione della struttura del sapere, un continuo adattamento alle novità, e un costante aggiustamento del sistema per renderlo capace di “tenere insieme” e far funzionare bene le diverse componenti.

I cambiamenti relativi a un piccolo segmento possono influenzare il sistema nel suo insieme e viceversa; la ricchezza delle interazioni tra le parti pone una molteplicità di problemi e, in relazione al livello di “complessità sociale” è evidente che la contemporaneità ne attesta un elevato.

La scienza della complessità è un approccio che vede la conoscenza degli elementi individuali insufficiente a caratterizzare le proprietà dell’intero sistema. Nata in seno alla biologia nell’ambito della “teoria generale degli insiemi” elaborata dal Ludwig von Bertalanffy a metà degli anni Trenta del XX secolo, è stata successivamente approfondita dalla cibernetica, dalla fisica e dalla chimica, per estendersi, in seguito, a tutta la conoscenza e caratterizzandosi per l’interdisciplinarietà e l’integrazione dei diversi saperi.

Negli ultimi decenni, la teoria della complessità ha mostrato la propria validità anche per la comprensione delle attuali dinamiche, in cui i moventi economici s’intrecciano all'insieme delle politiche sociali intraprese dagli Stati e ai linguaggi culturali in perenne trasformazione.

Il pensiero complesso di Edgar Morin

Edgar Morin, filosofo e sociologo nato a Parigi nel 1921, è uno dei principali teorici della complessità applicata alle scienze umane e all’educazione. Attraverso i suoi numerosi scritti, Morin ha da tempo avvertito dei pericoli insiti in ogni paradigma che pretenda di comprendere la realtà in forma disgiuntiva e specialistica, incapace di vedere le connessioni profonde che legano le parti di un sistema, di qualsiasi tipo esso sia.

La teoria della complessità approccia infatti la realtà contemporanea dal punto di vista economico ma anche politico, sociale, culturale ecc., in una connessione sempre più stretta tra gli ambiti. Un approccio che tratta olisticamente gli elementi critici dei problemi, da cui derivare possibili soluzioni necessarie alla ricomposizione finale.
Anche quanto concerne il sistema produttivo, i bisogni aumentano e cambiano, e con loro le richieste del mondo del lavoro. Il report “Future of Jobs 2020” del World Economic Forum già nel 2020 aveva delineato le dinamiche in atto e le skills necessarie a competere nel mercato occupazionale dei prossimi anni:

  • automazione e digitalizzazione guideranno il cambiamento;
  • pensiero critico e capacità analitiche, problem solving e autogestione saranno le competenze la cui richiesta sarà in forte espansione nei prossimi anni.

Ma anche l’abilità di operare all’interno di team e di utilizzare e gestire la tecnologia saranno fondamentali:  aumenteranno il lavoro agile, smart e il telelavoro.

In un quadro economico di continua espansione dei mercati, milioni di posti potrebbero essere persi a causa di una diversa gestione del lavoro tra uomo e macchine, mentre stanno emergendo numerose nuove professioni più adatte ai nuovi assetti organizzativi aziendali, sempre più gestiti da coach aziendali.

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Le prospettive per un orientamento funzionale all’attuale complessità

Uno scenario incerto e in parte, imprevedibile: come arginare, ad esempio, i problemi del mismatch tra domanda e offerta?

La nostra visione del futuro, da tempo sottratta alla previsione illuminista delle magnifiche sorti e progressive apre una riflessione cruciale sul possibile, ovvero su ciò che deriverà dalle nostre scelte attuali, e sul limite entro il quale viene a trovarsi l’agire umano.

L’unica soluzione è quella di investire nella capacità di comprendere il futuro. Per gestire un sistema complesso serve un sistema ancor più complesso, un cambio di paradigma aperto alla dialogica tra realizzazione personale, dinamiche sociali, richieste dell’economia.

La tecnologia ci dota degli strumenti attraverso cui disegnare i probabili scenari “leggendo” l’esponenziale trasformazione del mondo del lavoro. Ad esempio, i Big Data potrebbero aiutare i decisori politici e gli analisti sociali ad evidenziare schemi e variabili che altrimenti non saremmo in grado di prevedere e, quindi, a pianificare una strategia integrata di interventi e correttivi.

Anche nel campo dell’orientamento, la sfida alla complessità impone di valorizzare le diversità, di mettere il soggetto nella condizione di scegliere tra le diverse opzioni in cui impiegare le energie, sempre in base alla sua vocazione.

Di fronte ad un mondo del lavoro caratterizzato da continue e repentine trasformazioni di breve periodo, va coltivata l’attitudine a adattarsi ai bisogni, prevedendoli, fornendo conoscenze, ma anche sostenendo la creatività, la comunicazione delle idee e la condivisione delle decisioni.

La propensione al cambiamento non va dunque intesa come mero adattamento alle esigenze dell’economia, ma va interpretata nell’ottica dello sviluppo e delle opportunità individuali; permette all’individuo di ripensare prospettive di formazione, di vita e di occupazione, di elaborare ed integrare, in modo attivo e partecipato, nuovi approcci al mondo ipercomplesso.

Conclusioni

Cavalcare il cambiamento, anziché lasciarsene travolgere; agire progettualmente, anziché prostrarsi a gestire l’esistente con provvedimenti d’urgenza: queste sono le sfide che le strategie attive in tema di orientamento devono cogliere, declinando una  visione politica e amministrativa, ancor prima che a livello operativo.

L’orientamento dovrebbe assumersi la responsabilità di indicare possibili forme di coniugazione dei processi di realizzazione personale con l’espansione dell'orizzonte economico e sociale.
La trasformazione tumultuosa delle prospettive occupazionali è indissociabile da una riforma complessiva dei processi orientativi che eviti una percezione parcellizzata della realtà presente e futura o, peggio, meramente prona alle esigenze del sistema produttivo, e metta al centro suo piano il soggetto nella libera e attiva scelta di (complesso) progetto di vita e di lavoro pensato e realizzato nella logica dell’autonomia e dell’autodeterminazione.

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