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Morte Notarnicola: chi era il bandito "poeta" della banda Cavallero

Morto a 82 anni Sante Notarnicola, rapinatore della banda che terrorizzò Milano e Torino a fine anni '60

23 Marzo 2021

Morte Notarnicola: chi era il bandito "poeta" della banda Cavallero

A quasi 45 anni dalla sua ultima impresa criminale si è spento, oggi, all’età di 82 anni, Sante Notarnicola, il bandito “poeta” della famigerata banda Cavallero, protagonista di 18 rapine in banca costate cinque vite, tra l’8 aprile del ’63 ed il 25 settembre del ’67, nell’area compresa tra Torino e Milano. 

L'infanzia e la gioventù

Notarnicola nasce a Castellaneta, in provincia di Taranto, per essere abbandonato dal padre ancora bambino. Cresce fino a 13 anni in un istituto per l’infanzia per, poi, raggiungere la madre a Torino. Qui inizia a frequentare, come molti ragazzi in quegli anni, i bar di quartiere: proprio in una “piola” di Corso Vercelli diventa amico di operai ed ex partigiani con i quali matura quel senso di rivalsa sociale che lo porterà a compiere rapine ed uccisioni. Proprio nel bar del quartiere periferico “Barriera Milano” nasce la “Banda Cavallero”, “spauracchio” , a fine anni ’60, di banche milanesi e torinesi.

La banda

Accanto a Notarnicola, ex sindacalista, ambulante di fiori e facchino, ci sono il capo Pietro Cavallero, lavoratore saltuario di fede comunista e notevole personalità; Adriano Rovoletto, figlio di un operaio ed apprendista falegname, autista e cassiere della banda; Donato Lopez, per gli amici “Tuccio”, diciassettenne disoccupato, figlio di una famiglia numerosa di immigrati meridionali; ed infine Danilo Crepaldi, che morirà prima di tutti, in un incidente aereo nel lontano 1966, un anno prima che i suoi compagni finiscano in manette. Spinta da velleità politiche leniniste rivoluzionarie, oltre che dai cospicui guadagni, la banda portò a termine ben 18 colpi ma fu proprio l’ultimo, quello al banco di Napoli di Milano, a costare loro più caro.

L'ultima rapina

Il 25 settembre la banda, ormai priva di Crepaldi, tenta la rapina all’agenzia numero 11 della banca partenopea sita in via Zardonai a Milano. Pistola in pugno i rapinatori fuggono con il bottino sulle spalle ma qualcosa va storto: arriva la polizia Rovoletto viene fermato con la refurtiva, 6.750.000 lire. Per i suoi compagni non resta che la fuga.  Saltano su una Fiat 1100 D rubata e scappano tra le vie meneghine sparando all’impazzata. A pagarla sono, soprattutto, i passanti: alle quattro di pomeriggio giacciono sul selciato Virgilio Odoni, fattorino di una cartiera, lo studente diciassettenne Giorgio Grossi e Franco De Rosa, emigrato napoletano colpito a morte all’interno della sua stessa vettura. Ci sono anche una dozzina di feriti, alcuni gravi. I giorni successivi morirà anche Roaldo Piva, un invalido che aveva aiutato la polizia ad arrestare Rovoletto.

L'arresto e l'epilogo

I componenti della banda vengono, comunque, arrestati in un casolare abbandonato qualche giorno dopo. Al processo le condanne sono dure per tutti: tre ergastoli per i maggiorenni mentre Lopez, vista la giovane età, se la cava con 12 e sette mesi. Negli anni di carcere Cavallero si  pentirà della sua vita criminale, avvicinandosi alla pittura ed alla scrittura. Uscirà nel ’88 impegnandosi, per il resto della vita con gli emarginati del Sermig di Torino. Morirà di cancro nel ’97.  Della stessa malattia morirà Rovoletto nel 2015. Di Lopez quello che è risaputo è che per anni ha fatto il benzinaio in corso Giulio Cesare. Notarnicola, dopo la sua scarcerazione  aprirà un bar a Bologna, quello dove ha lavorato sino ad oggi. Cala, così, definitivamente il sipario sui ragazzi della  banda Cavallero, protagonisti sbagliati di un’Italia che non c’è più.

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