Tajani: “La guida dell’Europa spetta ancora a un Popolare. Draghi? Non è iscritto al Ppe” - la Repubblica

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Tajani: “La guida dell’Europa spetta ancora a un Popolare. Draghi? Non è iscritto al Ppe”

Tajani: “La guida dell’Europa spetta ancora a un Popolare. Draghi? Non è iscritto al Ppe”
(ansa)

Colloquio con il ministro degli Esteri: “Il nome non lo decidono Macron o altri, ma il primo partito. È andata così anche nel 2019. Io non sono in campo per quell’incarico”

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Si alza per un attimo dal divanetto sformato di Montecitorio. «Voi continuate a scrivere di Draghi, ma io posso dire questo: non mi pare sia iscritto al Partito popolare europeo. E il Ppe, se il voto di giugno confermerà i sondaggi, non rinuncerà mai a indicare un suo candidato alla presidenza della Commissione. Quindi i popolari non indicheranno mai Draghi». Nulla accade per caso e nulla viene detto per caso, quando si tratta di Antonio Tajani. Il nome dell’ex banchiere centrale continua a circolare forte, fortissimo, tanto più che mezz’ora dopo il colloquio con il ministro degli Esteri un’indiscrezione di Bloomberg – non confermata dall’Eliseo e smentita da Palazzo Chigi – parla di un giro di consultazioni tra leader portato avanti da Emmanuel Macron proprio sulla figura di Draghi. Sapesse o meno di questa circostanza, la linea del leader è comunque assai netta sul punto: «Dovete studiare i trattati, che recitano: “Il Consiglio Ue, tenendo conto dei risultati delle elezioni del Parlamento Ue, propone il candidato”. Se all’esito delle elezioni il Ppe arriverà primo indicherà un proprio nome. Perché il Ppe dovrebbe indicare Draghi? Cosa può dare politicamente in cambio al Ppe?».

In realtà, il meccanismo non è automatico come sostiene Tajani. Nel 2019, per dire, i leader erano a un passo dall’accordo sul socialista Frans Timmermans, anche se il Pse non risultò il primo partito eletto. Lo ricordiamo al ministro degli Esteri, perché tenere conto dell’esito elettorale può anche voler dire raggiungere un compromesso politico, non necessariamente su un popolare: «Ma non è così – ribatte Tajani – perché anche allora Timmermans saltò proprio perché i popolari rivendicarono la scelta. E prevalse Ursula von der Leyen. Ribadisco: il candidato sarà indicato non da Macron o dagli altri, ma dai popolari. A meno che il Ppe non rinunci a questa scelta». E però, è proprio questo il punto: un compromesso politico può far cambiare lo schema di gioco. Ne hanno parlato in pubblico, sollecitati dalla stampa, capi di Stato e di governo come lo stesso Macron e Meloni, che ha aperto cautamente all’opzione Draghi. «Dice? Andatevi a rivedere quello che ha detto». E comunque, sottolinea, «i popolari da molti anni indicano il presidente della Commissione, perché da molti anni arrivano primi». Gli ricordiamo di Romano Prodi, ma Tajani ribatte: «Veniva dai popolari anche lui, e comunque era una figura politica». A dire il vero, archivio alla mano, il Professore era espressione dell’allora Eldr, il partito dei liberali, democratici e riformatori europei.

Tajani, va detto, potrebbe anche uscire dal gioco dei veti incrociati tra fazioni dei popolari tedeschi ed essere scelto per la guida della Commissione. Il diretto interessato, però, continua a respingere questo scenario e assicura: «Io non sono in campo e la mia candidatura non esiste». Il titolare della Farnesina, per il momento, è solo candidato capolista di Forza Italia alle Europee. «Si candidano tutti i leader, potevo non farlo con il rischio di perdere voti?». L’unico a non scendere in campo, tra i capi partito, è in realtà Matteo Salvini. Il leghista, ricordiamo a Tajani, celebrerà a Milano il 25 aprile, presentando un libro nella stessa piazza da cui partirà il corteo per la Liberazione: un azzardo, una provocazione? «Io - risponde l’azzurro - vado alle Fosse Ardeatine».

Dopo un’ora a conversare su un divanetto di Montecitorio di Draghi e Salvini, Ppe e socialisti, fascismo e 25 aprile, Antonio Tajani alza la mano e ferma l’interlocutore: «Abbiamo parlato di antifascismo, Resistenza e Liberazione: come avrà capito, per convinzione personale e per la storia della mia famiglia - che rischiò con i nazisti, che rifiutò di aderire al bando Graziani – io non posso che stare da una parte, senza dubitare, senza tentennare. E da questa parte non potrete che trovarmi, sempre». Non sembra scelta voluta, quella del ministro, ma viene comunque in mente un passaggio di Pietro Calamandrei inciso nell’epigrafe del 1952 per ricordare Duccio Galimberti, rivolta al camerata Kesselring, “su queste strade se vorrai tornare/ ai nostri posti ci ritroverai/ morti e vivi collo stesso impegno / popolo serrato intorno al monumento / che si chiama / ora e sempre / RESISTENZA”. E d’altra parte, come non ricordargli i compagni di strada e di governo di Forza Italia, la censura di Scurati e quella parola, “antifascismo”, che Palazzo Chigi e i fratelli d’Italia continuano a sfumare, sopire, disconoscere, cancellare. «Eh, ragazzi miei...».

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