Iran, la stagione del coraggio - la Repubblica

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Iran, la stagione del coraggio

Il rapper iraniano Toomaj Salehi ora condannato a morte
Il rapper iraniano Toomaj Salehi ora condannato a morte 

La società iraniana è una società di giovani, con una media età di circa 30 anni, largamente inferiore alla nostra

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La condanna a morte da parte del tribunale della rivoluzione del rapper iraniano Toomaj Salehi per i versi a sostegno delle manifestazioni di dissenso è l’ultima brutalitá di cui si ha notizia.

Già nei giorni scorsi, infatti, mentre l’Iran si apprestava a “rispondere“ ad Israele dopo l’attacco al suo Consolato a Damasco, la repressione interna a Teheran conosceva l’ennesimo momento di durezza. Una sorta di pendolo che da tempo caratterizza quel Paese la cui dirigenza oscilla tra momenti di flebile e gelida tolleranza e fasi di furore moral-repressivo.

Nel prevedibile sollievo di tutti, o quasi, per l’arresto della sequenza di azione/reazione militare tra Israele e Iran non sfuggiva al tempo stesso lo spregiudicato metodo iraniano tra azioni militari e modalità di repressione della propria opinione pubblica.

La società iraniana, appunto. Una società di giovani, con una media età di circa 30 anni, largamente inferiore alla nostra. Una popolazione con molte donne coraggiose, alcune al limite del martirio, spesso affiancate dai loro coetanei — come nel caso di Toomaj — nella rivendicazione di diritti umani e civili. Una società che ha prodotto due donne premi Nobel per la pace negli ultimi anni, Shirin Ebadi nel 2003 e Narges Mohammadi lo scorso anno, con quest‘ultima tuttora nel famigerato carcere di Evin.

“Coraggio e cultura”, binomio questo non scontato in altri luoghi e circostanze, ma ancora presente in un Paese che dopo oltre quattro decadi di teocrazia oscurantista mantiene in qualche modo vitale la sua tradizione: nella lingua, nella cultura, nella letteratura e nelle arti. Capace semmai di aggiornarla ancora oggi, grazie anche a quell’inevitabile diaspora (sparsa tra Stati Uniti, Europa, Medio Oriente ed Australia) indotta da un regime ai primi posti — secondo Amnesty International — per esecuzioni capitali, violazione dei diritti umani e privazione di libertà di stampa ed espressione.

Una società vivace e senza leader nelle piazze sin dall’ “Onda verde” delle manifestazioni partite nel 2009 con la contestata rielezione di Ahmadinejad. Proteste riprese in massa nel 2019 per il rincaro dei prezzi del carburante e represse con inaudita violenza; e poi ancora, a partire dal settembre 2022, dopo l’uccisione di Masha Amini arrestata e picchiata a morte dalla polizia perché non indossava correttamente il velo. Una società annichilita ma, al tempo stesso, intimamente vivace. Con una forte identità nazionale ancorché confrontata con numerose minoranze (arabi, azeri, curdi, turcomanni e beluci). Il persiano (farsi) lingua forte e colta diffusasi per questo in passato in varie capitali ( da Kabul a Baghdad) e che seppe resistere all‘arabo — quasi in solitario — ai tempi dell‘islamizzazione della regione.

Un Paese dai più volti, dunque, benché in Occidente si abbia per lo più conoscenza della sua più recente ed oscura fase ma storicamente portatore di una triplice componente: nazionale, laico — socialista (nella breve esperienza di Mossadeq) e religiosa. Quest’ultima nella sua più cupa variante dello sciismo declinato dagli ayatollah e sostenuto dai Pasdaran nella parte militare, nella repressione ed anche attraverso traffici economici. Né furono in qualche modo colti adeguatamente i pur timidi segnali di moderazione e pragmatismo in leader come Khatami e Rouhani in questi ultimi anni.

La complessità delle vicende iraniane imporrà prima o poi una lettura piú profonda. Vuoto strategico peraltro da colmare mentre preme nel breve periodo la necessità di limitarne i suoi influssi nella regione, frutto tra l’altro dello squilibrio provocato dall’esiziale decisione dell’intervento Usa in Iraq nel 2003 e dal ritiro sempre degli Stati Uniti dall’accordo sul programma nucleare nel 2018.

È un Iran verso il quale sarà bene immaginare sia oggi sia domani un approccio a più livelli e, ove possibile, lungimirante. All’inevitabile deterrenza dell’Occidente (ma anche del Golfo) a difesa della linea rossa rappresentata dal programma “nucleare non civile” di Teheran occorrerà tenere presente nel confronto con l’Iran di oggi la sua società civile di domani. Lavorando, quando sarà il momento, per una possibile ancorché lenta ricucitura che vedrebbero con favore non pochi persiani. E nell’auspicio di veder insediarsi un giorno governi privi di quella componente messianica foriera solo di attriti e lutti. Quest’ultimo elemento sarebbe comunque auspicabile che torni ad affermarsi anche dentro un più laicizzato Israele.

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