comunicato 0172/2013 indice news
La tragedia di Ugo Cavallero
“suicidato” da Kesselring
di Aldo A. Mola GdP 17-11-013
70 anni dalla resa incondizionata
Ugo Cavallero: un italiano che non si piegò quando Hitler decideva chi in Italia potesse ancora vivere e chi no. Nel 70° della sua tragica fine, è stato ignorato. Ancora troppo scomodo per tutti. Quando due anni orsono la sua città decise di ricordarlo, insorse la solita associazione, più faziosa che “partigiana” e niente affatto depositaria della verità.
Ugo Cavallero, Maresciallo d’Italia, senatore del regno, morì per un colpo di pistola alla nuca prima dell’alba del 14 settembre 1943, nel giardino dell’Albergo Belvedere a Frascati dopo una cena con il Feldmaresciallo Albert Kesselring. Era nato il 20 settembre 1880 a Casal Monferrato, una plaga di quel Vecchio Piemonte che ha dato tanti militari all’Italia, da Matteo Albertone a Paolo Spingardi, Pietro Badoglio…: un personaggio, quest’ultimo, che lo incrociò con esiti fatali. Badoglio iniziò la carriera in Eritrea; Cavallero nella guerra italo-turca del 1911-1912. Il 9 novembre 1918 Badoglio divenne vicecomandante supremo dell’Esercito nella Grande Guerra. Da capo dell’Ufficio operazioni del Comando Supremo il colonnello Cavallero approntò il piano dell’offensiva finale contro l’Austria-Ungheria. Generale a soli 38 anni, nel 1919 fu inviato alle trattative di pace a Versailles. Senatore dal 1926, da Vittorio Emanuele III nel 1928 fu creato conte, dopo quattro anni di sottosegretario alla Guerra a fianco di Mussolini, titolare del ministero (1925 al 1928) dal 1929 assegnato al generale Pietro Gazzera, di Bene Vagienna. Già direttore centrale della Pirelli dal 1920 al 1925 e dal 1928 presidente dell’Ansaldo (quando Genova era una grande città…), dal 1937 Cavallero comandò le forze italiane nell’Africa Orientale Italiana, in rapporti spesso tesi col viceré Amedeo d’Aosta.
Dopo il fiasco dell’attacco alla Grecia (28 ottobre 1940) voluto da Mussolini con la cieca o cinica connivenza di Badoglio, Cavallero, generale di corpo d’armata e dal 4 dicembre capo di Stato Maggiore in sostituzione di Badoglio, maresciallo d’Italia dal 1° luglio 1942, il 31 gennaio 1943 fu sostituito al vertice delle Forze Armate da Vittorio Ambrosio, in vista del rovesciamento di Mussolini e dell’uscita dalla guerra. Cavallero fu ed è ancora dipinto quale ferreo alleato della Germania. In realtà, come gli riconobbe Lucio Ceva, conosceva bene l’enorme disparità fra il sistema industriale italiano (tutto direttamente o indirettamente foraggiato dallo Stato, inclusa la Fiat) e le esigenze della nuova guerra “europea”, che sino al dicembre 1941 pochi prevedevano sarebbe divenuta mondiale. Non fu lui ma Badoglio ad avallare l’intervento del 10 giugno 1940. Cavallero ereditò una situazione dagli esiti compromessi: in Grecia, per le sconcertanti “disavventure” della Marina, per il mancato attacco risolutivo a Malta, dovuta anche all’ottusità dell’austrico Hitler, che (come del resto gli Stati Uniti, ieri e oggi) non capì la centralità del Mediterraneo anche per gli equilibri postbellici. Non gli rimase che continuare la “guerra parallela”, per l’onore dell’Italia. Nel “diario” il pettegolo Galeazzo Ciano ne disse tutto il male possibile; ma che cosa aveva fatto egli stesso per impedire la corsa verso il baratro? Lo pagò poi di persona.
Nominato capo del governo alle dimissioni imposte da Vittorio Emanuele III a Mussolini (25 luglio 1943), Badoglio fece subito arrestare Cavallero senza alcun capo d’accusa. Un’infamia, anche perché ne violò le prerogative di senatore del regno. Suscitò l’indignazione del re, che ne impose il rilascio, ma Badoglio lo fece relegare a Palazzo Madama, sede del Senato, con scandalo del presidente della Camera Alta, Thaon di Revel, e, non pago, Badoglio lo fece nuovamente imprigionare col pretesto di una cospirazione contro il governo. Andò peggio a Ettore Muti, ammazzato a tradimento. Recluso a Forte Boccea, mescolato a fascisti veri, Cavallero rilasciò al generale Carboni dichiarazioni (il cosiddetto “Memoriale”). Il 12 settembre venne liberato dai tedeschi di Kesselring. Nella fretta di scappare da Roma per le Puglie il fuggitivo Badoglio lasciò sulla scrivania il “memoriale” nel quale Cavallero aveva sintetizzato la propria condotta: niente affatto prono alla Germania di Hitler, egli aveva tessuto una trama con Giovanni Visconti Venosta e l’industriale cartario Luigi Burgo, liberale, monarchico, senatore e suo “buon amico”, che gli mise a disposizione cento milioni di lire “per finanziare un eventuale movimento” volto a sganciare l’Italia dall’ingombrante alleato. Lo stesso 12 settembre Mussolini fu prelevato da Campo Imperatore, sul Gran Sasso d’Italia, e portato in Germania per allestirvi un governo fiancheggiatore di Hitler. Con il “Memoriale” alla mano, la sera del 13 settembre Kesselring ospitò a cena Cavallero e, su mandato di Hitler, gli chiese di comandare le forze armate di un’Italia succuba della Germania. Poche ore prima il Maresciallo aveva profetizzato al Maresciallo Enrico Caviglia che i tedeschi gli avrebbero ficcato una palla nella testa.
La mattina del 14 venne rinvenuto riverso su una sedia a vimini, un foro alla nuca e una pistola a terra, sul lato destro. Era mancino. Chi sparò non lo sapeva. Secondo Mussolini fu “suicidato dalla destra di Kesselring”. Ai solenni funerali i germanici versarono lacrime di coccodrillo come poi per quelli di Erwin Rommel, forzato al suicidio. Badoglio non lo pianse. Capo delle forze armate la Repubblica sociale italiana fu Rodolfo Graziani. Anche per i fascisti Cavallero rimase da dimenticare. Burgo venne arrestato dalla RSI, processato a Parma e, a differenza di Ciano, De Bono e altri, scampò di stretta misura il plotone di esecuzione fascio-repubblicano. Paradossalmente, nel 1945 venne “epurato” dal Senato come filofascista e fu perseguitato dai “partigiani” : un po’ stalinisti, un po’ profittatori. Di Ugo Cavallero va aggiunto che nel 1911 fu iniziato massone nel Grande Oriente. Nell’estate del 1918, proprio quando preparava il piano di Vittorio Veneto, entrò nella Gran Loggia d’Italia. Sia pure con qualche peccato veniale (chi non ne commise?), mantenne il giuramento di fedeltà alla Patria, come altri militari massoni, incluso il Maresciallo Messe, che crebbe sulla sua scia. Una storia pacata di quegli anni tragici rimane da scrivere. Potrebbe promuoverla il Premio Acqui Storia con un convegno di storia militare, mentre troppi ancora attizzano antiche divisioni con “celebrazioni” a senso unico. Per cominciare, rendiamo omaggio alla memoria di Ugo Cavallero: un patriota, fedele al giuramento al Re: Italia innanzi tutto. Un esempio, mentre imperversa il caos. (*)
Aldo A. Mola
(*) Il Diario di Cavallero, conservato all’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, è al centro di un documentato studio inedito del col. Antonino Zarcone.
Aldo A. Mola
GDP SANTA ALLEANZA 2013 1 settembre
SANTA ALLEANZA: INTERVENTO, NON INTERVENTO, ANARCHIA INTENAZIONALE
di Aldo A. Mola
Nel 1815, per voltar pagina con lo sconquasso delle guerre franco-napoleoniche (1792-1815) e fondare il concerto europeo, le potenze vincitrici (Gran Bretagna, Russia, Austria e Prussia) associarono il vinto, la Francia. Ci vollero tre Trattati nel 1814 e i lunghi mesi del Congresso di Vienna, dal quale scaturì la Santa Alleanza, che in vertici successivi decise l’intervento militare per ristabilire l’ordine, cioè annientare i liberali che chiedevano monarchie costituzionali al posto di regimi assoluti. L’Austria mise in riga i liberali italiani. La Francia fece altrettanto con quelli di Spagna. La Russia ebbe mani libere per far regnare l’ordine a Varsavia. Nell’estate 1830 Luigi Filippo di Borbone-Orléans, elevato al trono da una rivoluzione senza sangue, e la Gran Bretagna decisero che i Belgi potevano staccarsi dai Paesi Bassi e costituirsi in regno indipendente sotto tutela internazionale. La Santa Alleanza rimase al palo. Allora i liberali si mossero, specie in Italia, confidando nel “non intervento”, ma la Francia lasciò campo libero alla repressione asburgica e si limitò ad occupare Ancona.
A parte l’indipendenza della Grecia e la formazione del regno d’Italia, frutto di guerre di bassa intensità, malgrado tensioni e conflitti periferici (dai quali sorsero Romania, Bulgaria, Montenegro), in Europa la pace resse sino al 1914. Lo scossone della guerra franco-germanica del 1870-71 indusse anzi a scaricare la gara per l’egemonia nella conquista degli spazi coloniali extraeuropei. Dopo la Grande Guerra per spegnere subito nuovi possibili incendi e arginare le rivoluzioni venne istituite la Società delle Nazioni, che funzionò poco e male. Non decise alcun intervento significativo, non fermò le guerre e nel 1935 deliberò le sanzioni economiche ai danni dell’Italia quando Roma invase l’Etiopia, membro della Società stessa. Le Nazioni Unite dal 1945 avocarono il potere di interventi militari e ne attuarono molti. Ma altre missioni di pace furono decisi da soggetti diversi, come la Nato, strumento militare dell’Alleanza Atlantica, e dal Patto di Varsavia (in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia). Ora si registra uno stallo, sia dell’ONU, sia di coalizioni multilaterali. Nella Comunità internazionale dilaga una pericolosa anarchia.
Torino, prima capitale d’Italia, ospita il XXXIX Congresso della Commissione Internazionale di Storia Militare per approfondire il rapporto tra “governo mondiale” e “interventi multilaterali”. Il tema è di scottante attualità, mentre alcuni governi si affannano a procacciare base legale alla ritorsione (a quale titolo?) contro al-Assad (su quali certezze e con quali rischi?). Ma per gli storici, esso ha millenni di precedenti. La riflessione sulla politica vera, cioè sul rapporto tra la diplomazia e le armi, come insegnò Clausewitz, vi si snoda infatti dalle Guerre del Peloponneso alla spedizione degli aghlabidi in Sicilia (827-909), dalla guerra di successione sul trono di Vienna (1741 -48) a una quantità fantasmagorica di “episodi” . Paese ospite dell’importante Congresso scientifico, realizzato con l’impegno degli Uffici Storici della Difesa (col. Matteo Paesano), dell’Esercito (col. Antonino Zarcone), della Marina ( C. V. Francesco Loriga) e dei Carabinieri (ten. Col. Flavio Carbone), l’Italia partecipa con docenti prestigiosi, quali Virgilio Ilari, Alessandro Barbero, Pietro Crociani e molti giovani ricercatori, alcuni dei quali già affermati, come Federica Saini Fasanotti, finalista del Premio Acqui Storia e autrice di un’ eccellente opera edita dell’Ufficio Storico SME sulle Operazioni militari italiane in Libia (1922-1931).
Dalla rassegna di Torino emerge che ogni Paese ha vissuto successi ed errori. La saggistica italiana ha invece solitamente enfatizzato soprattutto le sconfitte (Novara, Lissa, Adua, Caporetto, 8 settembre…), isolandole dal contesto e oscurando le vittorie, con una lettura negativa dello “strumento militare”. E’ quanto emerge, per esempio, da Generali di Domenico Quirico (che auspichiamo torni presto libero agli studi) e da molte opere di Nicola Labanca e altri seminatori di cupo pessimismo, dimentichi che dall’Unità le Forze Armate sono state con la pubblica istruzione la vera fucina della Nuova Italia Nuova e concorsero a liberare i cittadini dalla sottocultura fondata sulla superstizione, come ha documentato Oreste Bovio nella poderosa Storia dell’esercito italiano, ora riproposto dall’Ufficio Storico SME.
Quel passato fa aprire gli occhi sul presente. La Camera inglese ha rifiutato l’attacco militare alla Siria. Ancora una volta l’Inghilterra impartisce una lezione. E’ una monarchia costituzionale. La più antica d’Europa. Alle spalle ha la Magna Carta e l’habeas corpus, due pilastri della civiltà liberale. Da secoli il governo inglese non può decidere spese senza l’approvazione dei contribuenti e i cittadini non possono essere arrestati senza un’imputazione formale.
Si discuterà a lungo su questa svolta. Ci si domanderà se i deputati inglesi abbiano deciso solo per motivi giuridici (la mancanza di prove sicure dell’uso di armi chimiche da parte di el-Assad) o anche per interessi (i complessi rapporti economici tra Londra e il mondo arabo-islamico). Quel che conta è che il Parlamento ha rivendicato la propria sovranità sulla politica estera: un caposaldo della sua lunga fortuna degli inglesi, esaminata da Ottavio Bariè nei saggi raccolti da Massimo de Leonardis in Dall’Impero britannico all’Impero americano (Le Lettere), mentre ora l’egemonia degli USA risulta appannata, lontana dal ruolo di guida sicura dell’Occidente, come lo stesso Bariè osserva in Dalla guerra fredda alla grande crisi (il Mulino), finalista all’Acqui Storia. Proprio il declino dell’egemonia di Washington apre spazi alle frenesie di Stati di seconda e terza fila, smaniosi di protagonismo, come la Francia di Sarkozy e di Hollande.
Anche in Italia dalla Grande Guerra la centralità del governo politico della forza quale pilastro della democrazia fu il terreno di scontro fra due concezioni dello Stato. Di una fu interprete maturo Giovanni Giolitti che dall’agosto 1917 chiese a viso aperto di trasferire dalla Corona al Parlamento l’approvazione dei trattati internazionali e soprattutto il potere di dichiarare guerra. Non l’ottenne. Fu così che nel 1940 l’Italia venne buttata una seconda volta nella fornace di una guerra generale dall’andamento poi rovinoso, senza che alcun Istituto rappresentativo fermasse Mussolini: una catastrofe di cui paghiamo e pagheremo le conseguenze. Quei precedenti ci ricordano che dal 1848 al 1946 l’Italia fu monarchia costituzionale con poteri asimmetrici; dal 1946 scelse di essere una repubblica parlamentare, ma in troppi casi il Parlamento ratifica decisioni delicate assunte altrove. La verifica del corretto equilibrio tra i poteri avviene nelle ore supreme, quando ci si deve domandare se il Paese, sul quale ricadono le decisioni dell’esecutivo, concordi davvero con le decisioni del governo e sia disposto ad accollarsene il peso. Fu la domanda che si pose il ministro della Guerra Domenico Grandi nell’ottobre 1914: un dubbio “giolittiano”. Venne sostituito. Forse una conferenza di pace dell’ultimo minuto, un maggior sforzo della diplomazia avrebbe fermato la concatenazione di ultimatum e di dichiarazioni di guerra: che si sa come iniziano, mai come finiscano. Ma ormai la Santa Alleanza era solo un ricordo. Per di più esageratamente odioso (*).
Aldo A. Mola
(*) Il XXXIX Congresso della Commissione Internazionale di Storia Militare si svolge al Centro Congressi di Torino dal 2 al 6 settembre. Alle 17 di oggi (domenica 1 settembre) alla Biblioteca Universitaria è inaugurata la mostra “I volti dei Militari Italiani”.