Maurizio Seymandi: “Ecco come nacque il Supertelegattone. Ho intervistato chiunque. La battuta di Cossiga, lo scoop mancato e quella volta che Beppe Grillo venne ‘beccato’ da Andreotti nel suo ufficio...” - la Repubblica
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Maurizio Seymandi: “Ecco come nacque il Supertelegattone. Ho intervistato chiunque. La battuta di Cossiga, lo scoop mancato e quella volta che Beppe Grillo venne ‘beccato’ da Andreotti nel suo ufficio...”

Mondadori Portfolio/Egizio Fabbrici
Mondadori Portfolio/Egizio Fabbrici 

Il conduttore televisivo, autore e paroliere, diventato celebre negli anni ‘80, si racconta. Gli inizi, i programmi cult, gli incontri e le collaborazioni con i personaggi dell’epoca: da Mike Bongiorno a Renato Rascel, da Berlusconi a Corrado, da Enzo Tortora a Michael Douglas. “Nella mia vita mi sono divertito come un matto. Sono sparito perché non mi divertivo più”

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Maurizio Seymandi, prima di cominciare l’intervista corre l’obbligo di dirle che da ieri ci gira in testa la sigla di Superclassifica Show, col Telegattone e tutto. Un’ossessione. Grazie, eh…

“Sono il gatto sul tetto che ascolta/tutto come fosse/la prima voltaaa”. Meoooow. Ma quanto ci siamo divertiti?”

Giusto, lei quanto si è divertito?

“Come un matto! E devo ringraziare i giganti che me lo hanno permesso”.

Cominciamo la carrellata.

“Mike Bongiorno è il primo, lui quasi mi adottò. Mi portava proprio nel cuore. Penso fosse colpito dalla mia semplicità. Un giorno disse a mia figlia Daniela: “Hai gli stessi occhi buoni di tuo padre”. A me non l’aveva mica mai detto. Con Mike ho fatto di tutto, sono stato un suo autore ombra, oltre che di un paio di sigle di Rischiatutto. Perché a quel tempo i dipendenti Rai non potevano scrivere cose per l’azienda. Così, con Mike cominciò la mia vita da fuorilegge”.

Il secondo gigante?

“Renato Rascel, anche se poi era così piccolino… Aveva bisogno che gli scrivessi uno sketch che doveva recitare con Walter Chiari a “Gran Varietà”, quella volta mi pagarono pure… Mike venne a sapere che scrivevo in incognito e mi disse: ‘Continua a farlo, licenziati dalla Rai e poi ci penso io’”.

Ci pensò?

“Eccome! Mi portò da Gigi Vesigna, direttore di TV Sorrisi e Canzoni: lo incontrai a Taormina, e dopo una settimana ero già inviato speciale. Poco dopo mi venne l’idea di un programma televisivo musicale da distribuire alle emittenti private di tutta Italia: cominciai a girare come un forsennato, e alla fine diventarono più di cento. In fondo, la stessa idea di Silvio Berlusconi quando inventò la tv commerciale nazionale. Quando il Cavaliere comprò Sorrisi e Canzoni, disse: ‘Io però voglio anche Seymandi’. Lo rassicurai: ‘Presidente, io già lavoro lì, mi può avere gratis’”.

Marzo 2010. Maurizio Seymandi Con Gigi Vesigna.
Marzo 2010. Maurizio Seymandi Con Gigi Vesigna. 

Tra i giganti mettiamo anche Berlusconi?

“Ma senza dubbio! Aveva le idee e la capacità di realizzarle, non è mica automatico. Quando Mike mi disse che Berlusconi lo aveva chiamato a Canale 5, mi spiegò che gli era stata offerta una cifra pazzesca. Mike pensava fosse per l’intera stagione, invece era a puntata! Va anche detto che la Rai, allora, pagava davvero poco anche i fuoriclasse”.

Come nacque la mitica Superclassifica Show?

“Intanto, bisognava mettere insieme varie tivù che trasmettessero il programma. Quando andai a Tele Lecco dissi a quei signori che, per cominciare, dovevano cambiare il nome. Tele Lecco non suonava mica tanto bene, non so se mi spiego… Diventò Tele Spazio Lecco. La celebre sigla col Telegattone la inventai come promo per spiegare Superclassifica Show all’editore Campi, il quale ne fu conquistato. In pratica, travasammo il giornale in tivù intervistando i cantanti, cosa che Disco Ring in Rai non faceva”.

Torniamo ai suoi giganti. Se le diciamo Marcello Marchesi?

“Un genio. Che autore meraviglioso! Abbiamo scritto tanto insieme, resti tra noi ma a un certo punto gli facevo da schiavo, e da lui spero di avere imparato qualcosa. Alcune mie definizioni di personaggi dello spettacolo, forse hanno un po’ del suo stile”.

Qualche esempio, prego.

“Mike Bongiorno: ‘Dal quiz all’eternità’. Gina Lollobrigida: ‘De bustibus’. Marcello Mastroianni: ‘Marlon blando’. Marcello Marchesi morì su una sua stessa battuta, perché una volta mi disse: ‘Sai, Maurizio, io vorrei morire da vivo’. Detto fatto: in estate stava giocando sugli scogli in Sardegna con il bimbo che aveva avuto da una governante, scivolò e si spaccò la testa”.

Avanti il prossimo: Enzo Tortora.

“Io sono nato in Libia, nel 1937. La mia mamma mi chiamò Maurizio, allora un nome piuttosto raro, perché aveva letto un romanzo ungherese nel quale un personaggio si chiamava così. Veramente, il mio nome completo è Maurizio Agostino Angelo Alberto Seymandi. Papà era torinese. Poi ho studiato a Nervi, perché dopo il ritorno dei miei genitori in Italia soffrii di bronchi e mi trasferirono in collegio, al mare. Non sto divagando, a Tortora arriviamo subito, eh. Quando nel 1958 giunsi a Roma, in Rai, sperduto e solo, conobbi questo presentatore che faceva piccoli programmi in radio. Quando Enzo, genovese, sentì il mio accento che era un misto di lombardo e ligure, decise che sarei stato il suo fratellino. Pesavo 57 chili bagnato, facevo tenerezza”.

Enzo Tortora nel 1983
Enzo Tortora nel 1983 

Era l’epoca di un altro gigante, Corrado.

“Mi insegnò a risolvere i rebus, perché era un patito di enigmistica. Faceva l’annunciatore e aveva questa voce profonda e inconfondibile, con la quale in radio aveva comunicato agli italiani la fine della Seconda Guerra Mondiale. Così, per capirci. Una volta, mia mamma venne a trovarmi a Roma e andò all’edicola in via Asiago, dove incontrò Corrado, già famoso, che stava comprando la Settimana Enigmistica. Corse da me emozionata come se avesse appena incrociato il Papa. Ah, Corrado! Una volta si impaperò, e invece di annunciare ‘la cavalcata delle Valchirie’ disse ‘la cacata delle Valchirie’. Si prese due giorni di sospensione, anche se mica l’aveva fatto apposta”.

Ci racconti di Cossiga.

“Andai al Quirinale per la consegna del Telegatto. Era, mi pare, una vigilia di Natale. Con l’aiuto di Enzo Biagi, che curava una rubrica per Sorrisi e Canzoni ed era mio amico, riuscii a introdurre le telecamere dov’era vietatissimo. Il presidente della Repubblica mi venne incontro e mi disse che in famiglia mi guardavano tutti. Gli chiesi che idee avesse per il futuro, e lui rispose: ‘Seymandi, mi aiuti a lavorare a Canale 5!’. Nessun problema, gli feci, dal momento che Berlusconi stava andando da lui per gli auguri di Natale. Fu in quell’occasione che il Cavaliere mi annunciò che sarebbe sceso in politica: purtroppo era un’intervista registrata! Ero stato il primo a saperlo, ma il mio scoop arrivò dopo che ne avevano parlato tutti gli altri, che peccato”.

Francesco Cossiga nel 1980
Francesco Cossiga nel 1980 

Quelle copertine di Sorrisi e Canzoni con i Telegatti sembravano Fiorello che imita Gianni Minà. Che adunate incredibili.

“Una volta, per la foto tutti insieme dovevano posare Andreotti, Vittorio Gassmann, Vialli, Mancini, Beppe Grillo e Vasco Rossi: i vincitori dei Telegatti erano divisi per categorie. Eravamo nell’ufficio di Andreotti, che ancora non era arrivato. Allora Grillo cominciò a fare battute pesantissime a proposito di alcune fotografie in quella stanza. Al che, dopo un po’, mi sentii battere sulla spalla e una vocina disse: “Con permesso…” Era Andreotti! Il quale era stato sempre lì nascosto, e naturalmente aveva sentito tutto. Con grande stile rassicurò Grillo: ‘Non si preoccupi, a me le cose le dicono sempre dietro, sono abituato’”.

Giulio Andreotti nel suo ufficio romano, 1981
Giulio Andreotti nel suo ufficio romano, 1981 

C’era anche Biagi, quella volta?

“Non ricordo, però gli devo preziosi consigli sulla tecnica delle interviste e su come si devono tagliare gli articoli, compresi i suoi. Mi diceva: ‘Taglia dove vuoi, basta che alla fine si capisca cosa c’è scritto’. Oppure, mi spiegava che in un’intervista è decisiva la prima domanda e che non bisogna mai mandare all’intervistato i quesiti in anticipo, come invece pretendono quasi sempre i cantanti e gli artisti. Io non li mandavo, perché improvvisavo: preparavo la prima domanda, però tutte le altre venivano di conseguenza, in base alla risposta. Io mica le sapevo!”

A quel tempo, in tivù lei sembrava lo scanzonato compagnone delle medie, l’amico di noi tutti.

“Perché mi divertivo e facevo divertire gli intervistati. Michael Douglas rideva a crepapelle ogni volta. Avevo inventato la domanda ‘vediamo un po’ cos’ha in tasca’, che per le signore prevedeva la variante ‘vediamo un po’ cos’ha nella borsetta’. Una volta, intervistando una famosa cantante, saltarono fuori dei preservativi. Le dissi: ‘Certo che tu sei davvero una persona che sa proteggersi!’. Non faccio il nome, però fu molto spiritosa. Sono anche stato testimone di nozze al suo terzo matrimonio”.

Senza prendersi troppo sul serio, lei ha intervistato chiunque.

“Sì, due o tre volte anche Paul McCartney. E poi Ennio Morricone, che incontrai per caso vicino ai nostri studi milanesi e invitai a salire per una chiacchierata. Gli ricordai che ci eravamo già conosciuti quando lui era molto giovane, e in Rai curava gli arrangiamenti per Modugno. Compose ‘Se telefonando’ per Mina, però non è vero che il testo fosse di Maurizio Costanzo: in realtà, l’aveva scritto Ghigo De Chiara. Un’altra volta feci cantare Bossi e Vasco Rossi insieme: in archivio a Canale 5 hanno ancora tutto, soltanto che certe cose di repertorio non le mandano più in onda, secondo me sbagliano”.

Scusi, Seymandi, ma lei a un certo punto sparì: come mai?

“Tenga conto che a luglio avrò 87 anni, e a un bel momento ho capito che non avevo più voglia di fare niente. Fino al tempo del Covid mi sono occupato del concorso di Castrocaro per bambini, poi mi hanno proposto altre cose che però venivano male, me ne sono accorto e ho preferito smettere. Se non ti diverti tu, non si divertirà nemmeno il pubblico”.

Sia sincero: pensava di entrare nell’immaginario collettivo degli anni Ottanta?

“No davvero. Io non ho mai progettato di diventare niente, ho fatto le cose e basta. Quando le persone mi chiedevano l’autografo, domandavo loro se non avessero di meglio da fare”.

E adesso, Seymandi, cosa combina?

“Ho tre figli e cinque nipoti: per i più piccoli, tutti miei fan, sono una specie di giocattolo. E poi scrivo poesie, anzi “spoesie” e “sproverbi”. Vuole sentire qualcosa?”

Ma prego.

“Tanto va la gatta al lardo che s’incazza il contadino. Vai dove ti porta il cuore: dal cardiologo. Si stava meglio quando si stava bene: questo vorrei fosse anche il titolo del libro che sto scrivendo, era quasi tutto pronto ma purtroppo è morto l’editore”.

Ma lei si è sempre divertito così?

“In collegio imitavo i professori in un vero e proprio spettacolino durante la mensa: le suore in cucina sentivano tutto, ridevano come pazze e poi mi davano da mangiare meglio, come ricompensa. Il mio professore di matematica si chiamava Biondi, un tipo notevole, scriveva madrigali: suo figlio è diventato ministro, Alfredo Biondi, ve lo ricordate? Il liberale. Un altro figlio era un cattedratico di fisica, un professorone, solo che in quella casa alla fine c’erano un po’ troppi cervelli e un’aria lievemente pesante. Così il professor Biondi mi invitava a pranzo e mi diceva: ‘Maurizio, vieni a trovarci, almeno mia moglie se la ride un po’’”.

Seymandi, ma alla fine lei chi è?

“Come avrebbe detto il mio maestro Marcello Marchesi, sono uno di cui non mi ricordo più”.

E se dovesse riassumere la sua vita in una frase?

“Ho giocato molto seriamente”.

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