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Dall'Unità d’Italia all'età giolittiana

Tra il 1850 e il 1870 l'Europa conosce un periodo di notevole sviluppo economico, determinato dal forte incremento della produzione industriale. Lo sviluppo della rete ferroviaria e la meccanizzazione della produzione, conseguenze della rivoluzione industriale, favoriscono il decollo di Gran Bretagna, Francia, Germania e Nord Italia, cui si affiancano gradualmente gli Stati Uniti e il Giappone. Solo alcune zone dell’Europa mediterranea - tra cui il Meridione d’Italia – restano in una posizione economicamente più arretrata, in quanto ancora legate a un'agricoltura basata sul latifondo.
Lo sviluppo economico in direzione capitalistica e industriale procede parallelamente alla piena affermazione della borghesia.

Soprattutto nell'Europa centrale e settentrionale nascono le grandi dinastie industriali e finanziarie, dotate di un peso crescente anche nella sfera politica. Ai proprietari industriali si affiancano poi i grandi proprietari terrieri e una folta schiera di professionisti, commercianti, artigiani e funzionari che popolano le nuove città industriali. Nelle aree geografiche meno industrializzate - come l’Italia meridionale - la borghesia è meno diffusa, ma costituisce comunque il ceto emergente.
Uscita trionfatrice dalla secolare lotta nei confronti dell'aristocrazia, la classe borghese deve però confrontarsi con l’emergere di una coscienza di classe all'interno del proletariato. Proprio in conseguenza dello sviluppo industriale, soprattutto negli Stati più avanzati la classe operaia si organizza nelle prime associazioni sindacali e nei primi partiti politici di ispirazione socialista. marxista o anarchica.
Nel 1864 nasce a Londra l’Associazione internazionale dei lavoratori (Prima Internazionale). La prima rivoluzione socialista della stona si realizza a Parigi, nel 1871: al termine della guerra franco-prussiana il popolo parigino insorge, instaurando la cosiddetta Comune. ossia un governo rivoluzionario di ispirazione socialista, presto annientato nel sangue. Nel 1875 nasce intanto in Germania il primo partito socialista, con il nome di Partito socialdemocratico tedesco.
Dal punto di vista politico, il periodo tra il 1850 e il 1870 è caratterizzato da una certa instabilità determinata soprattutto dall'affermarsi delle spinte verso l’indipendenza nazionale di Germania e Italia, che si concluderanno con l’unità d’Italia nel 1861 e della Germania nel 1871.
Al termine di questo periodo, 1'Europa appare dominata da tre grandi potenze: Inghilterra, Germania e Francia. Emergono intanto due nuovi Stati, rimasti fino ad ora ai margini della politica europea: Russia e Stati Uniti. La Russia zarista, pur ancora autarchica ed economicamente arretrata, avvia sotto Nicola II una politica di riforme abolendo anche la servitù della gleba (1861) distribuendo alcuni latifondi ai contadini.
Questa riforma provoca un terremoto sociale, il cui esito ultimo sarà la rivoluzione sovietica del 1917.
Gli Stati Uniti, registrano uno straordinario incremento demografico e avviano un periodo di rapida crescita economica che li trasformerà, alla fine del secolo, nella massima potenza economica mondiale.
All'indomani dell`unificazione, l’Italia è un Paese ancora arretrato sul piano economico e sociale: il ceto borghese stenta ad affermarsi e l’economia, specie nel Meridione, è basata prevalentemente sull'agricoltura estensiva nelle forme del latifondo. Inoltre il parlamento e espressione di una ristretta minoranza: una legge elettorale basata sul reddito fa si che il diritto di volo spetti solo al 2% della popolazione, coincidente per lo più con la classe dei proprietari terrieri. Il paese è privo di una vera unità amministrativa ed economica di infrastrutture, di una rete di trasporti efficiente e di scuole (il 70% circa della popolazione è analfabeta) e contrassegnato da una marcata differenza tra Nord e Sud.
Dal 1861 al 1876 questi gravi problemi vengono affrontati dal governo della cosiddetta «Destra Storica», ispirata ai valori del liberalismo moderato di Cavour ed espressione degli interessi dei ceti abbienti, in particolare della borghesia agraria. Sul piano amministrativo, la riorganizzazione viene attuata attraverso un programma rigidamente centralistico, che estende le strutture del regno sabaudo a tutta la Penisola, nel tentativo di unificare realtà regionali spesso molto differenti tra loro. A livello economico, la Destra storica giunge faticosamente al risanamento del bilancio statale sebbene tramite un notevole inasprimento della pressione fiscale che grava soprattutto sulle classi più povere. A ciò si aggiunge la leva obbligatoria, che pesa soprattutto sui contadini. Il malcontento popolare si diffonde rapidamente, unito a una crescente sfiducia nei confronti dello Stato.
L'insofferenza popolare verso lo Stano unitario esplode soprattutto nel più arretrato Meridione. Tra il 1861 e il 1865 si sviluppa il fenomeno del brigantaggio costituito da giovani renitenti alla leva che godono dell’appoggio non solo dei contadini, di cui interpretano le esigenze di riscatto sociale, ma anche con l'appoggio del governo borbonico in esilio e dello Stato Pontificio. La ribellione fu condotta principalmente da elementi del proletariato rurale ed ex militari borbonici che si opposero alla politica del nuovo governo italiano. Secondo alcuni storici, fu la prima guerra civile dell'Italia, che infiammò la nazione appena unificata sino al 1870. La reazione del governo è durissima: le rivolte sono sedate nel sangue. Si apre così la cosiddetta «questione meridionale» che porterà al grave fenomeno dell’emigrazione, protraendosi fino ai nostri giorni.
Oltre ai numerosi problemi amministrativi interni, il governo della Destra storica deve affrontare anche la questione del completamento dell`unità nazionale. Problematica è l’annessione di Roma e del Lazio, che coinvolge il più ampio problema dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa. In un primo momento (1865) viene dichiarata capitale Firenze.
Nel 1870 approfittando del coinvolgimento della Francia nella guerra contro la Prussia le truppe italiane entrano a Roma e, con una simbolica azione di forza, attraverso la breccia di Porta Pia (20 settembre) pongono fine al dominio temporale della Chiesa proclamando nel 1871 Roma capitale d’Italia. Si apre però anche una grave frattura tra lo Stato italiano e la Chiesa: Pio IX non riconosce lo Stato italiano, rinnova la scomunica contro gli usurpatori e nel 1874 promulga il Non expedit, con cui impedisce ai cattolici di partecipare alla vita politica del Paese.
A partire dal 1873 tutta I’ Europa viene colpita da una grave crisi economica, nota come «grande depressione», che si protrae fino alla metà degli anni Novanta. Innescata dalla crisi agricola determinata dal massiccio afflusso dei cereali a basso costo provenienti dagli Stati Uniti, la «grande depressione» investe
rapidamente anche gli altri settori dell'economia, causando un forte calo dei prezzi. Si tratta di una crisi da sovrapproduzione, innescata cioè non da una scarsità di beni ma, al contrario, dal loro eccesso in rapporto al fabbisogno. Una prima, drammatica conseguenza della crisi è l’accentuarsi dell’emigrazione, che tra la fine dell’Ottocento l’inizio del Novecento porta molti contadini – in gran parte provenienti dal Meridione d`Italia – a spostarsi negli Stati Uniti.
Per rispondere efficacemente alla crisi, la nascente economia capitalistica si riorganizza, rinnovando le strutture produttive. In primo luogo viene avviato un processo di concentrazione monopolistica. Le principali aziende si raggrupparono in trust o cartelli, ossia in gruppi di imprese che praticano prezzi analoghi neutralizzando di fatto la concorrenza. Nascono anche forme nuove di razionalizzazione del lavoro: all`avvento della produzione di massa corrisponde la fabbricazione di prodotti standardizzati ottenuti attraverso la catena di montaggio, i cui primi esempi si realizzano nelle aziende statunitensi della Ford. Questo sistema, basato su una completa meccanizzazione dei processi produttivi e su un’organizzazione scientifica delle fasi di lavorazione, riduce i costi e aumenta la produttività del lavoro. La crescente automazione comporta però anche conseguenze negative, poiché impone ritmi di lavoro logoranti, riducendo l’operaio a semplice elemento esecutivo al servizio della macchina.
Negli ultimi trent’anni dell’Ottocento l’industrializzazione conosce una fase di rinnovato slancio, che prende il nome di seconda rivoluzione industriale. Nuove scoperte scientifiche vengono applicate all’ industria e modificano profondamente anche l’aspetto delle città e le abitudini della vita quotidiana. Il telefono, il grammofono e il cinematografo vengono scoperti in questo periodo, accanto alla lampadina che, inventata nel 1879 da Thomas Edison, permette il diffondersi dell’illuminazione elettrica e l’uso dell'elettricità come forza motrice nei trasporti. La messa a punto dei primi motori a scoppio a benzina apre la strada all’automobile.
Al rapporto tra scienza e industria si accompagna la diffusione delle nuove strutture economiche di tipo capitalistico anche in aree geografiche finora poco toccate dalla rivoluzione industriale, quali gli Stati Uniti - che diventano in questo periodo la prima potenza mondiale – e il Giappone.
Anche l'Italia, per lo meno limitatamente al triangolo settentrionale Milano-Genova-Torino, conosce un notevole sviluppo urbanistico e una prima vera industrializzazione: nel 1399 Giovanni Agnelli Fonda la FIAT, la prima grande industria nazionale.
La crisi della «grande depressione» spinge anche i governi degli Stati europei a intervenire direttamente nell’economia: diversi Stati adottano misure rigidamente protezionistiche, innalzando i dazi doganali e reprimendo la libera circolazione delle merci, allo scopo di salvaguardare la produzione nazionale. Parallelamente, molti Stati europei cercano nuove materie prime e nuovi mercati attraverso il rilancio dell’espansione coloniale.
La gara imperialistica tra gli Stati europei, determina una situazione di crescente tensione sul piano degli equilibri politici internazionali. Nonostante il periodo successivo al 1870 sia contrassegnato da un quarantennio di sostanziale pace, si tratta in realtà di una pace armata, segnata da un atteggiamento aggressivo delle potenze europee. La scena Europea è dominata dalla politica dell`equilibrio del cancelliere tedesco Bismarck che, mentre si fa garante dello stato di non-belligeranza, mira in realtà all'affermazione dell`egemonia della Germania. Si profilano intanto due opposti schieramenti: alla Triplice Alleanza, sancita nel 1882 tra Germania, Austria e Italia, si contrappone nel 1907 la Triplice Intesa tra Francia, Inghilterra e Russia.
Nel 1876, in Italia, la cosiddetta rivoluzione parlamentare pone fine ai governi della Destra e porta al potere la Sinistra storica, che nella persona del suo leader Agostino Depretis reggerà le sorti dell'Italia fino al 1887. In questa prima fase della storia italiana Destra e Sinistra non sono schieramenti politici ben differenziati per ideologia e programmi, ma piuttosto correnti moderate, in cui confluiscono gli interessi della borghesia nel suo complesso evitando gli opposti estremismi. L`ascesa della Sinistra segna anche l'inizio del trasformismo, una spregiudicata prassi politica che consiste nel venire a patti di volta in volta con i diversi gruppi di potere, assicurandosi così l’appoggio parlamentare di numerosi deputati disposti a spostarsi, secondo le pressioni e
i patteggiamenti, da uno schieramento all`altro. La maggioranza si forma cosi in modi sempre diversi, attraverso una spartizione clientelare del potere politico che elimina ogni reale opposizione.
Sul piano della politica interna. Depretis attua una serie di riforme in senso progressista: amplia la base elettorale attraverso la riforma del 1332, che porta al voto un italiano su quattro, abolisce l'odiata tassa sul
macinato e riorganizza l’istruzione elementare. Al tempo stesso, anche il governo italiano si orienta nella direzione assunta dagli altri Stati europei dopo la «grande depressione»: I' espansione coloniale in Africa. Le truppe italiane penetrano dapprima nella baia di Assab, in Eritrea, ma il successivo tentativo di assoggettare l'Etiopia culmina nel gennaio del 1887 nella drammatica sconfitta di Dogali.
Nello stesso anno muore Depretis e, conclusa l’esperienza della Sinistra storica, sale al potere Francesco Crispi, che con la sua politica autoritaria resta al governo per un decennio.
Anche Crispi adotta una politica estera aggressiva e nazionalistica, improntata all’espansionismo coloniale. Nel 1890 l'Italia ottiene dal negus di Etiopia il riconoscimento delle Conquiste in Eritrea e progetta di espandere la propria area di influenza verso l'Abissinia. L`impresa è però disastrosa e le sconfitte del 1896 rivelano il carattere velleitario e l’inadeguatezza militare delle ambizioni imperialiste italiane, causando le dimissioni di Crispi. Nonostante ciò, nel clima infuocato degli anni precedenti la Grande Guerra l’opinione pubblica tornerà a sostenere l'avventura africana e nel 1911, fra l’entusiasmo popolare e il plauso di molti intellettuali - tra cui Giovanni Pascoli - l`Italia conquistata la Libia.
In politica interna l’azione di Crispi si caratterizza per un marcato autoritarismo, volto a rafforzare il potere esecutivo del governo ridimensionando le prerogative del parlamento e ad accentuare le misure di polizia e i poteri dei prefetti. Non mancano del resto alcune importanti riforme, tra cui una nuova legge elettorale e, soprattutto, una completa riorganizzazione della pubblica amministrazione, cui si accompagna nel 1889 l'adozione del nuovo Codice Penale Zanardelli, che prevede tra l’altro l'abolizione della pena di morte.
Ma il governo di Crispi si segnala soprattutto per l’irrigidimento autoritario con cui affronta l’emergere di una crescente tensione sociale interna, derivata anche dalla nascita, in seguito al processo di industrializzazione, di un ceto operaio che si propone sempre più come soggetto politico attivo.
Dopo le prime lotte rivoluzionarie giunge a maturazione anche in Italia l’organizzazione politica e sindacale del proletariato. Nel 1892 nasce a Genova, con un programma ispirato al marxismo, il Partito dei lavoratori italiani, che nel 1895 prende il nome di Partito socialista italiano Il suo principale esponente è Filippo Turati, il cui programma politico prevede una serie di moderate riforme economiche e sociali da avviare attraverso la collaborazione con il ceto borghese. I governi rispondono però alle rivendicazioni con sanguinose repressioni. Nel 1893, contro i Fasci siciliani - un movimento di protesta contro l’oppressione fiscale dei grandi proprietari terrieri - Crispi invia l’esercito in Sicilia, proclamando lo stato d’assedio e causando un centinaio di morti. A Milano, nel 1898, per una manifestazione popolare contro l’aumento del prezzo del pane, il generale Bava Beccaris usa i cannoni contro la folla. Solo con il successivo governo del liberale Giolitti le tensioni sociali troveranno una parziale ricomposizione.