venera19
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L’ Italia giolittiana

Alla fine dell’ 800 gran parte della popolazione italiana, soprattutto i contadini delle campagne, vivevano in estreme condizioni di miseria e di povertà. Il loro reddito era utilizzato unicamente per l’acquisto dei beni alimentari necessari per la propria sopravvivenza. Alla crescita del proletariato urbano si accompagnò il rafforzamento delle organizzazioni sindacali, di orientamento socialista, nate in tutela dei lavoratori, richiedendo aumento dei salari, diminuzione delle ore di lavoro e tutela soprattutto dei bambini.

Mack Smith in proposito affermerà che “ le questioni sociali erano più importanti di quelle politiche e sarebbero state esse in avvenire a differenziare i vari gruppi politici ”. Con la pubblicazione della Rerum novarum i cattolici cominciarono ad occuparsi della vita sociale. Primo fra tutti Murri che si batté al fianco delle classi sociali più povere, fino a quando, di seguito alla sua nomina di deputato, venne scomunicato. I movimenti cattolici, dopo la scomunica di Murri, cominciarono ad interessarsi sempre più alla vita politica, fino ad arrivare alla partecipazione attiva e secondo De Rosa “ da buon politico Giolitti aveva avvertito che i tempi erano ormai maturi per una convivenza nella tolleranza con la Chiesa di Roma ”. Il vero e proprio fiorimento economico in Italia però, si avrà solo nei primi anni del ‘900. Nacque la Federterra, la federazione nazionale dei lavoratori della terra, l’organizzazione contadina di ispirazione socialista. È proprio in questi anni che in Italia si inizia a parlare di decollo industriale, con un crescente aumento del proletariato di fabbrica, pronto per rivendicare i suoi diritti. “ La svariata opera legislativa, amministrativa e associativa di Giolitti era resa possibile dalla fioritura economica che si osservava dappertutto nel paese ”, così parlerà Benedetto Croce dello sviluppo economico che interessò il nostro paese nel ‘900. Ma l’ espansione economica che interessò l’ Italia nel periodo giolittiano contribuì ad accentuare gli squilibri fra Nord e Sud. Lo sviluppo economico ed industriale si concentrò nel nord del paese, nel territorio del cosiddetto triangolo industriale: Milano, Torino e Genova. Il sud rimase estraneo all’industrializzazione che visse il nord, era ancora dominato dall’ agricoltura latifondista, quindi era privo di un ceto imprenditoriale che potesse stimolare l’apparato tecnologico. Anche Salvemini in un suo scritto fa notare come Giolitti per quanto concerne gli interessi economici, li avviò e portò ad un miglioramento nell’ Italia Settentrionale mentre nel Meridione li trovò cattivi e li lasciò peggiorare. Il divario tra le tre regioni del triangolo industriale e quelle meridionali è evidente sia quanto al reddito per abitante sia, soprattutto, quanto a produttività industriale. Tutto il sud è sotto media nazionale. Il dualismo emerge anche da altri due dati, non economici ma sociali: il tasso di analfabetismo e l’ emigrazione. Si noti come, tra il 1881 e il 1910, il meridione diventa la principale area di emigrazione verso l’ estero mentre il nord – ovest riduce la sua quota percentuale da un terzo a un quinto. Cominciarono però a rendersi evidenti le contraddizioni e i limiti del sistema giolittiano, che avrebbero condizionato il successivo sviluppo dell’ economia italiana. Nel 1904 si arrivò allo sciopero generale, da parte degli operai e dei contadini, che segnò il declino del sindacalismo. Nel 1903 si tennero le prime elezioni a suffragio universale maschile a opera di Giolitti, ma non riuscì a coprire la crisi economica e il deficit causato al bilancio pubblico italiano. Così nel 1914 si dimise e le redini del governo vennero prese da Salandra che governò fino alla scoppio della prima guerra mondiale. Dopo l’ unità d’ Italia si manifestarono maggiormente le differenze fra nord e sud, quest’ ultimo era infatti caratterizzato da miseria, ignoranza, disoccupazione, mancavano strade, acquedotti e servizi pubblici. Lombroso, Sergi e Nicefore affermarono che l’inferiorità del sud dipendeva dall’ inferiorità della razza meridionale. Ma per Salvemini “ la razza si forma come effetto della storia e non come sua causa ”. Per Luigi Einaudi, solo una pseudo – sociologia ciarlatana può distinguere due razze in Italia, una caratterizzata dal progresso e l’ altra dalle barbarie. Al nord la ricchezza si è potuta creare più in fretta, a differenza del sud, caratterizzato da circostanze storiche, politiche e sociali che hanno portato un ritardo allo sviluppo. Quali ad esempio la mancanza dei Comuni, l’ esistenza del baronaggio, la persistenza dei latifondisti, il dominio straniero soprattutto quello spagnolo, non permettendo così la formazione di una classe sociale borghese.
Villari ha affermato che la delinquenza fu una conseguenza della miseria, nelle regioni del sud, e delle ingiustizie subite dagli altri meridionali, e non può essere ritenuta un fattore biologico ereditario. Egli smentisce anche la tesi che il suolo meridionale sia sterile. In realtà l’ uso sbagliato della rotazione delle colture e la mancanza di concimi e fertilizzanti non resero possibile lo sviluppo in questo settore. De Castro afferma che è sbagliato incolpare i meridionali di un’ eccessiva fecondità come causa del disagio. La colpa va alla struttura economico – produttiva, incapace di utilizzare la nuova forza lavoro, cosa che, invece, sono in grado di fare le zone industrializzate. Dopo il 1861 Cavour aveva realizzato un piano che consentiva all’ Italia meridionale di diventare l’ epicentro dei commerci. Il piano prevedeva la costruzione di strade, acquedotti, ferrovie, mercati, l’ istituzione di scuole tecniche, l’ industrializzazione. La morte precoce non gli consentì di attuare questo suo piano, ne tanto meno se ne occuparono i suoi successori. Durante il socialismo e il marxismo si cominciò a parlare di brigantaggio, inteso come una vera e propria guerra sociale. Secondo Moggese il brigantaggio è l’ unica guerra che la classe contadina riesce a condurre, pure lottando da sola. I briganti lottavano contro la repressione statale, e contro i galantuomini per vendicarsi delle sopraffazioni subite. La sinistra storica cercò allora di risolvere la questione meridionale attraverso l’estensione del diritto di voto. Ma tale estensione del diritto di voto fu quasi vana, infatti, come ci viene raccontato dalle parole di Franchetti “ Tale estensione avvantaggiò i galantuomini, ai cafoni fu vietato l’ accesso alle cariche pubbliche per la loro ignoranza ”. Per Salvemini il suffragio universale avrebbe permesso al meridione di rialzarsi, infatti, i governi conferirono alla piccola borghesia presente nel meridione, pieni poteri. Sarebbe stato necessario però togliere il monopolio di tali poteri a questa borghesia per estender il diritto di voto a tutti i contadini. Secondo Nitti “ La questione meridionale di seguito all’ unità peggiorò, le tasse del sud, infatti, invece di diminuire aumentarono, vi erano imposte sui fabbricati, le imposte di ricchezza mobile, tasse di registro e di bollo e così via. Il sud diede allo Stato un contributo di imposte e di tasse nettamente superiore rispetto al nord. A distanza di tantissimi anni il problema meridionale è ancora aperto, mancano le assistenze tecniche, un miglior impiego del capitale, una classe dirigente che miri al bene della comunità e la mancata volontà di porre fine al malcostume, alla delinquenza e alla corruzione. Fra il 1800 e il 1900 si diffuse in Francia e in Italia il Modernismo, un movimento di pensiero di matrice cattolica che raggruppava sacerdoti e laici, basato su alcuni punti fondamentali: la separazione fra scienza e fede; la libertà di ricerca; il rinnovamento nell’ interpretazione delle Sacre Scritture; l’ apertura verso il pensiero e i movimenti della società moderna; la polemica contro il carattere verticistico dell’ organizzazione ecclesiastica. Il modernismo venne condannato da Pio X con l’ enciclica Pascendi del 1907, cui seguì l’ obbligo per i sacerdoti di prestare giuramento antimodernista. Forse nessuna questione della nostra storia ha alimentato un dibattito altrettanto acceso e ancora aperto come quello della questione meridionale. È impossibile fornire una ricostruzione dettagliata di tale dibattito. Si può però dire che, sin dagli inizi del 900, la letteratura meridionalistica ha seguito un’ impostazione di fondo consistente nel vedere un rapporto di interdipendenza fra il ritardo economico del sud e lo sviluppo del nord. Le scelte politiche della classe dirigente, in altri termini, avrebbero deliberatamente privilegiato il nord, drenando risorse dal meridione e investendo nello sviluppo industriale del settentrione.