Cattedrale Cosenza: restauratori all'opera per risvegliare l'antica bellezza

Bisturi, cotone e chimica: il lifting del Duomo di Cosenza

La cattedrale compie ottocento anni, con molte glorie e qualche acciacco. I tecnici sono all'opera per riportare alla luce gli affreschi antichi, coperti dagli stucchi e dai rifacimenti, mentre la chiesa continua ad essere un riferimento per la comunità dei fedeli

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La cattedrale di Cosenza è una signora di 800 anni, un poco austera ma accogliente. La storia scorre tra le sue pietre rosa di Mendicino, coi suoi inevitabili scompigli.
Un terremoto distrusse nel 1184 l’antica chiesa paleocristiana e la cattedrale fu ricostruita sui resti della precedente. Al riguardo, non tutte le fonti coincidono: secondo alcune ipotesi, la cattedrale sarebbe stata spostata per un certo periodo ai piedi del castello svevo. Tuttavia, non si hanno notizie certe. Poi arrivarono i restauri e alcuni rifacimenti irrispettosi dello stile originario, romanico-cistercense con innesti gotici. Di tutto ciò la Signora porta i segni con orgoglio. Senza cicatrici nessuna vita può dirsi davvero tale. Con un bagaglio di memorie, identità e qualche mistero, la cattedrale di Cosenza quest’anno festeggia l’ottavo centenario e continua a vivere nelle storie che la abitano.

Cotone e bisturi per recuperare gli affreschi

Queste storie sono il prodotto di mani laboriose. Quelle di Isabella Valente cercano di riportare alla luce alcuni affreschi che un tempo abbellivano le pareti del Duomo e che poi furono ricoperti. Un lavoro delicato, con cui la studentessa si laureerà in Conservazione e restauro dei beni culturali all’Università della Calabria.
Isabella, 27 anni, di Crotone, usa un bisturi per rimuovere l’intonaco, dopo averlo ammorbidito con un batuffolo di cotone imbevuto d’acqua. Già s’intravedono due figure di santi ma per identificarli servono tempo e pazienza. «È l’aspetto archeologico a rendere il lavoro interessante, e la pulitura permette di riconoscere le figure». Questo lavoro le è stato assegnato perché è precisa e minuta. Il cantiere, alla fine della navata sinistra, è piccolino.
Isabella (una dei primi laureati del corso di laurea, istituito sei anni fa e coordinato dalla professoressa Donatella Barca) alterna giornate di lavoro in cantiere a momenti di studio all’università, quando c’è da attendere i risultati di laboratorio.

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Angelo dell’Annunciazione, altro affresco recuperato grazie ai restauratori

Lifiting a regola d’arte

«Prima c’è la fase diagnostica: attraverso raggi X e infrarossi si cerca di capire com’è composto il dipinto. Poi si applicano i reagenti chimici. Innanzitutto per la pulitura, dove la pittura presenta strati che non consentono la lettura. E poi per il consolidamento dove la materia pittorica è indebolita dal passare del tempo», spiega Raffaella Greca, docente di Restauro, una dei relatori della tesi di laurea.
«I reagenti chimici cambiano a seconda della composizione del colore, per bilanciarne il Ph. Si lavora affinché i materiali siano compatibili con quelli storici e per la reversibilità dei trattamenti». Le restauratrici spesso lavorano accompagnate dal suono dell’organo Mascioni. Anche l’organo, uno dei più grandi al Sud, è un’attrazione: gli studenti del conservatorio vanno spesso ad esercitarsi in cattedrale.

Stile su stile

Il ciclo pittorico risale probabilmente al 1300, ma la datazione è ancora incerta.
Stesso discorso per gli altri due affreschi visibili su alcuni pilastri della navata destra: un Cristo e l’Angelo dell’Annunciazione.
Furono ricoperti di intonaci e stucchi barocchi durante la più imponente trasformazione della cattedrale, avvenuta nel ’700 per volontà dell’arcivescovo Capece Galeota. «Quando si voleva rinnovare la diocesi, si modificava la cattedrale come segno di cambiamento», spiega suor Valentina.

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Un affresco di Gesù recuperato grazie al restauro

Di Milano, 40 anni, è a Cosenza quasi da due, dopo essere stata formata come educatrice. Lavora coi bambini e i ragazzi dei quartieri Santa Lucia e Spirito Santo, insieme alle associazioni S. Lucia e San Pancrazio, per contrastare l’abbandono scolastico.
Con alcuni di loro porta avanti il progetto “Pietre vive”. Ai ragazzi insegna a fare le guide, dopo una formazione storico-artistica e degli aspetti liturgici legati all’architettura. «Per esempio, l’arco della navata centrale del duomo non è perfettamente centrato perché simboleggia il Cristo in croce con la testa reclinata da un lato. Un simbolismo proprio dell’architettura cistercense».

Psicoterapia di gruppo in cattedrale

Nella cattedrale di Cosenza si può imparare anche ad ascoltare sé stessi.
Da novembre 2021 lo psicologo Domenico Mastroscusa incontra i genitori dei ragazzi impegnati col catechismo per un percorso (gratuito) di psicoterapia di gruppo.
Una volta al mese si ritrovano nella sala capitolare, una sala riunioni realizzata nel 1950. «Molti genitori lamentano problemi nel rapporto coi figli, così è nata l’idea di fare questi incontri».
Ma non è una passeggiata. «Siamo partiti con 5 papà e ora sono rimaste solo le mamme. C’è ancora un pregiudizio sull’educazione dei figli che si considera prerogativa femminile», dice lo psicologo.

Lo psicologo Domenico Mastroscusa durante una seduta coi genitori

Una mamma separata, che vuole restare anonima, ne sa qualcosa. «Con mio figlio di 13 anni siamo riusciti a creare un rapporto col padre solo grazie allo sport».
Caterina Paletta, invece, grazie a questo percorso ha messo in discussione l’educazione che aveva ricevuto. «Ho avuto una madre rigida e mi comportavo allo stesso modo con mia figlia. Ora lei mi racconta il suo mondo».

Il lavoro nei quartieri

Don Luca Perri con i ragazzi del catechismo

La cattedrale di Cosenza è anche un punto d’osservazione privilegiato del centro storico e dei suoi problemi sociali e strutturali.
«Organizziamo la recita del rosario nei quartieri, ogni primo venerdì del mese portiamo la comunione a casa dei malati, poi c’è la benedizione delle case: questo è anche un modo per monitorare la situazione. Quando è critica, come nel quartiere di Santa Lucia, tentiamo di dialogare coi servizi sociali», racconta don Luca Perri, rettore della cattedrale dal 2016, dopo essere stato il vice del suo predecessore, don Giacomo Tuoto (a lui si deve una guida approfondita sulla cattedrale di Cosenza edita da Pellegrini e ristampata quest’anno).

Aria d’Europa: da Isabella d’Aragona allo Stupor Mundi

Don Luca è anche socio fondatore dell’associazione 8centoCosenza, che cura le celebrazioni per l’ottavo centenario della cattedrale.
Lo storico dell’arte Tomaso Montanari ha tenuto una lectio magistralis sul Duomo di Cosenza, elogiandone il meticciato artistico-culturale, a cominciare dal monumento funebre a Isabella d’Aragona, del 1275 circa, di ignoto artista francese.

Il mausoleo funebre di Isabella d’Aragona

La spagnola regina di Francia era incinta di sei mesi quando cadde da cavallo attraversando il fiume Savuto, di rientro dall’ottava crociata. Secondo alcune ipotesi, le parti deteriorabili del suo corpo, compreso il feto, furono seppellite al Castello Svevo, mentre lo scheletro fu trasferito in Francia.
Nel duomo rimane il mausoleo che per lo storico dell’arte Cesare Brandi vale da solo una visita a Cosenza. Il monumento fu nascosto nel ‘500, poi riposizionato dove doveva trovarsi in origine, nel transetto, sul lato sinistro. La storia della cattedrale s’intreccia con la storia della città e quella europea anche in altre occasioni. Quando l’imperatore Federico II venne a Cosenza per la consacrazione del duomo, il 30 gennaio 1222, probabilmente per la prima volta la città dei bruzi adottò il gonfalone coi sette colli.

Piccole storie importanti

Ma le piccole storie tengono in vita la cattedrale. Maria Anna Marrello ne custodisce le chiavi dal 1997, apre e chiude la chiesa tutti i giorni da allora. «All’inizio non volevo questa responsabilità, anche la famiglia era contraria». Poi la fede ha preso il sopravvento.
La signora Annamaria, come la chiamano tutti, ha 73 anni ed è l’assistente del parroco. Dal suo mazzo di chiavi estrae quella che apre la grande porta di legno intagliato della sagrestia. Poi apre i bellissimi armadi all’interno (tutti opera di artigiani roglianesi del 1700, come il coro ligneo nell’abside), per mostrare le tende che ha cucito per il tabernacolo e le tovaglie con cui prepara l’altare prima delle funzioni religiose.

Maria Anna Marrello e Giovanna Brescia, le “tutrici” della cattedrale

La signora Giovanna Brescia, 80 anni, la aiuta di tanto in tanto con le pulizie, lavando a mano la biancheria più delicata.
Ad esempio, i due corporali in lino, le tovaglie che si mettono sotto il calice, ricamati a punto a giorno, con le spighe e l’uva, da donna Rachele Andreotti Loria in occasione della visita del cardinale Parolin. La signora è una professoressa in pensione del liceo classico Telesio, discende da antica famiglia nobiliare della città ed ha ereditato il palazzo Giannuzzi Savelli.

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L’ingresso della cappella dei nobili

Il mistero della cappella dei nobili

Proprio il barone Domenico Giannuzzi Savelli fece restaurare, alla fine del ’700, la cappella dei nobili.
Quest’antica chiesetta del ’400 sorge nel giardino, sull’antico cimitero della cattedrale, ricoperto dopo che l’editto di Saint-Cloud nel 1804 vietò le sepolture entro le mura cittadine. Vi si accede dall’interno, dal corridoio della sagrestia del duomo, e versa in stato d’abbandono.

Fossa funebre della Cappella dei nobili

Sul pavimento della chiesa si vedono le fosse tombali in cui venivano sistemati i cadaveri in posizione seduta per far confluire gli umori della decomposizione in un canale di scolo sottostante. I corpi subivano così una mummificazione naturale. La congregazione dei nobili della città, cui era stata ceduta la chiesa, si occupava infatti di dare sepoltura ai condannati a morte.
Chissà se i 2 milioni di euro stanziati dal ministero per la cattedrale si potranno usare, tra le altre cose, anche per restaurare la cappella dei nobili.

Simona Negrelli

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