Indennità di cessazione del rapporto di agenzia: contrasto tra art. 1751 c.c. e contrattazione collettiva

Approfondimento a cura dell'Avv. Valentina Minelli

La disciplina codicistica del contratto di agenzia (in particolare l’art. 1751 c.c.) e la relativa contrattazione collettiva (di seguito anche “AEC” o “accordi economici collettivi”) regolano differentemente le indennità dovute all’agente a seguito della cessazione del contratto di agenzia: l'incongruenza è ravvisabile nei presupposti, nelle modalità di calcolo e nella ratio sottesa alla formulazione delle norme in oggetto.

Premesso che la rottura del rapporto intercorrente tra preponente e agente determina il sorgere di un peculiare diritto in capo all’agente per l’apporto dello stesso nell’esecuzione del contratto in termini di ricerca ed implementazione della clientela e dunque degli affari a vantaggio del preponente, occorre definire la natura e la quantificazione di tale diritto. L’art. 1751 c.c. (nella formulazione post D.lgs. n. 303/1991, di attuazione della direttiva CEE 86/653) prevede quanto segue: "1. all'atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti. 2. L'indennità non è dovuta: quando il preponente risolve il contratto per un'inadempienza imputabile all'agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto; quando l'agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all'agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività; quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l'agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d'agenzia. 3. L'importo dell'indennità non può superare una cifra equivalente ad un'indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione. 4. La concessione dell'indennità non priva comunque l'agente del diritto all'eventuale risarcimento dei danni. 5. L'agente decade dal diritto all'indennità prevista dal presente articolo se, nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto, omette di comunicare al preponente l'intenzione di far valere i propri diritti. 6. Le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell'agente. 7. L'indennità è dovuta anche se il rapporto cessa per morte dell'agente." In termini differenti è stata invece formulata la disciplina dell’indennità in oggetto da parte della contrattazione collettiva: in particolare, l’art. 10 dell’AEC Industria del 2014 (e successive modifiche) riconosce tre distinte voci: 1. indennità per la cessazione del rapporto di agenzia, riconosciuta all’agente “anche in assenza di un incremento della clientela e/o del giro di affari”; 2. indennità suppletiva di clientela, riconosciuta all’agente “in assenza di un incremento della clientela e/o del giro di affari” e connessa esclusivamente all’ammontare delle provvigioni percepite nel corso del rapporto; 3. indennità meritocratica, collegata all’incremento della clientela e/o del giro di affari e ai vantaggi in capo al preponente dopo la cessazione, determinata in base al sistema di calcolo definito all’art. 11 dell’AEC (che tiene conto esclusivamente dell’ammontare delle provvigioni e della durata del contratto, con il solo limite di non poter superare l’importo massimo previsto dall’art. 1751, comma 3, c.c.). Appare evidente il determinarsi di una questione interpretativa di derogabilità o meno dell’art. 1751 c.c., soprattutto alla luce del comma 6 della medesima norma, che sancisce espressamente l’inderogabilità della disciplina codicistica a svantaggio dell’agente. La ratio di tale articolo viene individuata in una sorta di “premialità” al merito dell’agente che nell’esecuzione del contratto ha fornito al preponente un significativo contributo al fine di costruire una rete di clientela più o meno stabile che apporti vantaggi al preponente stesso anche in epoca successiva alla cessazione del rapporto di agenzia. Ebbene, tale ultima considerazione non pare potersi riscontrare nelle ragioni sottese alla formulazione dell’AEC sopra menzionato, ai sensi del quale rilevano esclusivamente le provvigioni percepite nel corso del contratto e la durata dello stesso (ciò vale anche per l’indennità c.d. “meritocratica”). Sul tema è intervenuta la Corte di Giustizia dell'UE con sentenza del 23.03.2006 (C-465/04), la quale (investita, invero, di una duplice questione pregiudiziale1) ha ritenuto invalide le clausole dell’AEC, pronunciandosi nei seguenti termini: “l'art. 19 della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, dev'essere interpretato nel senso che l'indennità di cessazione del rapporto che risulta dall'applicazione dell'art. 17, n. 2, di tale direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un'indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest'ultima disposizione a meno che non sia provato che l'applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all'agente commerciale un'indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall'applicazione della detta disposizione”. Più specificamente, la Corte di Giustizia ha affermato che la valutazione ai fini della inderogabilità in peggio per l’agente ex art. 1751 c.c. deve essere effettuata ex ante, ossia al momento della sottoscrizione del contratto e non dopo la cessazione del rapporto. Di conseguenza, è considerata ammissibile una derogabilità in meglio, che preveda, cioè, la corresponsione all’agente di un’indennità di cessazione del rapporto pari o superiore al massimo previsto dalla legge e che ciò venga pattuito in termini certi al momento della sottoscrizione del contratto. A fronte di tali precisazioni, le regole previste dalla contrattazione collettiva non sembrano rientrare nell’ambito di derogabilità in meglio (in quanto non prevedono un’indennità pari o superiore a quella prevista dalla Direttiva CEE 886/653 e dunque dall’art. 1751 c.c.). In sintesi, la Corte di Giustizia dell’UE ha formulato i seguenti principi: - la disciplina indennitaria di cui all’art. 1751 c.c. (art. 17 direttiva CEE 86/653) ha natura meritocratica; - la disciplina della direttiva ha carattere imperativo, così come le norme nazionali che vi danno attuazione; - la deroga a tale disciplina è ammessa solo se si può verificare ex ante; - la contrattazione collettiva non può derogare il sistema indennitario previsto dalla direttiva e quindi dall’art. 1751 c.c.. Tuttavia, successivamente a tale intervento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha assunto una posizione non del tutto in linea con i Giudici di Lussemburgo. In particolare, secondo la Suprema Corte la valutazione sulla (in)derogabilità della disciplina codicistica andrebbe effettuata a posteriori, con riferimento al caso concreto. In tale ipotesi, dunque, graverebbe sull’agente l’onere di provare in giudizio in modo dettagliato la differenza peggiorativa a proprio carico mentre il preponente dovrebbe provare il contrario (v. ex multis Cass. Civ. n. 4056/2008, Cass. Civ. n. 18413/2013). In epoca più recente la Corte di Cassazione ha attenuato la propria posizione, affermando che “in tema di indennità per cessazione del rapporto di agenzia, a seguito della sentenza della CGUE, 23 marzo 2006, in causa C-465/04, interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione della stessa, nel regime precedente l'AEC del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l'"indennità meritocratica", ove l'agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell'art. 1751, comma 1, c.c., è necessario verificare - non secondo una valutazione complessiva "ex ante" dell'operato dell'agente, ma secondo un esame dei dati concreti "ex post" - se, fermi i limiti posti dall'art. 1751, coma 3, c.c., l'indennità determinata secondo l'accordo collettivo per gli agenti di commercio, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l'agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità” (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 14.01.2016, n. 486). Sotto il profilo strettamente tecnico-normativo, tale presa di posizione della Suprema Corte ha determinato qualche critica, in quanto, non allineandosi pienamente all'orientamento della Corte di Giustizia, essa costituirebbe una violazione del principio del diritto dell’Unione europea secondo cui i giudici nazionali sono tenuti ad interpretare le norme che attuano le direttive europee in conformità alle stesse. Peraltro, nel caso di specie, occorre tenere in considerazione gli effetti erga omnes e la portata vincolante delle sentenze della Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Ferme le perplessità esposte, si rileva come da un lato la posizione nazionale non sia stata oggetto di alcuna formale procedura europea di infrazione o inadempimento; dall’altro come nelle pronunce più recenti della Cassazione emerga un avvicinamento all’indirizzo comunitario. Sotto il profilo pratico, la Dottrina prevalente ha evidenziato come al momento dello scioglimento del contratto l’agente possa legittimamente chiedere all’ente previdenziale (Enasarco) la corresponsione dell’indennità di cessazione del rapporto quantificata secondo i criteri della contrattazione collettiva: nell’ipotesi in cui le somme accantonate sulla base di tali criteri risultino inferiori rispetto ai calcoli effettuati ex art. 1751 c.c., l’agente potrà pretendere dal preponente la corresponsione della differenza dovuta.

1 La seconda questione interpretativa oggetto di rinvio pregiudiziale riguarda le modalità di calcolo dell’indennità, in merito alla quale la Corte di Giustizia si è espressa nei seguenti termini: “all’interno dell’ambito fissato dall’art. 17, n. 2, della direttiva 86/653, gli Stati membri godono di un potere discrezionale che essi sono liberi di esercitare, in particolare, con riferimento al criterio dell’equità”.