SAGGIO in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

SAGGIO

Enciclopedia Italiana (1936)

SAGGIO

Mario Praz

Composizione relativamente breve e di carattere spigliato che investe un soggetto, senza pretesa di esaurirlo, da un punto di vista opposto a quello della trattazione sistematica. Col nome di saggio si designano scritti di tipo assai diverso; si possono tuttavia distinguere tre classi principali:1. la trattazione non esauriente di un argomento storico, biografico o critico: quello che con altro nome si chiama studio, contributo, e (per la biografia) profilo. Queste trattazioni possono contenersi in non molte pagine, come i Lundis di Sainte-Beuve; ma anche vere monografie, in cui non ricorrono i requisiti della brevità e della spigliatezza di tono, sono spesso dette come saggi; per es. il Saggio sul Petrarca del De Sanctis. 2. La breve descrizione d'un luogo o d'un carattere, sia quest'ultimo generico (come in Teofrasto, e nei suoi imitatori), o specifico (per esempio i medaglioni di Enrico Nencioni, le Vies imaginaires di Marcel Schwob); altri nomi per questo tipo: schizzo, bozzetto. 3. Il saggio puramente espositivo, di cui si hanno tre tipi: a) il saggio che dà un ristretto dell'esperienza e dell'informazione dell'autore intorno a un argomento; b) il saggio che offre una disquisizione non formale intorno a un punto del costume o del gusto; c) il saggio che si serve del normale processo espositivo a fine burlesco. È in questa terza classe, nelle sue varietà, che il saggio trova il suo vero e proprio campo e la sua genealogia storicamente accertabile, dall'epistolografia degli antichi all'articolo di terza pagina dei giornali italiani moderni.

Il tono peculiare del saggio, di disinvoltura e familiarità col lettore, gli viene infatti dalla forma epistolare che ne è alle origini, adottata da Cicerone, accanto al dialogo (di origine platonica), per più comoda e divulgativa esposizione di soggetti filosofici. Gli opuscoli morali di Plutarco, le epistole e qualche trattatello di Seneca, di questo tipo, offrono modelli ai Padri della Chiesa, Plutarco ai greci, Seneca ai latini. Si possono considerare saggi le epistole degli apostoli, la lettera di S. Girolamo a Furia, ove schernisce il lusso femminile, e, seguendo questo filone attraverso i secoli, l'epistola di Walter Map (sec. XII) a uno dei suoi amici intitolata Valerius ad Rufinum, de non ducenda uxore. Della forma epistolare si servirono gli umanisti per la trattazione di soggetti eruditi, come quella che permetteva di combinare con l'ammaestramento il diletto: Petrarca, Coluccio Salutati si misero per questa via. Il pretesto epistolare spesso non sopravviveva che nella soprascritta, ma anche se appena accennato (in una lettera dedicatoria indipendente, come, per es., nel De libertate christiana di Lutero), faceva sentire il suo influsso nella spigliatezza del ragionamento che legava insieme quel florilegio di massime degli antichi, di esempî e di aneddoti, che costituiva il nucleo dei trattatelli umanistici. (Per avere un'idea della grande varietà di questo genere si pensi all'Encomium moriae di Erasmo, ai Ragionamenti cinquecenteschi, ecc.). Trattatelli di quel tipo sono appunto i meno originali tra gli essais del Montaigne, che fu il primo a usare per questo genere di componimento il nome di saggio. Il Montaigne, d'altronde, accentuò il sapore d'intimità e di familiarità, sostituendo al tono ancora anonimo e cattedratico (nonostante la finzione epistolare) dei predecessori classici e umanistici la sua piana e adorna conversazione di perfetto gentiluomo. Egli finì di dare al saggio quel deciso carattere di esposizione delle proprie opinioni, sia pur non ortodosse e dettate da idiosincrasie personali, sovente anzi da momentanei capricci, che doveva esser così fecondo di svolgimenti. Assai più rigidi gli Essays di Francesco Bacone, collezioni di riflessioni, di generalizzazioni e di citazioni d'altri autori legate insieme per servire d'avvertimenti civili e morali (come dice il titolo stesso: Essays, Counsels, Civill and Morall): i saggi di Bacone segnano invero il punto d'arrivo della tradizione umanistica del saggio, mentre i più originali tra i saggi del Montaigne segnano il principio della tradizione moderna che si afferma con Joseph Addison.

In Addison troviamo il saggio descrittivo - del genere trattato da Bacone nella descrizione della villa e del giardino ideali -, e soprattutto i due tipi classificati sopra come 3 b) e 3 c). Esempî di quest'ultimo, il famoso saggio sull'esercizio del ventaglio (Spectator, n. 102), quello sul fischietto (n. 381), quello contenente la proposta di nomina d'un controllore generale delle grida dei venditori ambulanti di Londra (n. 251), trovano i loro antecedenti nei "capitoli" del Berni (e simili: Varchi, Dolce, ecc.), i quali alla loro volta risalgono alle epistole e ai sermoni di Orazio. Come nelle epistole e nelle satire di Orazio l'esametro epico serviva alla parodia, così la terzina popolareggiante nel "capitolo". Nei capitoli cinquecenteschi cominciò a manifestarsi in forme rudimentali e grossolane l'umorismo: elogio di oggetti e panegirico di tipi umani che la comune degli uomini ritiene nocivi o insulsi o in altro modo indegni di seria attenzione; o difesa di posizioni spirituali che i più - quand'anche ne siano consci - si vergognano di riconoscere come proprie. Nello stile bernesco il comico è cercato con risorse d'ordine assai triviale: quali la parodia di versi solenni per dire cose meschine, i doppî sensi, quasi sempre osceni, e via dicendo. L'espediente di suffragare con squisitezze erudite l'enunciazione di cose volgari, che pure fu proprio di quello stile, si ritrova nello Sterne e raggiunge in Charles Lamb insuperabile acume.

Il fine didascalico, moraleggiante, proprio delle prime origini del saggio, fu molto accentuato in un'età, quale il Settecento inglese, in cui la satira dei costumi e l'idoleggiamento d'ideali forme di società costituivano motivi dominanti in letteratura: i saggi dell'Addison, dello Steele, del Goldsmith si proponevano di "bandire dai territorî della Gran Bretagna il vizio e l'ignoranza". Le opinioni, nel caso di quei giornalisti settecenteschi, ispirati anche alla forma, se non allo spirito, dei "caratteri" del La Bruyère (i quali alla loro volta risalgono a Teofrasto) erano illustrate con la presentazione di tipi, insieme curiosi e istruttivi (il Club dello Spectator: Will Honeycomb, sir Roger de Coverley, e gli altri personaggi), con la introduzione di episodî più o meno divertenti e di lettere reali o immaginarie (le quali ultime paiono quasi attestare l'origine epistolare del saggio). Così nei saggisti inglesi del Settecento confluiscono tutte le varie tendenze del saggio: quella etica che datava dalle epistole morali di Seneca, quella umoristica che era fiorita nei capitoli, nelle cicalate, nelle baie del Cinquecento italiano, quella più intima ed autobiografica che portava l'impronta del Montaigne (per esempio le Recollections of Childhood dello Steele). Lo sviluppo del giornalismo dissocierà poi l'articolo di fondo d'indole polemica dal saggio vero e proprio che diverrà l'attuale articolo di terza pagina. Ma in questi ulteriori sviluppi si perderanno quei caratteri di affabile intimità col lettore, di dignità, quasi di guida spirituale laica, di serenità, d'illuminato e arguto giudizio, che contraddistinguono lo Spectator di Addison (ormeggiato da G. Gozzi) e il Rambler del Johnson.

È naturale che in un'età meno affaccendata con i problemi di casistica, preoccupata, invece, di registrare le sfumature della propria sensibilità, come fu appunto l'età romantica, il saggio dovesse divenire uno strumento, il più agile e il più efficace, dell'autobiografia. Il romanticismo scoprì l'autobiografia, intesa nel senso non di vita esemplare, ma di appassionato documento umano: il creatore del saggio autobiografico moderno fu Charles Lamb, in un gruppo di composizioni (Recollections of Christ's Hospital, Dream Children, Old China, ecc.), in cui il saggista può venire definito un lirico in prosa, intento a fissare un ritmo troppo sottile per il verso, e vivace come il cicaleccio d'una conversazione. Evidentissimo è in Lamb il nesso con l'epistolografia, ché alcuni dei suoi saggi (per esempio la famosa Dissertation upon Roast Pig) nacquero come lettere ad amici. Questa tendenza più intima del saggio è stata fecondissima in Inghilterra (per es., R. L. Stevenson, Max Beerbohm, ecc.).

Una gloriosa tradizione saggistica italiana è quella che ha fiorito nella terza pagina dei quotidiani: articoli di varietà, ricordi e profili, fantasie e bizzarie, di U. Ojetti, E. Cecchi, A. Baldini, E. Giovannetti, ecc.

Bibl.: C. E. Whitmore, The Field of the Essay, in Publications of the Modern Language Association of America, XXXVI (1921); H. V. Routh, Origins of the Essay in French and English Literatures, in Modern Language Review, XV (1920); H. Walker, The English Essay and Essaysts, Londra 1915; W. L. MacDonald, The Beginnings of the English Essay, in University of Toronto Studies; E. C. Baldwin, The Relation of the Seventeenth Century Character to the Periodical Essay, in Publications of the Modern Language Association of America, XIX (1904); E. Rhys, introduzione a Modern English Essays, voll. 5, Londra 1922; P. Villey, Les sources et l'évolution des Essais de Montaigne, Parigi 1908; E. Cecchi, Dell'articolo di giornale, in La Stampa, 11 gennaio 1924 (ripubblicato in L'Osteria del cattivo tempo, Milano 1927); M. Praz, introduzione a C. Lamb, Saggi di Elia, Lanciano 1924.

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