Gianfelice Facchetti: "Una finale meritata e inaspettata, Papà Giacinto direbbe all'Inter che non si parte battuti" - HuffPost Italia

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Gianfelice Facchetti: "Una finale meritata e inaspettata, Papà Giacinto direbbe all'Inter che non si parte battuti"

Gianfelice Facchetti: Una finale meritata e inaspettata, Papà Giacinto direbbe all'Inter che non si parte battuti

Attore di teatro e scrittore, oltre che interista. Per Gianfelice Facchetti, figlio di Giacinto, storica bandiera nerazzurra, la fede calcistica è assimilabile a una professione, seppur diversa dalle altre. È talmente “intima” e personale che non se la sente di trasformarla in un qualcosa di pubblico, ad esempio uno spettacolo, come ha spiegato a Huffpost parlando delle ultime ore che lo separano dalla partita più importante degli ultimi tredici anni. La finale di Champions League fra Manchester City e Inter, di scena stasera a Istanbul, è considerata da molti come una lotta tra Davide e Golia, dove ad avere la fionda come unica arma è la compagine meneghina. Non per Facchetti, che si sta assaporando l’attesa con la tranquillità di chi ha solo da guadagnare.

Con quali sensazioni arrivi alla partita di stasera? È più la speranza o la fiducia?

La sto vivendo molto serenamente, perché innanzitutto è una finale guadagnata e meritata, ma anche inaspettata. Penso che se qualcuno avesse avuto delle previsioni sul percorso dell’Inter di quest’anno, magari avrebbe puntato sulla vittoria del campionato, un obiettivo più alla portata vista anche la sconfitta della scorsa stagione. Non si pensava di certo all’Europa, men che meno dopo i sorteggi dei gironi. Via via che la cavalcata andava avanti, si è invece trasformata nel posto in cui la rosa rendeva al meglio, mentre perdeva colpi in campionato. La squadra è arrivata alla finale ritrovando giocatori e una condizione fisica molto buona, giocando i tre turni a eliminazione diretta al meglio, senza sbagliare mai l’approccio. Quindi sono sereno. Anche se i pronostici sono per gli altri, non partiamo battuti.

Real Madrid 1964; Benfica 1965; Celtic 1967; Ajax 1972; Bayern Monaco 2010. Quella di stasera è la sesta finale di Champions League, quattro giocate quando la competizione era ancora Coppa Campioni. Con quale delle precedenti ritrovi più somiglianze?

Sicuramente non quella col Celtic, perché l’Inter arrivò stremata alla fine di quella stagione. Nel giro di pochi giorni perse campionato e Coppa Campioni, ma era la fine di un ciclo. Con l’Ajax c’era stato quell’episodio con il Borussia Mönchengladbach che ci ha dato la possibilità di rigiocare la partita (causa una bottiglietta in testa a Roberto Boninsegna: se il regolamento fosse lo stesso di mezzo secolo fa, mercoledì la Fiorentina avrebbe più di una speranza per il caso Biraghi, ndr) e siamo riusciti ad arrivare in finale.

Il fatto che non somiglino alla partita di stasera è già qualcosa, visto che sono state le uniche due perse dai nerazzurri.

Ho sentito un’intervista di Sandro Mazzola che ricordava quella del ‘64 contro il Real Madrid, quando lui, mio padre e gli altri si erano trovati uno squadrone che aveva vinto più Coppe dei Campioni. Se parliamo di pronostici, quella di oggi potrebbe ricordarla, visto che anche in quell’occasione pendevano solo da una parte.

La tifoseria interista si sta attaccando a ricorrenze e fatalità per provare a colmare il gap con il Manchester City ed esorcizzare la paura. Ne hai qualcuna anche tu? Ti suggerisco la più recente: l’ultima volta che il West Ham ha vinto una competizione europea…

Sì l’ho sentita. Anche io sono appassionato di storie e coincidenze, penso sia divertente conoscerle e fanno bene a essere evocate, soprattutto quando tutto spinge da un’altra parte. La storia ha un suo valore, dopodiché si gioca nel presente. Per le mie certezze da tifoso, penso alla squadra, a come ci arriva e a come ha dimostrato di poter giocare contro chiunque. Questa Inter ha tante leadership al suo interno e ha dimostrato di non aver paura. La mia tranquillità nasce da quello che ho visto nelle ultime settimane.

Hai qualche rito scaramantico da onorare?

Quello che avevo scelto di fare e che farò, non solo per un fatto di scaramanzia, era di vederla con i miei figli. Nel 2010 era nato il primogenito. Abbiamo quindi deciso di vederla a Milano.

Quattro anni fa, prima di un derby contro il Milan, a Repubblica raccontavi che l’unica cosa che tuo padre avrebbe cambiato nell’Inter era la maglia nelle occasioni delle gare europee: doveva essere solo ed esclusivamente a strisce nerazzurre. Nonostante sulla carta sia in trasferta, stasera la Uefa ha concesso comunque di giocare con la maglia di casa. Scelta saggia o un po’ di facciata per ripulirsi l’immagine?

Vedere il nerazzurro fa bene, soprattutto in una partita del genere che stonerebbe con altre maglie. Quali siano le ragioni dietro non so però decifrarle. Spero ci sia un po’ di logica infantile, ogni tanto qualche mossa viene anche indovinata e penso che possa essere una mossa spontanea. Certamente mio padre avrebbe apprezzato.

Cosa gli avrebbe detto alla squadra?

Di avere molta calma e consapevolezza che non sempre si parte battuti. Soprattutto quando tutto spinge in una direzione. L’Inter ha davvero le carte da giocarsi per mettersi di traverso.

Lui, tuo padre, diceva: “Ci sono giorni in cui essere interista è facile, altri in cui è doveroso e giorni in cui esserlo è un onore”. Oggi, dei tre quale giorno è?

Facile è sicuramente facilissimo. Doveroso non si fa fatica ad ammetterlo. Credo che bisogna essere orgogliosi perché, pur nelle difficoltà economiche che hanno portato a diminuire investimenti, si è fatto di necessità virtù vendendo i migliori ma trovando alternative validissime. Si deve essere orgogliosi, l’Inter che è arrivata in finale sta andando avanti nel segno migliore. Non deve essere un punto di arrivo, ma bisogna continuare a scrivere il presente e il futuro.

Hai portato in scena il monologo su Italia Germania 4-3 ai Mondiali in Messico del 1970. Con tutti gli scongiuri del caso, immaginiamo una vittoria stasera: farai lo stesso con Manchester City-Inter?

A parte che non immagino nulla... L’Inter è una cosa talmente personale e privata per come la vivo che non credo di poter portarla sul palco. Così come la storia di mio padre: qualcuno mi ha detto di portarla a teatro, ma non penso sia il luogo adatto.

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