Il cigno nero: perché il film di Aronofsky è uno dei migliori horror degli ultimi tempi - Movieplayer.it

Il cigno nero: perché il film di Aronofsky è uno dei migliori horror degli ultimi tempi

Una straordinaria Natalie Portman è Nina Sayers, ballerina alle prese con il proprio lato oscuro ne Il cigno nero, il cult horror diretto nel 2010 da Darren Aronofsky.

L'ho sentito. Perfetto... era perfetto.

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Il cigno nero: Natalie Portman nel finale del film

L'estatico primo piano di Natalie Portman. Le luci del palcoscenico che si tramutano in una dissolvenza in bianco. Gli applausi scroscianti del pubblico che invoca il nome di Nina. "It was perfect": in quella frase appena sussurrata è racchiuso il suggello de Il cigno nero, la constatazione di un trionfo assoluto oltre il quale, pertanto, non rimane più nulla. È la climax e insieme l'epilogo del film diretto dal regista newyorkese Darren Aronofsky e diventato un caso cinematografico fin dall'epoca della sua uscita nelle sale americane, il 3 dicembre 2010: un atipico horror d'autore che, amalgamando le fonti più disparate, ha saputo dar vita ad un connubio incredibilmente seducente.

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Il cigno nero: un'immagine di Natalie Portman

Nel soggetto di Black Swan, firmato da Andres Heinz, e nelle modalità di messa in scena di Aronofsky è possibile rintracciare infatti una pluralità di influenze: se il topos del balletto come frenesia dionisiaca e autodistruttiva rimanda al classico Scarpette rosse di Michael Powell ed Emeric Pressburger, il tono della pellicola rievoca invece certe atmosfere surreali e grottesche dei thriller di Roman Polanski (Repulsion, L'inquilino del terzo piano) o perfino del David Lynch di Mulholland Drive. Il cigno nero è soprattutto questo: un compendio di spunti, di motivi e di archetipi, intessuto attorno alla magnetica interpretazione di una ventinovenne Natalie Portman.

Una ragazza viene trasformata in un cigno...

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Il cigno nero: un'immagine di Natalie Portman

Dopo aver diviso la stampa già dalla sua presentazione all'apertura della Mostra di Venezia, tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011 Il cigno nero si conquista una sorprendente attenzione mediatica: oltre quaranta milioni di spettatori in tutto il mondo, cinque candidature agli Oscar, tra cui miglior film, e una valanga di trofei per Natalie Portman, inclusi il premio Oscar e il Golden Globe come miglior attrice. Un successo per nulla scontato se si considera la natura per certi versi provocatoria ed 'estrema' dell'opera di Darren Aronofsky, tuttavia più accessibile rispetto a quel Requiem for a Dream che lo aveva lanciato sulla ribalta internazionale dieci anni prima; una formula che il regista replicherà almeno in parte nel 2017 con Madre!, altro esempio di horror sui generis, destinato però a raccogliere assai minor fortuna.

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Il cigno nero: un'immagine del film
Black Swan Wallpaper Photo Natalie Portman As Nina Sayers
Il cigno nero: un'immagine di Natalie Portman

E uno degli aspetti più affascinanti de Il cigno nero risiede appunto nel carattere ibrido di un racconto in cui i codici dell'horror sono contaminati da una miriade di echi e di suggestioni; a partire dal capolavoro di Pëtr Ciajkovskij, il cui intreccio fiabesco funge da canovaccio e da trama-specchio nell'esplorazione del dualismo di Nina Sayers, la nuova étoile della compagnia di danza di New York alle prese con un allestimento de Il lago dei cigni al Lincoln Center. In un'apoteosi di metanarrativa il conflitto fra Odette e Odile, impegnate a contendersi l'amore del Principe Siegfried, si riflette nella scissione interiore di Nina: se la sua tecnica impeccabile e il suo candore virginale la rendono l'interprete ideale dell'eterea Odette, in compenso le sue inibizioni e l'incapacità di lasciarsi andare le impediscono di apparire convincente nei panni del "cigno nero" Odile.

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Il cigno nero: Vincent Cassel e Natalie Portman

Il contrasto fra gli opposti è dunque il nucleo al cuore del film di Aronofsky, che sulle valenze simboliche e psicanalitiche del doppelgänger non inventa nulla, ma piuttosto rielabora elementi già consolidati nell'immaginario collettivo: dal romanzo Il sosia di Fëdor Dostoevskij, dichiarata fonte d'ispirazione del regista, a Persona di Ingmar Bergman e alla successiva tradizione di drammi imperniati sull'ambiguità di figure femminili (un filone a cui appartiene pure Mulholland Drive di Lynch). Il cigno nero pesca a piene mani da questi riferimenti, talvolta con una disinvoltura e una spregiudicatezza che gli sono valse non poche critiche, ma senza mai il timore di rilanciare e di spingersi oltre: un'apoteosi barocca che si traduce in una moltiplicazione quasi parossistica del tema del doppelgänger.

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Il cigno nero: il personaggio di Natalie Portman allo specchio
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Il cigno nero: Mila Kunis e Natalie Portman

La dualità ricorre non a caso per l'intera durata della pellicola: madre e figlia, con la descrizione del rapporto di sudditanza psicologica di Nina verso la madre Erica (una raggelante Barbara Hershey), a sua volta ex ballerina che ha trasferito sulla figlia le proprie ambizioni professionali; la nuova star in ascesa e l'étoile sul viale del tramonto Beth Macintyre (Winona Ryder), resa oggetto di derisione da parte delle sue colleghe giovani e arriviste; la protagonista fragile e insicura e la sua antagonista Lily (Mila Kunis), ragazza spudorata e sensuale che si insinuerà nelle fantasie erotiche di Nina, ma che al contempo ne metterà a rischio la posizione di prima ballerina, in una riproposizione del meccanismo alla Eva contro Eva. Nina, in sostanza, è circondata da alter ego, e per tutto il film non potrà fare a meno di fronteggiare modelli speculari a se stessa e alla sua personalità.

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Il cigno nero: un'immagine di Natalie Portman

Ma la carta vincente de Il cigno nero, ciò che gli ha consentito di imporsi fra i cult dello scorso decennio, risiede nella scelta di declinare tale indagine (magari superficiale) della dualità di Nina in chiave orrorifica, trasfigurando l'ambiente del balletto e il dietro le quinte del palcoscenico in un microcosmo oscuro e inquietante, delineato attraverso i giochi di luci e ombre della fotografia di Matthew Libatique. Se nell'animo di Nina si consuma una battaglia serrata fra il cigno bianco e il cigno nero, il mondo intorno a lei è dominato non a caso dalle tinte del bianco e del nero; e si tratta di un mondo inesorabilmente minaccioso, popolato da sosia (reali o immaginari?) che si materializzano nell'oscurità di un corridoio o tra la folla della metropolitana, e da spettri che assumono le sembianze di disegni mostruosi appesi alle pareti o perfino di totem demoniaci.

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Il cigno nero: la statua Future Clone
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Il cigno nero: un'immagine di Winona Ryder

Proprio sotto uno di questi totem, la macabra statua alata Future Clone di Fritz Scholder, avviene il faccia a faccia fra Nina e Beth, la diva emergente (il clone?) e la sua "versione futura", affidata alla performance dolorosa e incisiva di Winona Ryder. Quando le due donne si incontreranno di nuovo, sarà nella stanza d'ospedale dove Beth sta scontando il proprio cupio dissolvi: le gambe dell'ex-étoile, strumento del suo talento, sono ora ridotte a un reticolo di ferri e cicatrici, evoluzione del body horror alla David Cronenberg; in seguito, durante una visita che è forse il parto di una mente allucinata, Nina osserverà Beth deturparsi il volto con delle lame, agghiacciante preludio alla definitiva discesa della sua 'erede' negli abissi della follia.

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Perfetto... era perfetto

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Il cigno nero: un primo piano di Natalie Portman

Quando Nina inizia a seguire le indicazioni del direttore artistico Thomas Leroy (Vincent Cassel), abbandonandosi alle proprie pulsioni, il suo labile equilibrio va in pezzi: è il passaggio al lato oscuro, il momento in cui l'inconscio prende il sopravvento sul super-io, sintetizzato dalla ribellione contro una madre che ha il ruolo di opprimente 'guardiana' (Nina se la ritrova accanto al letto mentre prova a masturbarsi). Nell'elettrizzante quarto d'ora finale, la sera della prima, Odette e Odile prendono letteralmente corpo in Nina, in un folgorante crescendo di tensione scandito dalle note di Ciajkovskij, che il compositore Clint Mansell recupera e rivisita nella colonna sonora del film. Di fronte a uno specchio, o meglio per mezzo di uno specchio (metafora scontata quanto efficace), Nina abbatte la sua rivale, e con lei l'ultimo ostacolo alla propria trasformazione.

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Il cigno nero: un'immagine di Natalie Portman
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Il cigno nero: Natalie Portman trasformata in Odile

Pochi minuti più tardi, al centro del palcoscenico, si completa la metamorfosi: il volto di Natalie Portman che si protende verso la macchina da presa, dritto davanti ai nostri occhi, è l'immagine più emblematica del film, un frammento di sublime, spaventosa bellezza. Il suo sguardo sbarrato e feroce non è più quello di Nina, o perlomeno della Nina che conosciamo, ma appartiene a Odile; il suo corpo che si ricopre di piume scure, le braccia che si dispiegano in due gigantesche ali nere sanciscono la vittoria del furor, la celebrazione del patto mefistofelico che sacrifica la vita sull'altare dell'arte. Ma se da quel sacrificio sarà scaturito anche solo un barlume di autentica, totale perfezione, ne sarà valsa la pena.

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