(PDF) Alessandro Turchi e il cardinale Maurizio di Savoia: la provenienza delle "Tre virtù teologali" | stefano pierguidi - Academia.edu
Alessandro Turchi e il cardinale Maurizio di Savoia: la provenienza delle Tre virtù teologali Stefano Pierguidi Nel terzo volume delle Schede Vesme del 1968, sotto il nome di «Alessan- dro Varotari», vennero pubblicati due pagamenti del 1625, ordinati dal car- dinale Maurizio di Savoia, relativi a dipinti ra√guranti Tre putti, intestati uno ad «Alessandro Varotari pittore venetiano» e l’altro ad «Alessandro Ve- ronese».1 L’errata identificazione e sovrapposizione del secondo con il primo, cioè con il Padovanino, ha a lungo ostacolato l’esatta ricostruzione di un im- portante ciclo di dipinti commissionato dal cardinale. In quello stesso 1625, infatti, sono registrati altri due pagamenti di Maurizio di Savoia a Domeni- chino e a Francesco Gessi relativi sempre a dipinti ra√guranti Tre putti.2 Fi- no a oggi è stato identificato solo quello dello Zampieri, conservato nella Gal- 28 leria Sabauda di Torino, sebbene non sia possibile seguirne tutte le vicende antiche, e soprattutto non compaia negli inventari dei beni del cardinale.3 Ugo Ruggeri è stato il primo a suggerire la possibilità che l’«Alessandro Ve- ronese» del secondo pagamento fosse in realtà Alessandro Turchi, detto l’Or- betto, generalmente indicato nei documenti come, appunto, «Alessandro Ve- ronese».4 Solo nel 1995, però, Michela Di Macco, ha sottolineato come il ciclo dei Tre putti fosse quindi costituito da quattro e non da tre tele,5 come peral- tro sarebbe stato logico aspettarsi. Si trattava, infatti, di un complesso in 1. Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, Torino 1968, III, p. 1082. 2. Ibidem, II, p. 521; III, p. 1109. 3. M. Di Macco, Quadreria di palazzo e pittori di corte. Le scelte ducali dal 1630 al 1684, in Figure del Barocco in Piemonte: la corte, la città, i cantieri, le provincie, a cura di G. Romano, Torino 1988, p. 46; Eadem, in Diana trionfatrice: arte di corte nel Piemonte del Seicento, catalogo della mostra a cura di G. Romano e M. Di Macco, Torino 1989, p. 100, n. 103. 4. U. Ruggeri, Alessandro Varotari, detto il Padovanino, «Saggi e memorie di storia dell’arte», 16, 1988, p. xxx; Idem, Il Padovanino, Soncino 1993, p. 106 nota 24; per i documenti romani in cui è menzionato l’Orbetto, cfr. il regesto in Alessandro Turchi detto l’Orbetto 1578-1649, catalogo della mo- stra a cura di D. Scaglietti Kelescian, Milano 1999, pp. 250-259. 5. M. Di Macco, “L’ornamento del Principe”: cultura figurativa di Maurizio di Savoia (1619-1627), in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino 1995, p. 364. L’impor- tante acquisizione della studiosa è completamente sfuggita a M. Oberli, “Magnificentia Princi- pis”: das Mäzenatentum des Prinzen und Kardinals Maurizio von Savoyen (1593-1657), Weimar 1999, pp. 94, 223-223. 37 stefano pierguidi qualche modo a√ancabile ai quattro celebri tondi con allegorie dei Quattro Elementi commissionati a Francesco Albani, sempre dal cardinale Maurizio, in quello stesso 1625, e inviati a Torino solo nel 1633 dopo il pagamento a saldo (le tele sono anch’esse oggi alla Galleria Sabauda).1 I pagamenti ai quat- tro artisti si susseguono veloci: i primi 30 scudi corrisposti a Padovanino so- no registrati il 30 maggio; seguono i 40 a Gessi dell’11 luglio, e i 50 a Dome- nichino il 30 dello stesso mese; infine, il 30 settembre, sono corrisposti i 40 scudi a Turchi.2 La disparità dei compensi non sorprende: Domenichino era certo l’artista di maggiore fama, ed evidentemente Gessi, anche solo in virtù del suo alunnato presso il ‘divino’ Reni, poteva godere di maggiore conside- razione rispetto a Padovanino. Daniele Benati ha proposto di attribuire ad Alessandro Turchi un dipin- i, 29 to ra√gurante Tre putti su una barca nelle vesti delle virtù teologali che, passato poi nella collezione Koelliker di Milano, è stato esposto nel 2006 ad Aric- cia alla mostra dal titolo La Schola del Caravaggio.3 La tela appartiene icono- graficamente alla stessa tradizione di un dipinto di Giuseppe Bartolomeo Chiari in cui le tre virtù cardinali accompagnano Pietro sulla navicella (1718- 1721, Frascati, Episcopio) e di uno di Francesco Manno in cui, al posto di Pietro, è il pontefice Pio VII (1803; Cesena, Palazzo Chiaramonti).4 Sebbe- ne di dimensioni sensibilmente maggiori (128 ⫻ 174 cm) della tela di Dome- nichino oggi alla Galleria Sabauda (102 ⫻ 154 cm), il quadro Koelliker è iden- tificabile, con ogni probabilità, con quello eseguito da Turchi per il cardinale Maurizio di Savoia: troppo forte, infatti, è la parentela compositiva e ico- nografica delle due opere perché si possa pensare a un’altra soluzione. Il di- pinto di Domenichino ra√gura in realtà un soggetto più inusuale rispetto a quello di Turchi ed è stato interpretato come una Allegoria dell’Architettura, dell’Astronomia e dell’Agricoltura.5 Fino a quando non saranno identificate le due tele di Gessi e Padovanino sarà impossibile pronunciarsi sul grado di coerenza concettuale del ciclo commissionato dal cardinale. Ma quello che è interessante notare, al di là del significato iconografico dei dipinti, è la scelta degli artisti chiamati ad eseguirli. È ben nota la predilezione di Mau- rizio di Savoia per i pittori classicisti bolognesi, da Guido Reni a Jacopo Se- 1. C. R. Puglisi, Francesco Albani, New Haven 1999, pp. 144-146, n. 60. 2. Le date dei pagamenti sono state ricontrollate e precisate in Di Macco, “L’ornamento del Prin- cipe” cit., pp. 364-365, nota 74. 3. G. Papi, La “schola” del Caravaggio: dipinti della Collezione Koelliker, catalogo della mostra, Mila- no 2006, p. 184. 4. M. B. Guerrieri Borsoi, in Il Settecento a Roma, catalogo della mostra a cura di A. Lo Bian- co e A. Negro, Cinisello Balsamo 2005, pp. 206-207; A. Imbellone, in Canova: l’ideale classico tra scultura e pittura, catalogo della mostra a cura di S. Androsov, F. Mazzocca, A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2009, pp. 158-160. 5. Sul significato del dipinto cfr. soprattutto R. E. Spear, Domenichino, I, New Haven 1982, pp. 259-260. 38 Alessandro Turchi e il cardinale Maurizio di Savoia menti, divenuto pittore di corte del cardinale nel corso degli anni che que- sti trascorse a Roma.1 Domenichino, Albani e Gessi sono naturalmente ri- conducibili a questo minimo comun denominatore della committenza del cardinale, mentre assai più sorprendente è la presenza, accanto a loro, di Padovanino e dello stesso Turchi. Il primo, pagato anche nel 1627 per un ritratto sempre di Maurizio di Savoia,2 non si impose mai sulla scena roma- na, e in città doveva essere noto soprattutto per le repliche dai Baccanali di Giovanni Bellini e Tiziano eseguite nel corso del suo primo soggiorno in città (1615-1618 circa), quando quei capolavori erano ancora nella collezio- ne di Pietro Aldobrandini (le tele di Varotari, rimaste sempre in possesso dell’autore e passate poi nelle mani del figlio Dario, sono oggi all’Accade- mia Carrara di Bergamo).3 Considerato che, come già detto, Turchi a Ro- ma fu sempre noto come «Alessandro Veronese», e che insieme a Carlo Sa- raceni, allo stesso Varotari e all’altro veronese Marcantonio Bassetti, faceva parte di una significativa colonia di pittori veneti attivi in città,4 è proba- bile che Maurizio di Savoia volesse programmaticamente mettere a confron- to due dipinti di pittori di scuola bolognese, il reniano Gessi e il più noto Domenichino, con due di pittori di scuola veneziana. Il cardinale fu certo assai tempestivo a maturare e portare a termine quel progetto: Gessi, di ri- torno dal fallimentare soggiorno napoletano, dove i suoi aπreschi nella Cap- pella di San Gennaro avevano scontentato la committenza, sarebbe rientra- to a Bologna entro il 1626,5 e anche Padovanino non doveva essere arrivato da molto in città, dove non è minimamente documentato altrimenti, tanto che Ruggeri avanzava l’ipotesi che le opere eseguite per il cardinale Mau- rizio fossero inviate da Venezia. Se la ricostruzione qui proposta è corretta, il dipinto di Turchi, esposto come esempio dell’influenza del caravaggismo nella pittura romana degli anni venti del Seicento, sarebbe stato in realtà, per il suo committente, un esempio di pittura ‘veneziana’. 1. Sulla committenza del cardinale cfr. soprattutto Di Macco, “L’ornamento del Principe” cit. 2. Schede Vesme cit., III, p. 1082. 3. M. H. Loh, Titian Remade: Repetition and the Transformation of Early Modern Italian Art, Los An- geles 2007, pp. 64-71. 4. C. Volpi, Modelli estetici ed ispirazione poetica al tempo di Scipione Borghese: i casi di Ippolito Scarsella e di Alessandro Turchi, in I Barberini e la cultura europea del Seicento, atti del convegno (Roma 7-11 di- cembre 2004), a cura di L. Mochi Onori, S. Schütze, F. Solinas, Roma 2007, pp. 62-63. 5. E. Negro, Francesco Gessi, in La scuola di Guido Reni, a cura di E. Negro e M. Pirondini, Mode- na 1992, p. 241; cfr. anche A. Ancilotto, voce Gessi, Giovanni Francesco, in Dizionario Biografico de- gli Italiani, 53, Roma 1999, pp. 479-481. 39 28. Domenichino, Tre putti nelle vesti dell’Architettura, dell’Astronomia e dell’Agricoltura. Torino, Galleria Sabauda 29. Alessandro Turchi, Tre putti nelle vesti delle Virtù teologali. Milano, collezione Koelliker