Fini condannato a due anni e otto mesi per la casa di Montecarlo - la Repubblica

Roma

Gianfranco Fini condannato a due anni e otto mesi per la casa di Montecarlo. "Non autorizzai la vendita a Tulliani. Io vittima di denigrazioni politiche"

Gianfranco Fini condannato a due anni e otto mesi per la casa di Montecarlo. "Non autorizzai la vendita a Tulliani. Io vittima di denigrazioni politiche"
(ansa)

L’ex presidente della Camera: “Me ne vado più sereno di quello che qualcuno può pensare”. I giudici hanno stabilito una pena di cinque anni anche per la compagna Elisabetta Tulliani, il suocero Sergio e 6 per il cognato Giancarlo

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Due anni e otto mesi di reclusione per l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini. Cinque per la compagna Elisabetta Tulliani. Cinque per il suocero Sergio e 6 per il cognato Giancarlo Tulliani. Tutta la famiglia dell’ex leader di Alleanza Nazionale è stata condannata nel processo per riciclaggio sulla vicenda della vendita della casa di Montecarlo. Per i giudici la responsabilità di Fini è legata all’autorizzazione alla vendita.

All'udienza del 18 marzo scorso i pm capitolini avevano chiesto una condanna a 8 anni per l'ex presidente della Camera, 9 anni per la compagna, 10 anni per il fratello Giancarlo Tulliani e 5 anni per il padre Sergio Tulliani.

“Me ne vado più sereno di quello che qualcuno può pensare. Certo sette anni per arrivare a una conclusione come questa…è giusto avere fiducia nella giustizia ma se la giustizia fosse più sollecita..dopo tanto parlare, dopo tante polemiche, tante accuse, posso anche dirlo: denigrazione da un punto di vista politico. Responsabile di cosa? Di avere autorizzato una vendita? È in cosa consiste il reato che non ho ben chiaro? L'unico punto su cui

il collegio ha ritenuto di non assolvermi completamente è quell'autorizzazione alla vendita dell'appartamento che è del tutto evidente non è stata da me autorizzata. Non ho autorizzato la vendita dell'abitazione di Montecarlo ad una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l'ok non sapevo chi fosse l'acquirente. Ricordo a me stesso che per una vicenda identica c’è stata un’archiviazione”, ha commentato Gianfranco Fini. “Non sono deluso, non sono stato responsabile del riciclaggio, non c’è stato nulla dei tanti capi di imputazione contestati”, ha aggiunto.

“Riciclaggio”, è l’accusa contestata dai magistrati romani. Un reato che si snoda intorno alla vendita dell’appartamento di boulevard Princesse Charlotte 14, a Montecarlo. Una casa che la contessa Colleoni nel 1999 ha lasciato in eredità ad An e che dopo qualche anno è finito nelle mani di Giancarlo Tulliani, il cognato di Fini. Un'operazione effettuata attraverso società off-shore. L'affare risale al 2008. Prezzo di acquisto: 300 mila euro. Venduto nel 2015 a un milione e 360 mila dollari.

La procura di Roma indagava sulla faccenda già dal 2010, ma l’accusa di truffa è stata presto archiviata. Poi nel 2017 il fascicolo è stato riaperto. I pm Michele Prestipino e Barbara Sargenti hanno trovato altri elementi. Hanno alzato il sipario dietro al quale si celava una maxi evasione fiscale e una partita in cui la posta in palio riguardava la concessione per l’apertura delle sale slot in Italia. Una rivoluzione per il gioco d’azzardo legale italiano, in cui si innescano bonifici e compravendite. Al centro del sistema c’era Francesco Corallo, plurinquisito re delle slot. Avrebbe provato a influenzare diversi politici. Anche Fini, attraverso Tulliani, secondo la procura che parla di “ingenti somme di denaro dal conto corrente riconducibile a Francesco Corallo con cui Fini aveva stretto intesa”.

Tra le fonti di prova anche un bonifico “sospetto” da 2,4 milioni. Partiva dai conti di Francesco Corallo. E arrivava in quelli di Sergio Tulliani, suocero di Gianfranco Fini, un impiegato dell’Enel in pensione. La causale è piuttosto eloquente: “Liquidazione per il decreto 78 del 2009”.

Quei soldi non venivano “regalati” da Corallo senza alcun interesse, ma per sottrarli al fisco italiano che desiderava riscuotere 85 milioni di euro dovuti dall’imprenditore siciliano che deteneva la maggior parte di “macchinette mangiasoldi” sparse in Italia. Secondo gli investigatori l'associazione a delinquere capeggiata da Corallo avrebbe trasferito, tra il 2008 e il 2014, "circa 150 milioni dai conti correnti della stabile organizzazione in Italia (Atlantis-B Plus Giocolegale) verso conti correnti inglesi di altre società del gruppo Corallo, e, successivamente, verso conti correnti di società offshore accesi a Saint Maarten, Curaçao e Santa Lucia", sempre riconducibili all'imprenditore catanese, che poi li avrebbe reinvestiti acquistando immobili e casinò nelle Antille olandesi. Molte delle accuse però si sono schiantate contro il trascorrere del tempo. È intervenuta la prescrizione. Il riciclaggio no, non è andato prescritto. Così oggi è arrivata la sentenza.

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