Stampa Articolo

Francesco Carbone e l’Opera Universitaria di Palermo

71a9-mg9pgl-_ac_uf10001000_ql80_di Vincenzo Ognibene [*]

Non ho avuto molte occasioni di frequentare Francesco Carbone, l’ho conosciuto all’Opera Universitaria di Palermo tra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso ed in particolare per alcune mostre da lui suggerite e da me organizzate alla sala mostre della Discoteca, che esprimevano il senso profondo del suo operare. Era diventato per me come un fratello maggiore. Oggi posso affermare che ci univano l’esperienza dell’emigrazione, una profonda vicinanza per la cultura contadina, l’intolleranza per il sopruso mafioso, un grande desiderio di conoscenza e la propensione per l’arte. La necessità e l’entusiasmo di scoprire nuovi artisti e nuovi talenti ci facevano fare un tratto di percorso assieme e ciò è avvenuto nel periodo in cui teneva dei corsi sull’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti a Palermo.

Per meglio puntualizzare la sua figura, in questa mia piccola ricostruzione, faccio riferimento all’articolo della Repubblica del 5 novembre 2005 di Tano Gullo in cui enumerava le diverse fasi della sua vita, le molteplici attività come intellettuale nel territorio siciliano e non solo, ma soprattutto come creatore (a proprie spese) di Godranopoli che divenne «una magica Macondo, chioccia di tanti artisti e di tanti eventi» .Nicolò D’Alessandro, amico e collaboratore di Francesco, che aveva coordinato e impaginato Godranopoli Tra presenza e latenza (Ed. Nicolò Barbato, Partinico, 1990), e Antologia di saggi critici e altre occasioni 1960/1999 (Ed. L’Altro -Artecontemporanea, Palermo, 2007 (diretta da Nicola Bravo da poco scomparso), precisava alcuni elementi del suo carattere e della sua prassi operativa: «Era un uomo generosissimo pronto a dare una mano a tutti. Ha finora censito oltre 300 presentazioni da lui firmate…e spesso i soldi del catalogo uscivano dalla sua tasca». Ed aggiungeva il nipote Giovanni Franco ricordando lo zio: «Tutti possono essere artisti. L’arte non deve erigere barriere, questa era la sua filosofia».

Per quanto possiamo condividere di Francesco tutto ciò e facendo nostro anche il suo detto: Noi siamo fatti degli altri, mi si permetta di problematizzare la sua necessità per la recensione critica e spiegarla come approccio ad una sua particolare visione di categorizzazione della realtà del territorio siciliano; e quindi, per spiegarla faccio mia la categoria della ripetizione teorizzata dal filosofo Kierkegaard nel bel saggio delle Vite al limite (Giorgio Morandi, Aldo Rossi, Mark Rothko) di Gianni Contessi del 2004. In esso si asserisce che «La ripetizione qualora sia possibile applicarla rende felici, mentre il ricordo (e il non fare) rende infelici». Possiamo così dedurre che per Giorgio Morandi la ripetizione ossessiva del motivo della natura morta e del paesaggio di Grizzana nell’Appennino emiliano trova nella variazione alla luce e allo spazio un’idea assoluta di pittura; per l’architetto Aldo Rossi la ripetizione di alcuni motivi tipologici e figurativi individuava un modello d’una idea di città nella storia; per Mark Rothko la ripetizione degli ambigui e astratti campi di colori trovava nella mistica ebraica un’idea di linguaggio assoluto dell’essere nel tempo e nello spazio.

img156_page-0001Anche per il nostro Francesco Carbone la ripetizione della recensione critica diventa una variante di ricerca del valore, come qualità differenziata, per ogni singolo artista a cui si rivolgeva. Basandoci sul suo acume critico e sulle differenze nell’evidenziarle, potremmo farci un’idea per un possibile museo o una raccolta di opere di artisti significativi siciliani che interagiscono nel nostro territorio per proporli come individualità creative di un certo periodo. Sono consapevole del carattere utopico di questo sogno che poteva essere di Francesco e mio e non “assolutamente” delle nostre classi dirigenti che ultimamente (e non solo) ci hanno governato.

L’aver riflettuto e capito, dopo trent’anni, o almeno essermi avvicinato al suo metodo di lavoro critico mi dà oggi l’opportunità di capire meglio le sue proposte che ho aiutato a realizzare prima e dopo la mia direzione della Discoteca dell’Opera Universitaria.

In particolare mi riferisco alla collettiva da lui proposta dei giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti nel 1986, Guido Baragli, Roberto Di Liberto, Carmelo Guzzetta, Marco Incardona, Wanda Mannino, Croce Taravella, dal titolo Il Lungo Sguardoche si appunta su tutto quello che è condannato. Così suggerisce il titolo del saggio di Adorno su Mahler, e così li introdurrà la spoglia presentazione di Federico Incardona. Quei quadri rappresentavano la novità vitale di quegli anni ottanta in una Palermo devastata dalla ferocia mafiosa e così continua: 

«Nella città più sfregiata dalla rapidissima perdita di ogni valore umano sostituito lestamente da un criterio di profitti spiccioli su qualsiasi operazione della mente, i giovani e giovanissimi autori qui raccolti operano una silenziosa revisione del concetto stesso di fare pittura, recuperando criteri che sembrano sepolti dall’invasione venefica dei mezzi di comunicazione di massa; la loro arte vuole in maniere diverse e spesso opposte, tornare a sconvolgere la percezione ormai quasi spenta dell’uomo contemporaneo, a cui i meccanismi reificatori del tardo capitalismo hanno insegnato, fin troppo bene, i metodi di rimozione dell’inquietudine dello spirito» 1.

Quasi una profezia sul destino di questa nostra povera città, al punto tale da dover gridare, dopo il furto del 1969: «Com’è possibile che Palermo abbia potuto accettare la privazione della Natività del Caravaggio a coronamento dello straordinario magistero del Serpotta mentre, con solerzia e col mitra, si distruggeva la Conca d’Oro?». Perché abbiamo rinunciato all’angelo della nascita e al suo colloquio con i putti-bambini serpottiani, preannuncio di altre stagioni di tragedie come quella della mattanza della mafia dei corleonesi sull’identità e la coscienza di questa nostra città e dell’intera Sicilia.

img157_page-0001Come ho già detto, a parecchi artisti Francesco aveva dedicato la sua attenzione critica, non è il caso di enumerare tutti, voglio solo ricordare l’importanza di Marco Incardona e di Giusto Sucato che sono stati presenti nella Sala Mostre della Discoteca dell’Opera Universitaria di Palermo, o in altre gallerie private (Libreria del mare, Galleria 71, e L’Altro di Nicola Bravo), o istituzionali (Palazzo Sant’Elia), con la sua prefazione.

La carriera di Marco Incardona, durerà dal 1986 al 1999. Avrà inizio proprio all’Opera Universitaria con la sua prima personale del 1988, Phoenicusa dell’utopia, presentata da Francesco Carbone. La citazione iniziale di C. Baudelaire al catalogo: «Bisogna eternamente soffrire o fuggire eternamente il bello? trova nella sua evidenza Neo-espressionista l’utopia del grido come evento dell’uomo moderno che l’artista vuole sottrarre alla storia per restituirlo al mito» 2. Lo presenterà ancora, dieci anni dopo, per la raccolta di pitture Del Mare, straordinaria mostra della sua breve maturità: 

«Il mare in questi casi è trattato da Incardona con eccezionali composizioni cromatiche, nelle quali, per esempio, l’azzurro, il giallo, il grigio, il bianco, il rosso, superano le nozioni di sé stessi, per raggiungere tonalità e trasparenze non comuni…E ciò rende questo artista coerente identificazione di sé stesso, immunizzato da possibili rinvii ad altri modelli preesistenti» 3. 

Purtroppo, dopo l’inaugurazione di Orizzonti e altre storie, inaugurata anche questa alla Libreria del Mare, il 2 giugno del 1999, a 38 anni, Marco ci lascia e, a dicembre dello stesso anno, anche Francesco.

img159_page-0001Altra mostra significativa del suo variegato approccio figurativo suggerita all’Opera Universitaria nel 1994, Sensi di pace annunciata, curata assieme a Franco Spena che così ne introduce i contenuti: «Nell’epoca della civiltà di massa e dello sterminio di senso, un voler trovare nel riutilizzo degli stessi oggetti, parole per dare voce all’utopia del linguaggio dell’arte per la salvezza dell’uomo». E quindi nella sua opera, Teca appassionata, 1993 (legno, lattine, paraffine e acrilico), «Un trattare come un fossile, fragile e preziosissimo, la lattina che rinasce a nuova vita» 4. Per Carbone «Un prendere coscienza dal vivo e dal vero delle proprie coordinate di vita al momento di incontro visione e con l’arte  che la reclama nelle diverse sue forme». E lo stesso evidenzia nell’istallazione Nuova oggettualità, 1993, «Pagghia, tumminu, trarenta pi spagghiari, pala pu furmentu, crivu, buttigghia di vinu, lumi pu lustru (mia elencazione)». Questo proporre la realtà di una condizione contadina, induce ad «Una  nudità delle cose rivolta a nuovi segni e nuovi significati» 5.

Dei quattordici partecipanti che coinvolgevano l’area palermitana e nissena la quasi totalità ritrovava nell’installazione un suo proporsi, vicini ai linguaggi della singlossia, del riuso dei materiali e delle ricerche etno-antropologiche. Per la vicinanza alle tesi di Francesco, suggeritore di una diversa epifania delle forme, mi colpiva il lavoro di Calogero Barba, Strutture magiche, 1993, che individuava nella nuova valenza antropologica, «nuovi linguaggi e nuovi percorsi» 6. E soprattutto Giusto Sucato, Scritture, 1993, che riproponeva l’insieme di tanti elementi suggerendo «Una memoria ancestrale, i cui segni rivelano ancora una volta la sua attitudine a spostare oggetti della vita quotidiana ad altri livelli di significazione» 7.

img160_page-0001Come scoprirò dalla cura e presentazione del bel catalogo di Nicolò D’Alessandro dedicato all’antologica di Giusto Sucato (opere 1980-2016) a Palazzo Sant’Elia di Palermo, Francesco si interesserà alla cultura del territorio cercando di individuare la «creatività del luogo». Conosce Giusto Sucato nel 1978 che lascerà la sua piccola taverna U pirtusiddu per dedicarsi alla pittura. Accompagnerà l’iter del giovane pittore col supporto sia materiale che del suo pensiero critico e poetico. So della vulcanica creatività di Giusto e mi riferirò a due recensioni presenti nella citata Antologia di saggi critici. Nel 1996, 

«Il suo percorso continua a vivere all’interno di una ricerca che ha per metodo l’intelligenza dell’intuizione e per risorsa un suo sapere fenomenico, basato non sulle teorie ma sui fatti dell’arte, sulle esperienze che da essi derivano, divenendo nel contempo eventi di conoscenza votata ad alimentare la prassi di una singola cultura del fare ed ha saputo trasferire l’etnologia nella sfera dell’estetica più aggiornata, utilizzando creativamente, manufatti, attrezzi e oggetti vari della cultura materiale, quali elementi contestuali delle sue opere» 8.

Nel 1998, «l’assoluta autonomia di ogni acculturazione non soltanto estetica, da ogni condizionamento di sapere aulico, colto, ha consentito a Sucato di divenire uno straordinario intuitore di forme, un inventore d’arte privo di ogni sovrastruttura intellettuale, affidando alla spontaneità del gesto, alle logiche istintive della mano, il senso di una operatività fondata sui richiami di una diversa e più personale antropologia del vedere”. Non si poteva dire meglio e condivido un tale giudizio. «Così gli etnoreperti, oggetti dell’ergologia, della cultura materiale agropastorale, inesorabilmente scalzati e dispersi da un più aggiornato sistema oggettuale, Sucato li ha chiamati a memorizzare, anche attraverso l’esemplarità creativa delle opere, il ritaglio di uno spazio del ricordo contro le fughe vertiginose del tempo» 9. Concludo con il giudizio di D’Alessandro «Giusto Sucato lavora intensamente alla realizzazione del museo Godranopoli voluto da Carbone, soggiornando molti mesi a Godrano e con lui sperimenta nuove ricerche e la sua maturazione artistica si esprime compiutamente» 10.

Ciccio angelo libero, di Ognibene

Ciccio angelo libero (omaggio a Francesco Carbone), di Ognibene

Le parole che accompagnavano l’opera di questi due artisti esprimevano una profonda idea di bellezza e d’utopia. Soprattutto Giusto ha dato forma al pensiero teorico di Francesco e poteva succedergli alla direzione di Godranopoli, aiutato da un comitato scientifico d’intellettuali vicini a quella esperienza. Purtroppo non è andata così, come mi ha raccontato Nicolò D’Alessandro. Subito dopo la sua scomparsa, una telefonata lo avvertiva che veniva sbarazzato il suo appartamento con l’archivio e i libri. Nicolò con Nicola Bravo, ed una ‘lapa’ salvarono tutto quello che era possibile portandolo alla Galleria L’Altro. Sempre gli stessi, dopo un anno, organizzarono una mostra in omaggio a Francesco Carbone. Vi partecipai con una mia interpretazione di Francesco denominato “Ciccio angelo libero” uscito dalla paglia d’una aia. Nel 2001, venne organizzato allo Steri, nella Sala delle Capriate, un convegno in suo onore cui parteciparono molti intellettuali, ma non fu sufficiente a salvare Godranopoli.

Come lavoratore dell’Opera Universitaria, vorrei ricordare quell’esperienza e quei luoghi dove incontravo Francesco. L’avevo quasi dimenticato il commovente manifesto fatto di sua mano, non centrato ma dinamico, dell’incontro di Godranopoli con il Settore Culturale dell’Opera Universitaria del 7 gennaio 1985. Lavoravo allora alla Biblioteca ma contemporaneamente, per mia necessità interiore, aiutavo Aurelio Pes alla realizzazione delle mostre. In basso, a destra del manifesto, il bollo del Centro di Ricerca e Documentazione di Godranopoli era accompagnato dalla firma a croce del pastore Giuseppe di Godrano, da lui controfirmato. Francesco con questo documento visivo dimostra di avere capito la centralità della politica culturale dell’Ente voluta dall’indimenticabile Prof. Salvatore Saetta nel 1970: «Far diventare il Pensionato San Saverio (sede dei Gesuiti nel 600) situato nel centro storico degradato, oltre che residenza, anche Centro Culturale per gli studenti fuori sede, offrendo anche servizi sia alla città che al territorio circostante» 11.

img161_page-0001Tutto ciò fu possibile per la straordinaria partecipazione degli studenti della mia generazione. Alla realizzazione di questo progetto composto dalla Biblioteca con l’emeroteca, dalla Discoteca con la sala ascolto e mostre, dal Salone per conferenze, proiezioni film e concerti, parteciparono in tanti. Voglio solo ricordare Piero Violante, Aurelio Pes, Franca De Mauro, Romolo Meneghetti, Pasqualino Marchese, Santo Di Giovanni e tanti altri. In questo contesto, Francesco chiedeva e utilizzava gli spazi espositivi.

Per quanto mi riguarda dopo il trasferimento di Aurelio Pes, dal 1993 al 1996 divenni il responsabile delle attività culturali della Discoteca, coincidente alle stragi di mafia del 1992/1993 e al centenario dei Fasci Siciliani, ricordati proprio al San Saverio, perché nel secolo passato era diventato l’ospedale di Palermo e aveva ricevuto tutti i feriti della soppressione voluta dal siciliano Crispi. Ero figlio di contadini poveri, mio nonno emigrò in America dopo il fallimento dei Fasci, cinquant’anni dopo il fallimento dell’occupazione delle terre anche mio padre dovette andare in Veneto. Per me quegli anni all’Opera Universitaria, sono stati una stagione straordinaria, sorretta dalla nomina del Prof. Antonino Bono che mi diede l’opportunità, assieme al collega Filippo Messineo, di estrinsecare le mie potenzialità direttive.

Allora aprii un rapporto privilegiato con l’Accademia di Belle Arti e con il Conservatorio Musicale di Palermo e scelsi giovani artisti ad essi collegati ed anche altri di diversa provenienza 12. Mi furono compagni di percorso sia per vicinanza che per suggerimenti oltre Francesco, il mio compagno di erranza, il poeta Giuseppe Giovanni Battaglia, figlio come me della cultura contadina e cantore universale dell’uomo; Giulio Gelardi, compagno delle Madonie e cantore della manna;  il regista Pasquale Scimeca che approntò un documentario sui Fasci siciliani e il film Il giorno di San Sebastiano; don Cosimo Scordato, parroco della chiesa San Saverio, aperto alle istanze socio-culturali dell’Albergheria e finissimo teologo; Franco Scaldati, attore e autore palermitano che sperimentò con attori del quartiere il suo teatro e con questi ho fatto tanto.

Polittico dei luoghi e del camminamento di Vincenzo Ognibene, 1997

Polittico dei luoghi e del camminamento di Vincenzo Ognibene, 1997

Nel 1997, alla fine del mio percorso lavorativo donai, per la sala mensa del Santi Romano dell’Opera Universitaria, il Polittico dei luoghi e del camminamento, opera su tavola di 115×910 cm. I temi sviluppati: La fine della cultura contadina, Camminare, Incontro, Giuseppe G. Battaglia poeta, L’uomo delle mele (mio padre). Questo mio lavoro esprimeva la sintesi del mio rapporto con l’Opera Universitaria. 

«Miravo ad un rapporto nuovo tra istituzione e artista per un’opera destinata alla fruizione continua del pubblico (sala mensa). Ho inteso raccontare dalla profondità della mia esperienza, la fine della cultura contadina come elemento culturale comune a tanti studenti fuori sede, prima dell’avvento della cultura di massa. Il Polittico, accompagnato dal volo dei due angeli dell’Antelami della Deposizione del Duomo di Parma, mostra il cammino della civiltà onirica-magica e tragica del nostro mondo contadino verso un possibile altro futuro in cui è necessario il riappropriarsi della propria identità con leggerezza e volontà» 13.

scan_2024_03-28_15_31-41-media-risNel 2017, per lavori di ristrutturazione della sala, mi si chiese di riprendermi il Polittico perché non sarebbe stato più collocato. Sapevo già che i dischi della discoteca, dopo la chiusura della sala d’ascolto, erano depositati in un magazzino per dare maggiore spazio alla sala espositiva e anche del restringimento della sala di lettura della Biblioteca e della dismissione della emeroteca, non più consultabile. Sarei curioso di sapere se lo Steinway gran coda sia ancora nel Salone, e se la Biblioteca e la Discoteca, divenuta solo Sala Mostre, siano ancora aperte alla fruizione degli studenti e del pubblico.

Alla fine voglio semplicemente ricordare, perché non compare nella bella mostra di manifesti tenuta allo Steri nel 2001, un mio manifesto con tutta la programmazione di mostre, incontri, spettacoli, corsi e con la riproduzione di un quadro di Paul Klee Emact del 1932 che interpretavo come omaggio alla Sicilia e non all’avvento del nazismo (in quanto il pittore era venuto nella nostra Isola ben due volte nel1924 e nel 1931). E sempre con Klee, voglio ricordare l’esperienza analoga di Godranopoli e dell’Opera Universitaria, con l’Angelus Novus interpretato da Walter Benjamin «come l’angelo della storia che si avvicina al futuro lasciando macerie»14. È un racconto di appuntamenti avvenuti pur se senza continuità. Ci possiamo solo augurare che “Ciccio angelo libero” possa ritornare tra di noi. Per il resto non saprei.

Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
[*] Testo dell’intervento letto nel convegno su Francesco Carbone a cento anni dalla nascita, organizzato il 1 Dicembre 2023 dal Museo delle Spartenze dell’area di Rocca Busambra e dal Centro Studi e Iniziative di Marineo, con il patrocinio dell’Assemblea regionale
Note
[1] Federico Incardona, Il lungo sguardo, Catalogo, Opera Universitaria di Palermo, 1986: 3.
[2] Francesco Carbone, Phoenicusa, Catalogo, Opera Universitaria di Palermo, 1988:2.
[3] Francesco Carbone, Del mare, Catalogo, L’Epos, 1988: 3-4.
[4] Francesco Carbone e Franco Spena, Sensi di pace annunciata, Catalogo, Opera Universitaria di Palermo,1994: 9-16 e 42.
[5] Ivi: 20 e 28.
[6] Ivi: 24.
[7] Ivi: 44.
[8] Nicolò D’Alessandro Antologia di saggi critici. L’Altro Artecontemporanea, 2007: 302-303.
[9] Ivi: 310-311.
[10] Nicolò D’Alessandro, Giusto Sucato, Catalogo, Fondazione Palazzo Sant’Elia, 2020: 10.
[11] Silvana Montera, Trent’anni di attività culturali dell’opera Universitaria di Palermo, Catalogo, Palazzo Steri, 2001: 6.
[12] Vincenzo Ognibene, Attività culturali 1995 e 1996, Catalogo, Opera Universitaria di Palermo, 1997: 9.
[13] Ivi, in finale la riproduzione dell’intera opera, con autopresentazione.
[14]  Walter Benjamin, Angelus novus, Einaudi, 1999: 80. 
 ___________________________________________________________________________
Vincenzo Ognibene, pittore e architetto siciliano, ha lavorato all’Opera Universitaria di Palermo nel Settore Culturale prima come bibliotecario e poi come direttore delle attività culturali della Discoteca. Messosi in pensione si è dedicato alla sua pittura, sui temi della fine della cultura contadina, l’ebraismo dei marrani siciliani, il paesaggio siciliano proprio dell’infanzia e del suo vissuto. Vicino a tali istanze ha pubblicato nel 2011 un testo di poesie in dialetto Villaurea Signura quasi Himera. Amico fraterno del poeta Giuseppe Giovanni Battaglia ne ha curato la memoria e la stampa dell’intera sua opera.

______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>