Martin Lutero. L’angoscia esistenziale, i tormenti e la sfiducia

A cinquecento anni dalla “Riforma” che si snodò dal 1517 al 1521. “Pensavo che Dio non mi fosse propizio”. La lettera a Leone X alla quale aggiunse le 95 tesi. “Se il papa conoscesse le estorsioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro finisse in cenere…”. “Se le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l’intenzione del papa, tutte le difficoltà sarebbero risolte”.

Cranach il Vecchio, “Ritratto di Martin Lutero” (1529)

“Allora mi sentii completamente rinato”: con questa espressione Lutero ricordava la sua esperienza da cui sarebbe scaturita la “Riforma”. Essa si snodò dal 1517 sino agli anni 1520-1521, nel corso dei quali si consumò la rottura con Roma, passando da una posizione autentica della fede al rifiuto della Chiesa, approdando in seguito a visioni chiaramente ereticali. I libri di storia, sia in campo cattolico che luterano, ancora oggi utilizzano vecchi stereotipi che di storico hanno molto poco. La vicenda, riletta dagli studiosi, ha superato le deformazioni e i pregiudizi più ideologici che reali.
Il pensiero filosofico in cui si era formato Lutero rifletteva il “nominalismo” di Guglielmo di Ockham, dove la sfiducia nelle capacità della ragione minava la stessa possibile conoscenza di Dio, generando incertezza razionale e spirituale. La vocazione monastica, ritenuta allora la via più sicura per la salvezza eterna, fu la scelta tormentata di Lutero: “Pensavo che Dio non mi fosse propizio”.
Gli studi teologici sui testi di Gabriel Biel lo convinsero della mancanza di qualsiasi fondamento per la propria salvezza, assieme alla lettura parziale di S. Agostino, nei libri della polemica anti-pelagiana. Questo aumentò l’angoscia esistenziale dalla quale nemmeno la lettura biblica lo liberava; racconterà che negli anni 1515-1516 era entrato in conflitto con il concetto paolino di “giustizia di Dio” interpretato in senso rigidamente forense, finché trovò la risposta nella frase : la giustizia di Dio si rivela “da fede a fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà” (Rm.1,17). “…cominciai a intendere come giustizia di Dio quella per cui il giusto vive per dono di Dio, ossia per fede…”, la giustizia appariva così come un dono ricevuto gratuitamente dall’uomo e non un giudizio forense sulle azioni dell’uomo.
“Allora mi sentii completamente rinato… questo passo di Paolo fu veramente la porta del paradiso”. Su tale esperienza cambierà il proprio cognome da “Luder” in “Luther” cioè: “libero”. Così si firmerà dal 1516 in poi. La Giustificazione per fede, sarà il campo di battaglia sino al 1999, anno in cui Cattolici e Luterani riconosceranno la sostanziale condivisione dei termini con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione dove le differenze non invalidano la sostanza della fede.

Le 95 tesi: storia o leggenda?
Lutero venne a contatto con le predicazioni circa le indulgenze che Alberto di Magdeburgo, nel suo obiettivo politico ed economico, aveva ottenuto da papa Leone X (31 marzo 1515). Per favorire ciò aveva aggiunto alla bolla papale una sua istruzione sommaria, dettagliata e ambigua, teologicamente imprecisa. Lutero, pur non avendo contatto diretto, ebbe però la Istruzione di Alberto e decise di intervenire in merito. Lo fece mediante una lettera in data 31 ottobre 1517. Alla lettera aggiunse 95 tesi in lingua latina per una discussione accademica (se vi fu affissione non fu sulla porta della​ chiesa ma all’interno dell’università come era consuetudine). Le tesi chiedevano un chiarimento e non erano dirette contro il papa; basti leggere le tesi 50 e 93: “Si deve insegnare ai cristiani che, se il papa conoscesse le estorsioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro finisse in cenere…” e ancora: “se le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l’intenzione del papa, tutte le difficoltà sarebbero risolte”.
Un anno dopo scriverà a Leone X, invitandolo a chiarire le posizioni e riferendosi alle tesi: “Ho pubblicato un testo su cui discutere, invitando solamente i dotti”.

Il processo e la condanna
Le tesi, diffuse e discusse, contribuirono a ravvivare focolai di protesta, dando occasione a Johannes Maryr, detto Eck di evidenziare in esse la polemica contro l’autorità del papa. Lutero rispose sottolineando: “Io amo la chiesa di Cristo e il suo onore” e circa le tesi esse sono: “materia di discussione”.
Le denunce spostarono la discussione dalle indulgenze alla autorità del papa. Lutero scriverà: “È stato Eck a trascinarmi nella questione papale”. Intrighi politici condizioneranno il dibattito fra il legato papale, il cardinale Tommaso de Vio (Caietano ) e Lutero, ad Augusta, dal 12 al 15 ottobre 1518. Le posizioni erano diverse, pure il linguaggio e il temperamento di entrambi, questo portò Lutero a sospettare che la teologia e il potere romano fossero opposte alle Scritture.
Sarà Eck a portare Lutero sul terreno dello scontro ecclesiale. A Roma, nella stesura della bolla Exsurge Domine, firmata da Leone X il 15 giugno 1520, furono aggiunte 41 proposizioni (condannate) tratte dagli scritti di Lutero, alcune estrapolate e manomesse dalla mano di Eck. Gli eventi precipitarono anche per la pubblicazione delle prime opere riformistiche di Lutero nel 1520: Alla nobiltà della nazione tedesca, La cattività babilonese, la libertà del cristiano. Iniziarono i roghi delle opere del riformatore e Lutero stesso lo fece con la bolla papale. Il 3 gennaio 1521 usciva la bolla di scomunica.
Il braccio secolare doveva eseguire la condanna ma Carlo V non volle e pretese una dieta a Worms dando a Lutero la possibilità di difendersi. Il 18 aprile, alla presenza dell’imperatore, invitato a ritrattare, Lutero dichiarava: “Se non sarò persuaso mediante la testimonianza della Scrittura o da evidenti argomenti di ragione, la mia coscienza è prigioniera della scrittura. Perciò non voglio e non posso ritrattare nulla”.
Il confronto, non facile, di fatto non ci fu. La cristianità si frantumava; nascevano, benedette dai principi, le Chiese della riforma. In tempi di pandemia, la voce di Lutero sulla peste del 1520 e 1530: “…io chiederò a Dio misericordioso di proteggerci. Poi disinfetterò, aiuterò a purificare l’aria, darò e prenderò le medicine. Eviterò luoghi e persone dove la mia presenza non è necessaria per non contaminarmi e quindi forse infettare e contaminare gli altri, e così causare la loro morte come risultato della mia negligenza. Se Dio vorrà prendermi, sicuramente mi troverà e io avrò fatto ciò che egli si aspetta da me… Se il mio vicino ha bisogno di me, comunque, non eviterò i luoghi o le persone ma ci andrò volontariamente”.

Don Pietro Pratolongo