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Kirchner e la Brücke: l’Espressionismo tedesco
Quando “espressione” è il contrario di “impressione”.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Il Novecento: la stagione delle avanguardie – Data: Dicembre 31, 2020 1 commento 12 minuti
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L’Espressionismo fu la prima delle Avanguardie artistiche del Novecento a formarsi in Europa. Esso nacque come arte di opposizione, antipositivista, antinaturalista e anti-impressionista. Con la sua profonda forza di contestazione, infatti, questo articolato movimento culturale si oppose non solo al più superficiale decorativismo dell’Art Nouveau ma perfino all’Impressionismo, che considerava troppo disimpegnato, troppo poco incisivo e troppo poco polemico. Kirchner e la Brücke.

Nascita del termine “Espressionismo”

Il termine “Espressionismo” fu coniato pochi anni dopo la nascita del movimento: fu Wilhelm Worringer, critico e storico dell’arte tedesco, a usarlo per primo in un saggio del 1911. Vuole un aneddoto che, nello stesso anno, durante una riunione della Secessione di Berlino, a un membro della giuria che chiedeva: «Ma questo è ancora Impressionismo?» giunse una risposta dalla sala: «No, è Espressionismo!».

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Come ha scritto magistralmente, alla fine del XX secolo, lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan, «letteralmente, espressione è il contrario di impressione. L’impressione è un moto dall’esterno all’interno: è la realtà (oggetto) che s’imprime nella coscienza (soggetto). L’espressione è un moto inverso, dall’interno all’esterno: è il soggetto che imprime di sé l’oggetto». Gli impressionisti (come gli artisti naturalisti, in fondo) consideravano la realtà come qualcosa da guardare dall’esterno, solo con gli occhi e non con la propria anima. Secondo gli artisti dell’Espressionismo, invece, il “reale” era qualcosa di assolutamente, radicalmente soggettivo, qualcosa da vivere dall’interno del proprio essere.

Emil Nolde, Autumn Evening, 1924. Olio su tela, 73 x 100.5 cm. Nolde-Stiftung Seebüll.

Hermann Bahr

Scriveva il critico d’arte austriaco Hermann Bahr (1863-1934), nel suo saggio L’espressionismo del 1916: «Noi non viviamo più, siamo vissuti. Non abbiamo più libertà, non sappiamo più deciderci, l’uomo è privato dell’anima, la natura è privata dell’uomo […]. Mai vi fu epoca più sconvolta dalla disperazione, dall’orrore, dalla morte. Mai più sepolcrale silenzio ha regnato sul mondo. Mai l’uomo è stato più piccolo. Mai è stato più inquieto. Mai la gioia è stata più assente, e la libertà più morta. Ed ecco urlare la disperazione: l’uomo chiede urlando la sua anima, un solo grido d’angoscia sale dal nostro tempo. Anche l’arte urla nelle tenebre, chiama al soccorso, invoca lo spirito: è l’espressionismo».

Schmidt-Rottluff, Paesaggio a Dangast, 1910. Olio su tela. Collezione privata.

Il linguaggio espressionista

L’Espressionismo si sviluppò come un movimento prevalentemente pittorico, manifestandosi con modalità numerose e differenziate che si possono, tuttavia, riassumere per grandi linee. In generale, la pittura espressionista è caratterizzata dall’uso di colori molto violenti, combinati in forti contrasti, e da un linguaggio crudo che tende a deformare le immagini. Le opere, da cui traspare una marcata polemica sociale, esprimono sentimenti di angoscia e di aggressività in modo efficacemente comunicativo.

Per adottare i contrasti cromatici violenti e i tratti aspramente deformati, gli espressionisti accolsero ed estremizzarono le componenti mistiche e religiose del pensiero romantico così come le conquiste formali del Simbolismo, e in particolare di Van Gogh, Gauguin, Munch ed Ensor, ai quali s’ispirarono. I frequenti richiami alla pittura gotica, con i suoi allungamenti, le sue distorsioni e le sue spigolosità, così come alla scultura africana e alle sue deformazioni rivelano invece un accentuato gusto per il primitivo e l’aspirazione di un ritorno alla civiltà artistica preindustriale.

Edvard Munch, L’urlo, 1893. Tempera e pastello su cartoncino, 91 x 73,5 cm. Oslo, Nasjonalmuseet.
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Lo sguardo rosso

Per fare un solo esempio, si considerino le opere di Arnold Schönberg (1874-1951), un musicista e compositore austriaco che si dedicò anche alla pittura, per dare forma a quelle emozioni che non trovavano espressione nella musica. I suoi quadri, che l’artista chiamava «visioni» e che gli derivavano da una «vibrazione dell’anima», presentano una carica emotiva di grande intensità. Si tratta, in genere, di teste mostruose, che emergono da una sorta di magma denso.

Arnold Schönberg, Lo sguardo rosso, 1910. Olio su cartone, 32 x 24,6 cm. Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus.

Lo sguardo rosso, per esempio, presenta un volto maschile, probabilmente un autoritratto, che campeggia frontalmente al centro della tela, ieratico e severo, ridotto alla forma elementare di un triangolo e ottenuto con poche, essenziali pennellate di colore. L’immagine è marcatamente antinaturalistica: i tratti somatici sono scavati, logorati, secondo la lezione di Munch; ne consegue una disumanizzazione del volto, dove spiccano soprattutto i due grandi occhi rossi, che sembrano ardere e mandare un inquietante bagliore. Tutta l’immagine comunica un senso di profonda inquietudine e diventa espressiva di un’angoscia esistenziale che non è solo dell’artista ma dell’umanità intera.

Die Brücke

In Germania, un movimento dichiaratamente espressionista fu Die Brücke (in tedesco, ‘Il Ponte’), fondato a Dresda nel 1905, anche se l’incontro dei fondatori risaliva al 1902. Trasferito a Berlino tra il 1910 e il 1911, il gruppo si sciolse già nel 1913. Il significato racchiuso nella simbolica denominazione Die Brücke, coniata da Schmidt-Rottluff, è spiegato, in parte, da una lettera, con la quale Emil Nolde fu invitato a far parte del gruppo: «Uno degli scopi della Brücke è di attirare a sé tutti gli elementi rivoluzionari e in fermento, e questo lo dice il nome stesso: ponte»; un ponte che avrebbe dovuto collegare tutte le Avanguardie che operavano per abbattere le stantie convenzioni dell’arte accademica.

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Ricordiamo che in Germania l’arte ufficiale era persino più conservatrice di quella francese. Gli artisti dell’Accademia producevano, prevalentemente, opere celebrative della famiglia regnante. Ogni forma di innovazione era giudicata con ostilità. Già le Secessioni, alla fine del secolo precedente, si erano ribellate a questa così tenace manifestazione di conformismo accademico. Gli espressionisti della Brücke ne ereditarono le istanze, con l’intenzione di continuare quella battaglia.

Max Pechstein, Plein air, 1910. Olio su tela, 70 x 80 cm. Duisburg, Lehmbruck Museum.

Se gli intenti degli espressionisti tedeschi erano comuni, non altrettanto chiare erano le basi ideologiche sulle quali si doveva fondare il gruppo: «vogliamo conquistarci libertà di azione e di vita, dinanzi alle vecchie forze così difficili da estirpare», dichiarava il Manifesto del movimento, nel 1906. Gli artisti della Brücke cercavano un terreno comune d’intesa soprattutto nella volontà di raggiungere la più assoluta spontaneità dell’ispirazione, ognuno assecondando il proprio temperamento.

Il rifiuto dei canoni

Kirchner, che fu il leader della Brücke, scriveva: «la pittura è l’arte che rappresenta su un piano un fenomeno sensibile, […] il pittore trasforma in opera d’arte la concezione della sua esperienza. Con un continuo esercizio impara a usare i suoi mezzi. Non ci sono regole fisse per questo. Le regole per l’opera singola si formano durante il lavoro, attraverso la personalità del creatore, la maniera della sua tecnica, e l’assunto che si propone. […] La sublimazione istintiva della forma nell’avvenimento sensibile viene tradotta d’impulso sul piano». Dunque, uno dei capisaldi della poetica della Brücke, e di tutta la visione espressionista, fu il rifiuto di ogni canone che potesse risultare d’intralcio all’ispirazione immediata.

Erich Heckel, Franzi con la bambola, 1910. Olio su tela, 65 x 70 cm. New York, Neue Galerie.

Insofferenti delle leggi artistiche e delle discipline pittoriche, gli espressionisti vollero ubbidire unicamente alle pressioni emotive della propria anima. Qualunque tema affrontasse, il pittore espressionista dipingeva comunque sé stesso: non le proprie fattezze esteriori, ovviamente, ma il proprio stato interiore. I soggetti privilegiati della Brücke, ossia i ritratti, i gruppi di figure, i nudi, i paesaggi, le nature morte e persino i temi religiosi, costituivano solo un pretesto per l’artista, che in definitiva intendeva parlare di sé, del proprio disagio, del proprio tormento, della propria rabbia e della propria esasperazione.

Per questa ragione, la pittura espressionista non è quasi mai piacevole, edonistica o elegante: in essa, al contrario, emerge sempre qualcosa di stridente, di volutamente grossolano, e già dalle prime prove risulta evidente come in questi artisti l’attenzione per il contenuto superasse l’interesse per la perfezione formale. Così, un dipinto dell’Espressionismo tedesco ci propone sempre immagini violente e drammatiche: volti mostruosi e deformi, corpi femminili induriti da linee acute e spezzate, campagne ferite da colori stridenti e innaturali.

Kirchner: i nudi

Ernst Ludwig Kirchner (1880-1938) si avvicinò alla pittura espressionista dopo gli studi di architettura a Dresda, divenendo esponente di punta del gruppo, di cui redasse il Manifesto. Esordì con paesaggi e ritratti, segnati da colori accesi e violentemente espressivi. Trasferitosi nel 1911 a Berlino dalla Baviera, Kirchner adottò un linguaggio secco e vibrante, un segno teso, contorto e spezzato, composto da una fitta sequenza di scatti nervosi.

Nelle sue opere le proporzioni, la costruzione delle figure, l’organizzazione dello spazio non sono vincolati alle leggi della pittura tradizionale ma si dispongono in funzione delle esigenze espressive dell’artista. In Tre bagnanti, del 1913, le ragazze nude sono dure, rigide, percorse da una tensione innaturale e si muovono con una meccanicità quasi burattinesca.

Ernst Ludwig Kirchner, Tre bagnanti, 1913. Olio su tela, 1,97 x 1,47 m. Sydney, The Art Gallery of New South Wales.

Kirchner: i temi urbani

Come gli impressionisti e i neoimpressionisti, l’artista amò rappresentare la città, la vita delle strade, dei tabarins, dei cabaret, dei circhi; tuttavia, a differenza di quanto era avvenuto in ambito impressionista (e ancora una volta riconducendosi all’arte di Munch e di Ensor), i temi urbani della sua pittura furono concepiti con accezione negativa. Spinto da un intento di feroce critica sociale, Kirchner volle infatti restituire il ritmo frenetico e gli aspetti più inquietanti e morbosi del mondo in cui viveva. Tutti gli uomini e le donne di Kirchner si tradussero in forme aguzze e metalliche, scomposte da colori acidi e dissonanti.

James Ensor, L’intrigo, 1890. Antwerp, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten.
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Scena di strada berlinese, capolavoro del 1913-14, fa parte di una serie di tele che l’artista dipinse tra il 1913 e il 1915 per illustrare, appunto, alcune scene di strada, ambientate nel cuore pulsante della sua Berlino. Nella folla che attraversa il centro cittadino, si notano due appariscenti prostitute che sfacciatamente si rivolgono a due giovani uomini. Alle loro spalle si riconosce la folla dei passanti e un tram trainato da cavalli. Tutte le figure sono grottesche, dipinte con apparente rapidità, e la composizione caotica ben esprime il tema tipicamente moderno della vita cittadina.

Ernst Ludwig Kirchner, Scena di strada berlinese, 1913-14. Olio su tela, 121 x 95 cm. Berlino, Brücke-Museum.

Le prostitute

Il tema della prostituta, molto ricorrente nell’arte di Kirchner, fu certamente ereditato dal Simbolismo e marcatamente da Munch. La donna prostituta, che vende il proprio corpo e non concede all’uomo il conforto dell’amore e del sentimento, è infatti una donna fatale che tenta il maschio e lo porta alla perdizione. Le prostitute di Kirchner sono dunque figure demoniache, inespressive, fredde e crudeli e denunciano la componente marcatamente misogina della sua pittura.

Ernst Ludwig Kirchner, Cinque donne per strada, 1913. Olio su tela, 120 x 90 cm. Colonia, Wallraf-Richartz Museum.

Sono probabilmente prostitute le sue Cinque donne per strada, dipinte con colori disturbanti, in cui prevalgono il giallo e il verde acido, e mostrate attraverso forme aguzze, puntute e taglienti. Simili a pericolosi rapaci, si guardano attorno in cerca della loro preda. Una ruota di automobile in basso a sinistra e il cenno di un palazzo d’abitazione a destra sono le uniche testimonianze dell’ambientazione urbana.

Autoritratto da soldato

Il gruppo della Brücke si disperse alle soglie della grande guerra. Kirchner visse drammaticamente lo scioglimento del movimento e si arruolò come volontario nel 1914. Ma il suo fragile equilibrio non resse all’impatto con la vita militare, così fu congedato nel 1915. In Autoritratto da soldato, del 1915, l’artista si dipinse simbolicamente con la mano destra mozzata, quella stessa con cui dipingeva, in una lucida presa di coscienza della propria sconfitta: gli artisti non avevano più alcun potere né alcuna possibilità di cambiare il mondo, di educare la gente, di orientare le coscienze.

Ernst Ludwig Kirchner, Autoritratto da soldato, 1915. Olio su tela, 69,2 x 61 cm. Oberlin (Ohio), Allen Memorial Art Museum.

A nulla erano valsi gli sforzi per scuotere l’opinione pubblica, per denunciare gli abusi e le corruzioni, per segnalare il pericolo imminente del degrado e della degenerazione. Al pittore non restava che rappresentare il drammatico e ineluttabile isolamento dell’uomo, perduto nel brulicare delle metropoli su cui sovrastava implacabile l’apocalisse della Prima guerra mondiale. Nel 1917, Kirchner fu colpito da una paralisi nervosa: guarì, ma non riuscì più a trovare un senso alla propria esistenza. Dopo la presa del potere dei nazisti, le sue opere furono rimosse dai musei; alcune, nel 1937, vennero esposte alla Mostra dell’Arte Degenerata e in seguito bruciate. Nel 1938, l’artista, umiliato, si uccise con un colpo di pistola.


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