L’errore come causa di annullamento del contratto
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L’errore come causa di annullamento del contratto

24 Dicembre 2016 | Autore:
L’errore come causa di annullamento del contratto

I vizi della volontà nel matrimonio: la differenza tra errore ostativo ed errore vizio.

I vizi della volontà in generale

I vizi della volontà sono quegli elementi perturbatori che si inseriscono nel processo formativo della volontà fuorviandola e determinandone una formazione anormale.

In presenza di un vizio, la volontà non manca né è difforme dalla dichiarazione. Essa nasce semplicemente «malata», in quanto, a causa dell’incidenza del vizio, il soggetto ha posto in essere un atto che altrimenti non avrebbe compiuto.

Così, ad es., se Tizio in male fede (dolo) mi ha indotto a credere che il quadro che vuole vendermi è di Picasso e io lo acquisto, effettivamente ho voluto l’acquisto, solo che tale volontà è dipesa dal raggiro di Tizio, per cui, una volta scoperto che il quadro è un «falso», mi è riconosciuto dall’ordinamento il potere di chiedere che il contratto venga annullato.

I vizi della volontà cui la legge attribuisce rilevanza sono, l’errore, il dolo e la violenza. Tali vizi non producono, quale conseguenza, la nullità, bensì l’annullabilità, e legittimano i soggetti interessati all’impugnativa del negozio nel termine prescritto dalla legge (cinque anni).

 

L’errore (artt. 1428-1433)

L’errore costituisce una falsa rappresentazione della realtà che concorre a determinare la volontà del soggetto (TRABUCCHI). All’errore è equiparata l’ignoranza, ossia la mancanza di qualsiasi nozione di un determinato fatto.

L’errore, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, rende il negozio annullabile su istanza della parte che in esso è incorsa.

Tuttavia, questa non può chiedere l’annullamento del contratto se, prima che possa subire un pregiudizio, l’altra parte offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che essa intendeva concludere (mantenimento del contratto rettificato: art. 1432). L’errore può essere di due specie: errore ostativo ed errore vizio.

Tale distinzione aveva grande importanza sotto il vigore del codice abrogato; dottrina e giurisprudenza infatti, affermavano che l’errore ostativo, in quanto eliminava del tutto la volontà, comportava per conseguenza la nullità del negozio (si ricordi che errore ostativo significa errore che osta alla formazione del negozio), mentre l’errore vizio, influendo nel processo di formazione della volontà, produceva la semplice annullabilità del negozio. Il codice attuale, preoccupandosi della gravità delle conseguenze dell’errore ostativo (nullità), ha decretato il superamento, da un punto di vista pratico, della dicotomia errore-ostativo, errore-vizio, equiparandone gli effetti (annullabilità).

Errore ostativo

L’errore ostativo è quello che cade sulla dichiarazione o sulla sua trasmissione, dando luogo ad un’inconsapevole divergenza tra volontà e dichiarazione (es., dico 100 e volevo dire 1000). In particolare, questo «tipo» di errore, può consistere:

  • in una falsa conoscenza o ignoranza della realtà;
  • in una mera svista materiale (cd. lapsus) che in quanto tale, può essere causata anche da un terzo;
  • in un errore di linguaggio giuridico.

L’errore ostativo va distinto dalla cd. falsa demonstratio, che consiste nell’indicazione erronea di elementi del negozio, tale però da non impedirne l’identificazione.

L’errore ostativo non rientra tra i vizi della volontà; tuttavia, l’art. 1433 sottopone alla stessa normativa dell’errore-vizio «l’errore che cade sulla dichiarazione o sulla trasmissione inesatta della stessa, da parte della persona o dell’ufficio che ne era stato incaricato».

Dall’identità di disciplina consegue che, nonostante l’errore ostativo sia segno di volontà mancante, esso è rilevante se essenziale e riconoscibile (vedi infra).

Si ricordi che l’estensione della disciplina dell’errore-vizio all’errore ostativo vale per i contratti e per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Non vale, invece, per il testamento, rispetto al quale non si pone l’esigenza di tutela dell’affidamento che, per l’appunto, giustifica detta estensione di disciplina.

L’errore ostativo si distingue dall’errore-vizio, in quanto quest’ultimo esprime una volontà difforme da quella ipotetica, ma non la elimina (vedi infra); al contrario, nell’errore ostativo la divergenza totale tra volontà e dichiarazione comporta una mancanza della volontà.

 

Errore-vizio

Se l’ignoranza o la falsa rappresentazione della realtà induce il soggetto a stipulare il negozio, incidendo sulla volontà negoziale, ricorre la figura dell’errore-vizio o errore-motivo, che è l’errore che incide sul processo formativo della volontà.

Altra distinzione è fra errore di fatto (che cade sugli elementi del contratto o su circostanze esterne ad esso) ed errore di diritto (che riguarda norme giuridiche).

Errore di diritto è l’errore che consiste nell’ignoranza o falsa conoscenza circa l’esistenza, il significato o l’applicabilità di una norma giuridica ed è causa di annullamento quando abbia costituito la ragione unica o principale del consenso (art. 1429).

Il concetto di «errore di diritto» deve essere correttamente inteso. A tal proposito occorre distinguere:

  1. errore sulle conseguenze giuridiche del negozio; qui vale il principio ignorantia legis non excusat in forza del quale nessuno può invocare l’ignoranza della legge per eludere l’applicazione della norma; ad es., chi ha venduto una cosa non può sottrarsi alla responsabilità per i difetti o i vizi di essa, affermando di ignorare la disciplina dell’art. 1490 (TORRENTE);
  2. errore nella valutazione di una situazione giuridica; l’errore rileva e legittima la richiesta di annullamento del negozio per errore di diritto in quanto il soggetto non intende sottrarsi alla forza imperativa della legge, bensì semplicemente chiedere l’eliminazione di un negozio che è frutto di una volontà formatasi in modo viziato (purché naturalmente sussistano gli altri requisiti: essenzialità e riconoscibilità). Ad es. è annullabile il negozio col quale Tizio, ignorando l’esistenza di un divieto di costruire, acquista un fondo col chiaro intento di costruirvi un edificio.

Quindi, l’errore di diritto non solo dovrà essere determinante del consenso, ma dovrà essere essenziale con riferimento alla natura del contratto o al profilo oggettivo o soggettivo, secondo i parametri di cui all’art. 1429 n. 1-3. In dottrina si sostiene (GAZZONI, GALGANO, nonché Cass. 2052/1984) che l’errore di diritto avrebbe rilevanza anche se si tratti di errore sui motivi (normalmente irrilevanti). Si obietta, però, che in questo modo si dà un’ingiustificata diversa rilevanza all’errore sui motivi a seconda che esso cada su aspetti giuridici o su aspetti materiali: si nega, pertanto, «la rilevanza di finalità mediate che la parte può prefiggersi di realizzare», circoscrivendo l’errore di diritto ai presupposti oggettivi e agli effetti giuridici del negozio (BIANCA).

Nella disciplina dell’errore rientra anche il dissenso occulto, che ricorre quando una parte, attribuendo un erroneo significato alla manifestazione di volontà della controparte, vi aderisce.

I requisiti di rilevanza dell’errore

L’errore, per essere causa di annullabilità del contratto, deve essere essenziale e riconoscibile.

 

I- Essenzialità

L’errore è essenziale quando è tale da determinare la parte a concludere il negozio. In particolare, ai sensi dell’art. 1429, l’errore è essenziale:

  • quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto. L’errore sulla natura del contratto è quello che impedisce alla parte di avere la consapevolezza degli effetti giuridici essenziali che concorrono a individuare il negozio compiuto. Ad es.: credo di dare in locazione e invece concedo il bene in enfiteusi. L’errore sull’oggetto (error in corpore) è, invece, quello che cade sul bene che è oggetto del negozio: ad esempio, credo di comprare chiodi e invece acquisto viti;
  • quando cade sull’identità dell’oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso. L’errore sull’identità consiste nella falsa rappresentazione della cosa nei suoi connotati esteriori; l’errore sulla qualità è, invece, la falsa rappresentazione di qualsiasi caratteristica che, secondo il significato comune, possa essere considerata qualità. Ad es., compro un cavallo da tiro credendolo da corsa. L’errore sul valore della cosa, secondo l’opinione prevalente, è Infatti, la legge, nel caso di squilibrio tra le prestazioni, ha previsto, purché ne sussistano i requisiti, il rimedio della rescissione per lesione;
  • quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state determinanti del consenso. Ad es., Tizio stipula un contratto di società con Caio scambiandolo per Sempronio (errore sull’identità), ovvero credendolo per errore un facoltoso finanziere (errore sulla qualità). I negozi in cui rileva la persona del contraente possono essere qualificati come negozi conclusi intuitu personae;
  • quando, trattandosi di errore di diritto, è stato la ragione unica o principale del negozio.

La definizione normativa non è tassativa e non esclude che anche l’errore su presupposti oggettivi possa essere essenziale se, in relazione alle circostanze concrete, esso risulta determinante del consenso (BIANCA).

In ogni caso, non sono annullabili il matrimonio, l’accettazione dell’eredità, la transazione e la confessione.

In via generale, non è considerato essenziale — e quindi non rileva ai fini dell’annullabilità — l’errore sui motivi che ha indotto il soggetto a porre in essere il negozio.

L’errore sui motivi, purché risulti dall’atto e sia stato determinante del consenso, ha rilevanza in due negozi a titolo gratuito: testamento e donazione.

Ai sensi dell’art. 1430, «l’errore di calcolo non dà luogo ad annullamento del contratto, ma solo a rettifica, tranne che, concretandosi in errore sulla quantità, sia stato determinante del consenso».

La dottrina e la giurisprudenza distinguono, nell’ambito della previsione normativa, due diverse ipotesi di errore di calcolo:

  • la prima consiste in una svista materiale (riconoscibile prima facie) nel compimento di operazioni aritmetiche basate su criteri matematici esatti. Si tratta, in sostanza, di un errore materiale che dà luogo a rettifica;
  • la seconda investe i fondamenti stessi del calcolo di per sé esatto, diventando errore-vizio della volontà negoziale. Consiste in un errore sulla quantità che rende il negozio annullabile.

Ad es., Tizio compra 10 kg di patate a 1 euro al kg. Se, per errore nella moltiplicazione, risulta che egli deve 100 euro (invece di 10 euro), il contratto è rettificabile.

Se, invece, risulta che il prezzo dovuto è di 100 euro non per una svista materiale, ma perché Tizio ha comprato 100 kg ritenendo di comprarne 10 (suo reale fabbisogno), l’errore cade sulla quantità e, se è determinante del consenso, rende il contratto annullabile.

II- Riconoscibilità

«L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza, avrebbe potuto rilevarlo» (art. 1431). La ratio della riconoscibilità va ravvisata nella tutela dell’affidamento della controparte. Presupposto di tale requisito è, pertanto, l’unilateralità dell’errore, e cioè la contrapposizione tra una volontà inficiata nella sua formazione e un’altra immune da qualsiasi vizio. Di conseguenza, quando l’errore è comune, non venendo in considerazione il principio dell’affidamento, la «riconoscibilità non ha più alcun rilievo, perché ciascuno dei due contraenti ha dato causa all’invalidità del negozio, indipendentemente dall’altro» (Cass. 5829/1979). Il codice vigente, a differenza di quello abrogato, non richiede il requisito della scusabilità dell’errore, cioè il fatto che esso non sia dipeso da dolo o colpa del dichiarante.

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