Elena, la regina delle nozze con i fichi secchi

Le sue spoglie, assieme a quelle del marito Vittorio Emanuele III, sono rientrate in Italia tra le polemiche dopo 65 anni. Ma chi era davvero la regina venuta dal Montenegro testimone suo malgrado dell'ascesa di Mussolini?
Elena la regina delle nozze con i fichi secchi

In silenzio, senza troppe cerimonie: è così che le spoglie di Elena del Montenegro sono rientrate in Italia dopo 65 anni per riposare al santuario di Vicoforte accanto a quelle del marito Vittorio Emanuele III, tornato anche lui in patria dopo 71 anni d'esilio, lui sì tra dubbi e polemiche. E non poteva essere riversamente, perché la seconda delle tre regine d'Italia visse la sua vita con discrezione compatibilmente al ruolo, senza il protagonismo e la sfarzosa rappresentazione di sé della suocera Margherita che molto l'avrebbe criticata per quello stile così dimesso, quasi borghese.

E dire che, quando il figlio Vittorio Emanuele comunicò alla madre l'intenzione di prenderla in sposa, la regina era così felice della scelta da decidere di non fare ricorso al tavolino a tre piedi a cui chiedeva vaticini e previsioni con disinvolta frequenza. Il piano orchestrato con re Umberto I e il primo ministro Francesco Crispi era andato a buon fine: Vittorio Emanuele si era davvero innamorato di quella ragazza incontrata per calcolato caso e scelta da Margherita osservando una fotografia. Per quel figlio destinato al trono ma piuttosto malconcio nel fisico serviva una principessa di sangue reale solida e in salute, dopo attenta disamina la scelta era caduta su due delle figlie di Nicola I re del Montenegro, Elena e la più giovane Anna, che tuttavia non fu in grado di recapitare a Crispi una sua immagine perché alla corte di Cettigne non si era ancora vista una macchina fotografica.

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Elena un suo ritratto lo aveva, probabilmente scattato a San Pietroburgo dove il padre l'aveva mandata con la speranza che il futuro zar Nicola II la scegliesse in moglie. Peccato che la ragazza si prese una cotta per l'ufficiale Carl von Mannerheim, futuro presidente della Finlandia, che sfidò a duello il principe dopo che questi, durante un ballo, si era rivolto alla montenegrina in modo poco galante. Evento che provocò l'allontanamento da corte di Elena per ordine dello zar Alessandro III e la fine di quel sogno solo all'apparenza glorioso: Nicola scelse allora una nipote della regina Vittoria, Alice di Assia e Renania, destinata a morire fucilata assieme a lui e ai figli per mano dell'esercito sovietico nel 1918.

Promossa sulla carta, Elena doveva superare la prova del primo incontro. Vittorio Emanuele era stato categorico: non avrebbe accettato alcuna interferenza dalla madre, toccava a lui scegliere chi sposare. Per questo Margherita e Crispi tramarono nell'ombra, combinando un incontro al buio con la complicità di re Nicola, uno che di intrighi se ne intendeva vista la vicinanza con la Bella Otero. Si decide di far conoscere i due giovani a Venezia, la simpatia è immediata. Nel 1896, Vittorio Emanuele ed Elena si rivedono all'incoronazione a zar di Nicola, l'ex fiamma della principessa del Montenegro, evento segnato da nefasti presagi – 1.400 persone perirono durante i festeggiamenti per via del cedimento di una trincea mal chiusa – che tuttavia si rivela decisivo. Al rientro a Roma Vittorio Emanuele comunica alla madre di voler sposare Elena, in agosto parte per Cettigne per la richiesta formale al futuro suocero. Un passaggio dall'esito scontato che tuttavia segnerà Vittorio Emanuele: per via del pranzo luculliano e pesantissimo fatto preparare da re Nicola, il principe rifiuterà per il resto della vita di mangiare cibo montenegrino che Elena si diletterà a preparare solo per i nipoti.

Il matrimonio viene fissato nella Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma per il 24 ottobre 1896.Edoardo Scarfoglio, riferendosi alla scarsa dote della sposa, conia sul quotidiano Il Mattino un'espressione destinata a secolare fortuna: le nozze con i fichi secchi. Che sebbene non ricche, boicottate dalla madre di Elena contraria alla conversione della figlia e ridicolizzate dal ramo Aosta della famiglia Savoia – la principessa Hélène d'Orléans soprannominerà la cugina “la bergère”, la pastora - si riveleranno felici: nascono cinque figli, ogni giorno il principe si presenta dalla moglie con un mazzo di fiori di campo, proprio come aveva fatto a Cettigne prima di riprendere la nave per l'Italia.

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La luna di miele trascorre sullo yacht Jela, Elena in montenegrino, barca che tornerà spesso nella storia della principessa: è durante un viaggio in Grecia che la coppia apprende della morte di Umberto I, assassinato a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci. Vittorio Emanuele è re. Da subito Elena appare diversa dalla suocera Margherita. Innanzitutto rinuncia allo sfarzo, prediligendo un'immagine più modesta ben rappresentata dalla medaglietta presa nella chiesa francescana di Reggio Calabria dove chiese di potersi raccogliere in preghiera non appena rientrata in Italia da regina. Poi, al potere e alla politica tanto cari a colei che l'aveva preceduta, Elena preferisce i figli. «Prima di ogni cosa sono una mamma», ripete alle donne di Messina che soccorre dopo il sisma del 1908.È in quell'occasione che la regina straniera inizia a farsi amare dal popolo. La dedizione con cui aiuterà i terremotati, arrivando a lavare per ore i corpi dei cadaveri, le varranno un epiteto più gentile di quello riservatole da Hélène di Aosta: la pietosa.

La famiglia è il fulcro della vita di Elena, figli e nipoti che vanno a pescare caramelle e dolci dalle enormi tasche che la regina fa cucire ai suoi abiti e che lei riempie a ogni uscita per distribuire cibo ai poveri. Una dedizione che la regina madre vede di sbieco e fatica ad accettare, convinta che le nipoti e quell'unico figlio maschio, Umberto, stiano crescendo in modo poco idoneo al loro rango. «Sembrano delle massaie, non le figlie di un re», si lamenta in privato Margherita parlando di Iolanda, Mafalda, Giovanna e Francesca. La distanza si fa scontro quando Iolanda rifiuta i consigli della nonna e anziché accettare la corte del principe di Galles decide di sposare il conte Giorgio Calvi di Bergolo, affascinante ma povero in canna: mentre Elena, appassionata di romanzi d'amore e di eroine letterarie come Emma Bovary e Anna Karenina, supporta la figlia, Margherita presenzia sì al matrimonio ma comunica alla nipote di non volerle più rivolgere la parola.

A dividere le due donne c'è anche la politica. Margherita vede di buon occhio l'ascesa di Mussolini, anzi si dice che fu lei a persuadere il figlio a non far intervenire l'esercito quando il Duce marcia su Roma, convinta che Mussolini avrebbe protetto non solo la nazione ma anche quel re così debole. Se la suocera si spinge a dichiarare al Popolo d'Italia “Per il bene che ha fatto per l'Italia, ho per il Duce una viva simpatia, un affetto materno”, Elena si rifiuta di rivolgersi a lui chiamandolo Duce. A una parata, vedendolo oscurare il marito, lo affronta apertamente: «Si ricordi che in Italia esiste ancora una monarchia». Ma Vittorio Emanuele cede a Mussolini, si rende suo complice nell'orrore.

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Se per il re i giovani che partono per la guerra sono eroi che lottano per la patria, per la regina montenegrina quei ragazzi sono figli che vanno a morire. Come già fece durante la Prima guerra mondiale, Elena gira a dar conforto e aiuto per gli ospedali, compreso quel regina Elena da lei fortemente voluto e per suo desiderio specializzato contro i tumori. Sua maestà auspica la pace immediata, prova a coinvolgere le colleghe d'Europa scrivendo loro una lettera in cui propone di farsi intermediarie per fermare il massacro, ma Mussolini le proibisce di andare avanti in quella che rimarrà alla Storia come la pace delle dame. Il 28 agosto 1944, il dramma di centinaia di migliaia di famiglie entra a Palazzo: la principessa Mafalda, deportata nel campo di concentramento di Buchenwald, muore tra gli strazi.

Quando il 9 maggio del 1946 Vittorio Emanuele finalmente abdica per il figlio Umberto, re per un solo mese, Elena segue il marito in esilio. Troveranno rifugio da re Farouk in Egitto, dove il 28 dicembre 1947 Vittorio Emanuele muore stringendo tra le mani quelle della moglie. Malata di cancro, la contessa di Pollenzo, questo il titolo che Elena porterà negli ultimi anni, si stabilisce a Montpellier, centro all'avanguardia nella cura dei tumori. Morirà lì nel 1952: prima di spirare chiede di essere sepolta in una tomba comune, senza fasti. Fedele a questo spirito, la nipote Maria Gabriella, terzogenita di Umberto, ha riportato in Italia i suoi resti grazie all'assenso del presidente della Repubblica Mattarella. Che ha posto un'unica condizione: né Elena né Vittorio Emanuele III potranno riposare al Pantheon, dove invece si trovano le salme di Vittorio Emanuele II, Umberto I e Margherita. Un onore che chi si è reso connivente con la follia fascista non può certo meritare.