Il «Connubio». La giravolta di Cavour (1852) | by Mario Mancini | Medium

Il «Connubio»

La giravolta du Cavour (1852)

Mario Mancini
15 min readMar 6, 2020

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A sinistra, Camillo Cavour, leader della destra e, a destra, Urbano Rattazzi, leader della sinistra. I due politici andranno a Connubio sotto il vessillo dei Savoia

Con il discorso pronunziato alla Camera dei deputati il 5 febbraio 1852 Cavour rispondeva agli oppositori del progetto di legge governativo secondo il quale i reati di stampa contro i sovrani e i capi di governo esteri sarebbero stati deferiti d’ora in poi ai magistrati ordinari e non più ai giurati. In quest’occasione Cavour manifestò alla Camera quell’alleanza parlamentare — alla quale rimase la spregiativa definizione di connubio coniata dal Revel e dal Pinelli — fra il centro-sinistro e il centro-destro, indispensabile (come scrisse lo storico tedesco Treitschke) «per osare in uno stesso tempo la lotta ineguale contro Roma e l’Austria, contro la Savoia e Genova, contro gli oltremontani e i radicali».

Quali erano stati i motivi di quest’alleanza, conclusa in realtà tra il dicembre 1851 e il gennaio successivo, che aveva portato Cavour ad avvicinarsi alla sinistra moderata del Rattazzi e a distaccarsi nettamente dalla destra, incrinando anche i suoi legami con Massimo d’Azeglio, allora presidente del consiglio, di cui ben conosceva l’avversione per Rattazzi?

Neanche i maggiori uomini politici del tempo compresero l’importanza dell’avvenimento. Gioberti che si trovava a Parigi, gioiva soltanto dell’isolamento in cui erano cacciati i conservatori piemontesi. Balbo stesso, nel suo intervento alla Camera, non fece che sottolineare l’ingratitudine di cui dava prova Cavour nel respingere i suoi vecchi alleati, che riteneva deboli, per acquistarne dei nuovi, combattuti fino a poco prima.

Altri, come il Galvagno, ministro dell’interno, attribuì il riavvicinamento di Cavour al “partito della malva” (come era chiamato il centro-sinistro dalla Gazzetta del popolo di Torino) a desiderio di popolarità del conte, che cercava in tal modo soltanto di convincere l’opinione pubblica della genuinità del suo liberalismo.

In realtà, l’origine del connubio va ricercata nella diversa valutazione che Cavour e d’Azeglio davano della situazione internazionale e particolarmente del colpo di stato operato in Francia il 2 dicembre 1851 dal futuro Napoleone in: per l’Azeglio il successo del bonapartismo, e in genere il prevalere di forze conservatrici in Europa, comportava di necessità un mutamento nella politica interna piemontese che si sarebbe dovuta adeguare alla nuova situazione internazionale, giungendo eventualmente anche alla restrizione di alcune libertà costituzionali.

Per Cavour, invece, si sarebbero dovute trarre tutte le implicazioni giuridiche e politiche dello Statuto, procedendo alla trasformazione dello Stato, secondo lo spirito, oltre che la lettera, della carta costituzionale. Proprio il prevalere in Europa delle forze conservatrici, rafforzando la destra piemontese, consigliava una politica schiettamente liberale. Il dissenso tra i due uomini politici era quindi assai profondo, anche perché il connubio lungi dall’esaurirsi in un’abile manovra parlamentare, doveva, nelle intenzioni di Cavour, creare le premesse per un effettivo allargamento della base del ministero, mediante l’assorbimento della parte più moderata dell’opposizione, invitata ad assumere più dirette responsabilità.

Il testo che segue è tratto dai Discorsi parlamentari di Cavour, vol. V, 1851-1852, a cura di L. Russo, Firenze, La Nuova Italia, 1936, pp. 263–87.

Sul periodo cfr. A. Omodeo, L’opera politica del conte di Cavour, 2 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1940 (soprattutto, vol. 1, pp. 121-46); R. Romeo, Dal Piemonte sabaudo all’Italia liberale, cit.; G. Talamo, L’Italia di Cavour (1852–1861), in Storia d’Italia a cura di N. Valeri, 2° ed., Torino, Utet, 1965, vol. IV, pp. 1-200.

Cavour, ministrò di marina, agricoltura, commercio e finanze. — … o signori, io sarei ingiusto se non riconoscessi altamente la somma moderazione, l’alta convenienza che ha presieduto a questa discussione; moderazione e convenienza che onora altamente il nostro Parlamento. Sarei poi colpevole di ingratitudine, se io non riconoscessi che l’oratore , il quale parve tener ieri più desta l’attenzione della Camera, usò in questa lotta armi talmente cortesi da togliere ogni amarezza alla sua opposizione. (Bisbiglio). Mi corre inoltre l’obbligo di ringraziarlo della dichiarazione ch’egli volle far precedere al suo discorso, con cui fece promessa di accordare al Ministero nella ventura Sessione, in vista delle gravi circostanze in cui versa il paese, il suo appoggio, promessa di cui prendo atto (Sussurro a sinistra e a destra)-, promessa che io apprezzo altamente, poiché, se le circostanze consentono che l’onorevole oratore possa mandarla ad effetto, noi possiamo riprometterci che, se nella ventura Sessione egli impiegherà nel difendere il Ministero una parte sola, del molto ingegno che ha fin qui spiegato nel combatterlo, noi possiamo riprometterci, dico, di vederci appianata di molto la via nel parlamentare arringo. [Movimento]…

Io debbo anzi tutto esporre, perché il Ministero abbia creduto necessario di fare qualche cosa relativamente alla stampa; in secondo 1

luogo spiegare quali fossero i motivi per cui il Ministero ha creduto che la riforma dovesse limitarsi alla repressione di quei reati, che si riferiscono alla politica estera; e finalmente dichiarare le ragioni per cui, nelle attuali contingenze, egli abbia stimato che il solo rimedio opportuno fosse il modificare un solo articolo della legge attuale della stampa, deferendo ai tribunali ordinari la cognizione dei delitti che riflettono i capi degli esteri Governi.

Fra i problemi, o signori, che presenta la moderna legislazione e l’ordinamento delle libere istituzioni, io credo che il più difficile, il più malagevole a sciogliersi in modo soddisfacente sia quello della libertà della stampa. Didatti quantunque essa sia di data recente, fu già oggetto di un’infinità di leggi, le quali, convien dirlo, non raggiunsero lo scopo che si proponevano. Il conciliare l’esercizio della libertà colla repressione degli abusi che ne possono nascere è impresa, non che difficile, oso dire impossibile; quindi la necessità di contentarsi di leggi imperfette…

Per ciò che riflette la politica interna, o signori, gli eccessi è gli errori della stampa trovano, per così dire, un antidoto nell’esperienza di tutti i giorni, nel buon senso della nazione, la quale può giudicare di per sé i giudizi della stampa siano o no esatti, se siano giusti od ingiusti, moderati od esagerati.

Quando la stampa nei suoi giudizi trasmoda, sia riguardo agl’individui ed al Governo, come in punto alle teorie politiche, essa a poco a poco perde del suo credito. Quando un uomo si trova ogni giorno accusato dalla stampa, e che i fatti vengono ogni giorno a smentire coteste accuse, la stampa, o signori, perde la potenza di menomare od oscurare la riputazione degli uomini politici, e questo parmi sia stato confermato dalla storia del nostro paese.

Noi abbiamo attraversato tempi difficili, nei quali le passioni erano agitate, e la stampa era severa ed ingiusta verso gli uomini che avevano ingerenza nella cosa pubblica negli ultimi anni.

Ora, o signori, io non vedo che le accuse, le ingiurie, le calunnie della stampa abbiano modificata l’opinione che il pubblico aveva sopra quegli uomini. Alcuni degli uomini, i quali furono più in uggia alla stampa e continuo bersaglio ai suoi attacchi, sono al presente, non dirò più popolari, ma certamente non più impopolari di quello che il fossero nel 1848 e nel 1849.

Valerio Lorenzo. — Questo è frutto della battaglia di Novara.

Cavour, ministro di marina, agricoltura, commercio e finanze. — Là stessa cosa dirò rispetto agli atti del Governo. Quando la stampa attacca con violenza il Governo espone in falsa luce i suoi atti, gl’imputa ogni sorta di perversi progetti, se i fatti vengono a smentire poi tali accuse, io non dubito di asserire che questa stampa perde il suo credito e riesce affatto innocua rispetto al Governo.

Da ultimo, riguardo agli ordini interni, io stimo che poco giovi la, repressione della stampa, ed anzi che quella che rappresenta partiti estremi sia più pericolosa quando una legge repressiva la costringe a mascherare le sue opinioni, ed a gettare sopra esse un velo che le renda più misteriose, cioè meno soggette ad essere comprese e ponderate dal popolo.

Io tengo per fermo che, in massima generale, i partiti estremi non rappresentano mai che una piccola minoranza della nazione, e che questi partiti eccentrici non sono temibili se non quando possono farsi gli organi dei sentimenti, dei desideri della maggioranza, e che possono, velando la loro vera intenzione, presentarsi al pubblico come i più ardenti apostoli delle riforme che la maggior parte del paese reclama.

Ora, io ripeto, se lasciate una larga libertà ai partiti estremi, essi non potranno contenersi a rappresentare puramente la parte dei moderati difensori dei diritti della maggioranza, ma, abbandonati al proprio impulso, a poco a poco getteranno la maschera; saranno condotti a presentarsi al pubblico sotto il vero loro aspetto, e quando, giunti a quel punto, daranno a conoscere l’intima loro natura, essi saranno poco o , nulla temibili.

Infatti, o signori, le leggi repressive, se rimangono nella sfera della legalità, se, cioè, si contentano di definire i delitti, senza lasciarne la definizione all’arbitrio dell’uomo, non giungono mai ad impedire la manifestazione del pensiero; giungeranno però a modificare la forma che vestirà il pensiero nella sua manifestazione. Ora, quanto ai partiti estremi, essi saranno tanto più temibili quando saranno obbligati a manifestare con forma più moderata le proprie opinioni; e questa mia dottrina credo sia confermata, e da fatti accaduti nel nostro paese stesso e da quelli che avvennero presso varie altre nazioni d’Europa…

Ripeto essere ferma mia opinione, come è anche l’avviso del Ministero, che in circostanze ordinarie, in tempi normali, gli inconvenienti della stampa, per ciò che riflette la politica interna, non possono produrre gravi inconvenienti, od avere conseguenze tali da richiedere provvedimenti energici e straordinari di repressione. [Segni di adesione].

Queste mie dichiarazioni basteranno, spero, a far convinta la Camera che io non posso né punto né poco sottoscrivere all’opinione manifestata nella tornata di ieri dall’onorevole deputato Menabrea, non potendo il Ministero in verun modo ammettere che sia necessario di mutare radicalmente la legge sulla stampa, nello scopo di rendere la repressione di questa molto più efficace. Il Ministero non ha questa convinzione; i membri che lo compongono dichiarano anzi che, ove una tale proposizione fosse fatta nel seno di questa Camera, e partisse o dai banchi dei deputati o, in altre circostanze, dai banchi del Ministero, essi la combatterebbero risolutamente. [Molte voci: Bravo! Bene!].

Forse questa mia dichiarazione sarà tacciata d’imprudenza, poiché dopo di essa il Ministero deve aspettarsi di perdere in modo assoluto il debole appoggio che da qualche tempo esso riceveva dall’onorevole deputato Menabrea e da’ suoi amici politici. [Movimento]. Ma il Ministero lo ha già dichiarato nell’esordire di questa discussione: nelle attuali gravissime circostanze crede essere primo dovere d’ogni uomo politico di manifestare chiaramente e schiettamente le proprie intenzioni, di spiegare al cospetto del Parlamentò e della nazione quale è lo scopo che si propone di raggiungere, quale è la condotta che intende tenere. Quindi, desiderando che non vi possano essere illusioni a questo riguardo, io mi stimai obbligato a fare cotale dichiarazione, quantunque, lo ripeto, essa debba condannare il Ministero alla perdita di un alleato potente per la parola, e debba costringere me forse a ricominciare le ostilità con l’onorevole deputato Menabrea. (Vivi segni d’approvazione). Io mi rassegnerò a questa sorte. Già nel 1848 ebbi a pugnare contro di lui, io nelle file degli uomini moderati, egli associato agli individui che rappresentavano l’opinione più avanzata; e mi rassegnerò di nuovo a combatterlo ora che è a capo di coloro che, a creder mio, si preoccupano delle idee di conservazione a tal punto da dimenticare i grandi principii di libertà.

Menabrea. — Je demande la parole pour un fait personnel.

Cavour, ministro di marina, agricoltura, commercio e finanze. — Rispetto alle questioni interne, il Governo non ha lasciato di preoccuparsi, e di preoccuparsene gravemente, eziandio su quanto riguarda la religione. Esso, non meno dell’onorevole deputato Perni- gotti…

Asproni. — Domando la parola.

Cavour, ministro di marina, agricoltura, commercio e finanze. — … che mi duole di non vedere al suo banco, desidera che la religione sia rispettata ed amata da tutti.

Il Governo deplora gli abusi che la stampa ha potuto commettere in ordine alle materie religiose; ma in verità, dopo il più maturo esame, esso non ha saputo che si sarebbe potuto fare per reprimerli non solo, ma toglierli affatto di mezzo. Di fatti la legge in ora vigente, per ciò che riflette i reati contro la religione, è forse, di tutte le leggi sulla stampa, quella che stabilisce le penalità più severe.

La legge attuale conservò, se mal non mi esprimo, le disposizioni del Codice penale. Ora, questo Codice è stato fatto molto prima che sorgessero presso di noi le istituzioni liberali; è stato fatto in un tempo in cui non si poteva per certo accusare il Governo di non favorire abbastanza le idee religiose. Se la legge attuale non ha potuto impedire i delitti contro la religione, questo prova, o signori, quanto siano inefficaci le leggi repressive, quelle, cioè, che tendono ad impedire assolutamente tutti gli abusi della stampa.

Ma io confesso che mi recò non poca meraviglia lo udire l’onorevole deputato Pernigotti esprimere il suo timore sopra gli effetti della libertà rispetto alla religione. Io penso che quando egli manifestava tali paure fosse ingiusto verso la religione stessa, perocché, a creder mio, la religione nostra ha tali basi e tali fondamenti da poter resistere a ben altri pericoli che non sieno gli attacchi della nostra stampa.

Né io cercherò d’avvalorare questa mia proposizione con ragionamenti teologici, invocherò solo la testimonianza della storia dei tempi passati e della storia contemporanea; invocherò solo l’esempio desile vicine nazioni. Inviterò, per esempio, l’onorevole canonico Pernigotti, e quanti potrebbero dividere le sue opinioni su questo punto, a paragonare lo stato della Francia attuale con quello in cui essa trovavasi prima del 1789.

In quest’ultima epoca sicuramente la Francia non godeva, e non aveva mai goduto prima, di libertà di stampa. Le offese contro la religione erano quivi punite colle pene le più severe, non solo

pecuniarie e personali, ma persino con pene corporali, mentre quelli che lanciavano blasfemie, si condannavano niente meno che all’ab- bruciamento della lingua. Eppure si può dire che avanti al 1789 la religione era quasi sparita dalla Francia. Invece dal 1789 al 1852 questo paese ha sempre goduto più o meno della libertà della stampa. Questa stampa è sempre stata ostilissima alla religione; eppure è un fatto incontrastabile, per tutti quanti hanno studiata alquanto la condizione attuale della Francia, che vi è in ora molto più spirito di religione che non vi fosse sessantanni fa.

Se si esamina poi la condizione degli altri paesi di Europa, io credo che si possa affermare, senza timore di venir contraddetto, che il sentimento religioso è più potente là dove la libertà della stampa in ordine alle cose religiose è più ampia. Io penso di non far torto a nessuno, dicendo che il sentimento religioso è forse più diffuso in Inghilterra che negli altri paesi d’Europa. E basti avvertire questo fatto. Mentre noi cerchiamo di diminuire il numero delle feste, e di rendere più mite la legislazione intorno all’osservanza di quelle che restringere non si possono, in Inghilterra invece tutti gli anni vediamo farsi proposte, le quali sono appoggiate da un numero rilevantissimo di membri del Parlamento, onde rendere più. severe le già severissime osservanze delle domeniche.

Questo fatto parmi sufficiente a provare che in Inghilterra il sentimento religioso è molto più potente che non presso di noi. Ma, parlando più particolarmente della religione cattolica stessa, io credo che in nessuna parte dell’Europa i suoi ministri abbiano maggiore influenza sopra i popoli che nei paesi ove vi ha la più assoluta, libertà, e dove essa trovasi a fronte di altre religioni che ogni giorno la combattono colla stampa e colla parola…

Io conchiudo, non già col dire che non si debba cercare di impedire gli attacchi contro la religione, ma coll’asseverare che si esagera di molto quando si pretende che questi attacchi possano porre in pericolo la religione stessa; che anzi opino che questi attacchi avranno per effetto di porre i ministri dell’altare in grado d’impedire per parte loro forse qualche abuso, e di migliorar la loro condotta e loro costumi. (Bravo! Bene!).

Da questi miglioramenti la religione ritrarrà un vantaggio, che supererà di gran lunga il nocumento degli attacchi cui va soggetta.

… Il Ministero adunque rimosse l’idea di riformare per ora la legge sulla stampa per ciò che riflette la politica interna. Esso riconobbe che vi era una parte di tal legge che richiedeva una riforma, quella dell’organizzazione dei giurati; ma non veggendo l’urgenza di tale riforma, ha stimato più opportuno di rimandarla ad epoca più adatta alla discussione di una questione cotanto vitale. Fu perciò che ci si attenne unicamente a presentarvi provvedimenti circa gli effetti della nostra stampa per ciò che riflette l’estera politica. E qui, o signori, permettetemi che io mi spieghi colla medesima franchezza che adoperai rispetto a ciò che riflette le nostre cose interne. (Udite! udite!). Il Ministero, se ha riconosciuto e riconosce che la stampa produce grandi benefizi per ciò che riguarda l’interna politica, dirò schiettamente non aver esso la stessa opinione per ciò che si riferisce alla politica estera. Io penso che la stampa possa giovare pochissimo, quando prende a trattare questioni che non riflettono il paese, e ne dirò i motivi.

In primo luogo è molto difficile che si possano pienamente emendare gli abusi della stampa. Trattando infatti di avvenimenti che si compiono in lontananza, il pubblico non può correggere col proprio giudizio, coll’apprezzazione dei fatti che cadono sotto i suoi occhi, le esagerazioni, gli errori in cui incorre la stampa.

In secondo luogo, la stampa, quando tratta della politica estera, non reca vantaggio a coloro cui vorrebbe giovare, ma sì invece loro nuoce.

Se essa prende a combattere i Governi stranieri, prende a propugnare la causa di una parte dei cittadini di un estero paese che essa reputa oppressa, probabilmente essa viene esclusa dallo Stato a cui si riferiscono le sue critiche; e quindi non può modificarvi le opinioni, non può portare un sollievo, un giovamento, una consolazione a coloro dei quali si fa a patrocinare la causa.

Ma mentre essa è esclusa dai caffè, dai gabinetti e dalle letture dei privati, questa stampa è letta dai Governi, e così da coloro contro di cui rivolge le sue accuse, e, diciamolo pure, le sue ingiurie ed i suoi oltraggi, i quali certo non producono altro effetto che d’irritarli maggiormente, e forse di aggravare la condizione di quegli stessi cui avrebbe voluto giovare.

Finalmente vi è ancora una considerazione gravissima, che diversifica la stampa per ciò che riflette la politica interna da ciò che si riferisce alla politica estera.

Il giornalista, lo scrittore che attacca il Governo o uomini politici del suo paese, in parte fa sempre un atto di coraggio; vi è sempre qualche pericolo per lui a suscitare le ostilità di uomini, che sono più o meno potenti come i capi dei partiti politici.

Lo scrittore, che schiettamente incontra questo pericolo, riscatta sino ad un certo punto quanto talora vi è di eccessivo e di riprovevole nei suoi attacchi. Ma per contro l’uomo che, come diceva l’onorevole mio amico il presidente del Consiglio dei Ministri, tranquillamente seduto e lontano dal pericolo prende a combattere un estero potentato che non lo può raggiungere, non mostra certamente coraggio, ma fa un atto di viltà (Movimento); imperocché quando si vilipende chi non si può vendicare, e non ha mezzo di chieder ragione dell’insulto, permettetemi che io il dica, tal atto non è di coraggio, ma è vergognoso.

Aggiungete poi che gli abusi della stampa, per ciò che concerne la politica estera, hanno conseguenze gravissime internazionali.

Senza spingere le cose all’eccesso, senza dire che tale stampa possa esser sempre occasione di guerre, di rotture diplomatiche, non sarò tacciato di esagerazione se affermo che quando la stampa di uno Stato insulta di continuo i capi degli esteri Governi, crea in questi un sentimento di malevolenza rispetto alla nazione dove tali scritti sono divulgati…

Dico adunque che, rispetto alla politica estera, la stampa può giovare non molto, può creare invece anche in circostanze ordinarie non lievi imbarazzi al Governo e produrre notevoli inconvenienti. Nelle circostanze poi straordinarie non vi è dubbio che la stampa, rispetto alla politica estera, possa avere effetti ancora più tristi. Dopo che gravi avvenimenti politici hanno suscitato fra i nostri vicini passioni ardentissime, se da noi si somministrasse a tali passioni esca ed alimento, certo non mancherebbesi d’eccitare nei nostri vicini sentimenti di apprensione prima e di ostilità quindi, che potrebbero tosto o tardi tornarci funesti. Ma l’onorevole deputato Rattazzi ci diceva: noi abbiamo il diritto di stampare quello che vogliamo. Secondo le leggi internazionali, nessuno può impedire di usare, d’abusare in casa nostra della nostra libertà; noi abbiamo in ciò un diritto assoluto.

Io non lo contesto. Se tutte le questioni politiche si giudicassero innanzi ad un tribunale arbitrario, a quel tribunale che gli amici della pace invocano coi loro voti, l’argomento del deputato Rattazzi sarebbe ottimo; ma pur troppo finora le questioni politiche sono state risolte in assai piccola parte a ragione di diritto, ed in massima parte con ben diversi argomenti e per ben diversa ragione. Credo quindi che correremmo gran pericolo di vedere l’argomento dell’onorevole deputato d’Alessandria menato poco buono dalle grandi potenze europee. Il Ministero, convinto che, rispetto alla politica estera, la stampa non meritava tutti quei riguardi che meritare poteva per ciò che riflette la politica interna, convinto che essa poteva produrre gravissimi inconvenienti, che questi inconvenienti sarebbero più sensibili nelle attuali circostanze, ha pensato essere il caso di dover cercar modo di riformare gli abusi indicati. Egli è perciò che, avendo rinunziato all’idea della riforma completa della legge sulla stampa, essendosi determinato di venire ad epoca più opportuna alla riforma dei giurati, entrò nella determinazione di proporvi di deferire ai tribunali ordinari la cognizione dei reati relativi alla politica estera.

Si dice che il Ministro così facendo ha mancato di rispetto ai giurati, ha mostrato la sua diffidenza per un’istituzione, la quale esso pure riconosce essere una delle basi del nostro sistema politico, una delle massime garanzie della nostra libertà. Il Ministero, o signori, pensa che nell’attuale ordinamento del giurì non ha mancato di rispetto, credendo che non fosse il tribunale il più competente per apprezzare i reati relativi alla politica estera.

Come è composto ora il nostro giurì, non essendovi una prima scelta, naturalmente vi ha tutta la probabilità che esso sia composto di persone di pochissima coltura, di cui la massima parte sapranno certo leggere e scrivere, ma non avranno certamente quel grado d’istruzione che debbesi attendere da uomini, che hanno a portare un giudizio nella materia delicatissima della politica estera. Ora, persone che hanno poca coltura, se sono dotate di senso comune, possono essere giudici assai acconci per ciò che riflette la politica interna, possono essere i fedeli interpreti dell’opinione pubblica per le cose che riguardano l’interno del paese, ma confesserete, o signori, che sono molto poco adatte per apprezzare le conseguenze che un reato di stampa rispetto ai Governi esteri può avere sopra le cose del paese. Io credo quindi che, stante l’attuale composizione del giurì, era non solo opportuno, ma indispensabile il sottrarre ad essi la cognizione dei reati che riflettono le potenze estere, se vuoisi, come credo da tutti si voglia, che questi reati sieno veramente repressi…

Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età conteporanea, Loescher, Torino, 1966.

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.