23 agosto 2023 15:13

“Se lo avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio”. Questa celebre frase di Albert Einstein pronunciata all’indomani dello sganciamento delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, nell’agosto del 1945, sintetizza con una sorta di humour insieme iconoclasta e sconsolato lo sconvolgimento interiore e concettuale di gran parte dell’opinione pubblica mondiale e dello stesso mondo della scienza, in particolare quello della fisica, direttamente implicato nella creazione della prima arma di distruzione di massa della storia.

E sintetizza altrettanto bene il sentimento interiore di Robert Oppenheimer, padre del progetto Manhattan che porterà alla realizzazione e al lancio della bomba atomica. Una personalità geniale, ultrasensibile ma anche controversa, da Christopher Nolan esplorata nelle sue varie fasi storiche in un lungo film caleidoscopio che arriva ora nelle sale insieme al suo primo lungometraggio, brevissimo e in bianco e nero, Following, del 1998, sorprendente condensato anticipatore delle tematiche e delle modalità stilistiche successivamente esplorate dal regista, Oppenheimer compreso.

Il film, come è noto, è basato sul libro, vincitore del premio Pulitzer, Oppenheimer. Trionfo e caduta dellinventore della bomba atomica di Kai Bird e Martin J. Sherwin, l’uno giornalista e l’altro storico, esperti del tema. Nolan l’ha appunto trasfigurato in un caleidoscopio estetico che al suo interno si fa punto d’intersezione, in una modalità sia diretta sia indiretta, di molte questioni fondamentali e diverse, a cominciare da un’interrogazione sul senso delle immagini. Un vero e proprio crogiolo. E non solo perché dopo di allora nulla è più stato come prima per la scienza, la cultura, il cinema e tutti i mezzi di espressione. In breve, per la realtà del mondo, per come lo percepiamo, per la stessa nozione di futuro radioso per il genere umano che la scienza per molto tempo ha veicolato e simboleggiato.

Il paradosso al centro
Per gli Stati Uniti fu un cambio di paradigma epocale. In un saggio innovativo sulla presidenza Roosevelt (Il New Deal, Einaudi), lo storico Kiran Klaus Patel ricorda in poche righe alcune delle questioni storiche legate al progetto Manhattan che Nolan rappresenta nel suo film: “Avviato con pochi mezzi nel 1939, questo progetto si ingrandì fino a impiegare circa 130mila dipendenti in una dozzina di siti sparsi su tutti gli Stati Uniti, e costò circa due miliardi di dollari. Più di qualsiasi arma convenzionale, la bomba a fissione nucleare avrebbe segnato il futuro dell’America e del pianeta durante la guerra fredda e anche dopo. L’economia di guerra gettò inoltre le basi della prosperità del dopoguerra e della società dei consumi”. Quindi una struttura monstre, anche non considerando quanto precisa Klaus Patel in una nota, poiché per qualcuno “furono addirittura seicentomila le persone che lavoravano e supportavano direttamente il progetto Manhattan”.

L’apoteosi della conoscenza scientifica fattasi tecnologia è insomma anche la sua negazione

Ma se Oppenheimer è il punto d’intersezione e insieme di condensazione di ogni cosa, cinema di Nolan compreso, come sempre il regista mette al centro di tutto il paradosso: della storia, della scienza, della psiche umana ma anche del (suo) cinema. In questo punto d’intersezione che è l’intero film è situata per esempio la divaricazione, che qui si fa dicotomia, tra scienza e tecnologia, tra conoscenza e applicazione concreta delle nuove conoscenze. Quella scienza che non interessa poi tanto la società finché resta nell’astrazione delle idee, ma la cui percezione muta radicalmente non appena diventa un motore reale di cambiamento nella vita pratica delle persone. Con la bomba atomica, ci dice il film, questo sarà vero all’ennesima potenza ma, al tempo stesso, paradosso davvero supremo, lo sarà con un’arma tecnologica che è la negazione del sogno di (onni)potenza, poiché è un’arma puntata contemporaneamente contro l’altro e contro se stessi.

Un ammasso grandioso di idee percepite come astratte che producono un’altrettanto grandiosa possibilità ben concreta di annichilimento totale non solo della nostra quotidianità (come lo fu per gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki) ma anche della realtà umana nella sua totalità. L’apoteosi della conoscenza scientifica fattasi tecnologia è insomma anche la sua negazione, poiché implica la possibilità della fine dell’intero genere umano mediante una guerra totale.

Materia e antimateria
La dialettica estetica tra bianco e nero e colore va oltre l’intenzione di raccontare con chiarezza lo scontro tra una realtà delle cose non univoca ma sfaccettata, quella vista da Oppenheimer – interpretato dall’eccezionale Cillian Murphy che domina il film – e quella vista invece da Lewis Strauss della Commissione per l’energia atomica, che condensa in sé lo schematismo anticomunista del maccartismo per il quale Oppenheimer era il diavolo. Due antitesi tra i suoi personaggi principali, nel cinema di Nolan equivalgono sempre a una nemesi, come la materia e l’antimateria scontrandosi si annichiliscono generando raggi gamma. “Nascondere e mostrare sono due lati di una stessa medaglia. Quando gli sottrai qualcosa, mostri loro quel che avevano”. Non è un dialogo tratto da Oppenheimer ma da Following.

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Annichilimento tra personalità rovesciate, tra esseri umani che paiono l’incarnazione della dialettica tra lo yin e lo yang. Le opposizioni che albergavano in Oppenheimer sono le stesse che albergano in ogni essere umano, come un pantografo che riproduce in grande i disegni fatti in piccolo. E per questo la storia personale di Robert Oppenheimer condensa in sé la dialettica binaria e ambivalente che osserviamo nell’intera storia umana. Perché la scienza alla sua massima potenza invece di preservare l’umanità aiuta a distruggerla? Da sempre il lato oscuro dell’uomo è il tema indagato dalla cinematografia di Nolan. Oppenheimer è in fondo un uomo che per salvare il mondo si trova a metterlo a rischio. Proprio come accade a un supereroe. Non siamo poi lontano dalla trilogia di Batman.

Scienziato dalla visionarietà prossima all’allucinazione, nel rappresentare il caotico magma interiore di Robert Oppenheimer, Nolan lavora specularmente su un magma estetico grazie anche all’uso rivoluzionario della tecnologia Imax®, non limitata solo alla proiezione in sale scelte, ma usata pure per le riprese in un misto con la pellicola di grande formato 65mm. Senza dubbio l’Imax® è una tecnologia che crea possibilità espressive molto più ampie del 3d e Nolan lo dimostra. Mai campi di energia produssero al cinema una rappresentazione così epocale da equivalere a una serie di campi di energia cinetica, un concentrato densissimo di messa in scena che assurge a una super-rappresentazione non di rado psichedelica, a tratti surreale, come fosse un assemblaggio di schermi molteplici che producono altrettanti climax vedibili contemporaneamente e che fanno quasi dimenticare che invece stiamo guardando immagini in sequenza.

Il regista britannico ha realizzato un capolavoro, l’opera più importante della sua carriera, dimostrandosi quasi l’unico autore delle nuove generazioni, insieme a Jordan Peele, a raggiungere il respiro, l’ampiezza, la follia visionaria e la sperimentazione inserita dentro al grande spettacolo tipico dei grandi autori degli anni settanta, come Scorsese o Coppola e, come loro, paradigma di una certa magniloquenza virtuosistica. Ma, al contempo, all’opposto di altri registi esibizionisti come Damien Chazelle il quale con Babylon sembra confondere il virtuosismo tecnico con la provocazione grossolana, oltre a dimostrare un’eccessiva e superficiale libertà nella rappresentazione storica.

Per questo il film, se complessivamente ha ricevuto più critiche positive che negative, è stato incensato da registi come Jordan Peele, Francis Ford Coppola (che ha parlato anche di una nuova “età dell’oro” per il cinema per la combinazione del successo di Barbie e Oppenheimer), Oliver Stone o Paul Schrader. Il regista di American gigolò e sceneggiatore di Taxi driver così lo ha definito: “Il miglior film, il più importante di questo secolo”.

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