FEUDALITA ECCLESIASTICHE E LAICHE, REGNO DI GERMANIA in "Federiciana" - Treccani - Treccani

FEUDALITA ECCLESIASTICHE E LAICHE, REGNO DI GERMANIA

Federiciana (2005)

Feudalità ecclesiastiche e laiche, regno di Germania

KKnut Schulz

La vita di Federico II e gli anni in cui regnò rappresentano soprattutto per il Regno di Germania un periodo di rivolgimento, sia sotto il profilo della feudalità in senso stretto, sia in rapporto al feudalesimo in generale. Questa valutazione si riferisce soprattutto alla trasformazione dello 'stato feudale' (parole chiave: ceto dei principi imperiali, principi elettori, sovranità territoriale, territorializzazione) e della 'società feudale' (parole chiave: ministeriali/cavalieri, borghesia/città e insediamento di liberi contadini). Questo processo, che aveva cominciato a essere percettibile intorno al 1100, subì una potente accelerazione a causa della disputa per il trono, avviata nel 1197-1198 in seguito alla morte dell'imperatore Enrico VI e alla successiva doppia elezione ‒ risolta definitivamente solo nel 1214 con la battaglia di Bouvines ‒, e dell'interregno, dal 1250-1254 fino al 1273. Le ripercussioni di questo periodo di svolta sono avvertibili fino a oggi: "da questo momento tutte le sue [del Medioevo] acque affluiscono al nostro presente" (Kroeschell, 1972, I, p. 241).

Le linee fondamentali dello sviluppo dei secc. XII-XIII, nel senso del cosiddetto 'secolo giuridico', si possono tracciare sulla scorta dei testi centrali della tradizione giuridica. Di una legislazione, o addirittura di una legislazione imperiale, si può parlare tutt'al più per le paci territoriali o imperiali, derivate dalla tregua di Dio, che ebbero inizio sotto l'imperatore Enrico IV e raggiunsero l'acme nella pace imperiale di Magonza del 1235 sotto Federico II. Una serie di analoga importanza si può individuare per la legislazione relativa ai feudi e alle regalie: dal concordato di Worms (1122), attraverso la legge feudale dell'imperatore Lotario del 1136 e quelle di Roncaglia di Federico Barbarossa, del 1154 e 1158, si giunge fino a Federico II con le cosiddette leggi a favore dei principi imperiali, soprattutto quelle risalenti al 1220 e al 1231-1232. Comunque nel caso di queste ultime, come vedremo anche in seguito, si tratta di conferme reali e imperiali delle richieste avanzate dai principi piuttosto che di un provvedimento sovrano. Un'evoluzione generale dell'area occidentale, che tuttavia conosce un particolare impulso solo durante il regno di Federico II, è rappresentata dall'impostazione o dalla stesura di testi giuridici che ha inizio in Italia con il Decretum Gratiani, o anche con i Libri Feudorum, e che nel Settentrione tedesco ha ripercussioni nell'Auctor vetus de beneficiis e nel celebre Codice sassone (Sachsenspiegel, 'Specchio dei sassoni', 1220-1230) di Eike von Repgow, con le sue irradiazioni sul diritto imperiale (Codice svevo, 1275 circa) e su numerose codificazioni giuridiche. A questo periodo (intorno al 1230) sono riconducibili anche le annotazioni del libro giuridico imperiale di Mühlhausen e, per la sfera di sovranità dell'Ordine teutonico che andava formandosi, la Kulmer Handfeste. Tutte queste raccolte mostrano, accanto alla volontà di fissare il diritto e alla tendenza a 'territorializzarlo', lo sforzo di integrare ambiti giuridici diversi. Gli sviluppi che modificarono più intensamente la società feudale, come quelli delle città e della borghesia in particolare, dettero origine ormai a proprie codificazioni che con la loro influenza contribuirono a configurare interi scenari urbani. Questo vale soprattutto nel Nord per il diritto di Lubecca (data orientativa 1226) con la sua irradiazione in tutto il territorio del Mar Baltico, addirittura fino a Novgorod, e per il diritto di Magdeburgo (all'incirca dal primo quarto del sec. XIII) che mantenne a lungo la sua efficacia nell'area dell'Europa orientale. Analoghe codificazioni statutarie sorsero in questo periodo anche nell'area meridionale tedesca, in particolare a Friburgo in Brisgovia, ad Augusta e a Norimberga, per citare solo qualche esempio. Non da ultimo rivestì una particolare importanza per la trasformazione della società feudale e del dominio feudale in questo periodo l'insediamento di contadini liberi ‒ sia nella terra di antica colonizzazione, sia nel territorio insediativo orientale ‒ che è attestato prevalentemente dalla tradizione documentaria (privilegi).

La posizione di molti principi imperiali ecclesiastici, contrassegnata fino al sec. XII dai forti vincoli politici e spesso anche personali con il potere regio, in seguito alla lotta delle investiture e al concordato di Worms (1122) si era convertita in un rapporto configurato in prima istanza dal diritto feudale. Oltre all'infeudamento ‒ che spettava al sovrano ‒ del principe imperiale ecclesiastico eletto ma non ancora consacrato con le regalie (Zepterlehen), che acquistò validità per il Regno di Germania a differenza del Regno d'Italia e della Borgogna, a un sovrano forte restava la possibilità di coinvolgere intensamente i principi ecclesiastici nella politica imperiale, come accadde per esempio sotto Federico Barbarossa. Ma la tendenza a costituire territori ecclesiastici autonomi affrancandosi dagli obblighi 'statali' (frammentazione feudale) alla fine si dimostrò inarrestabile e durante la disputa per il trono, tra il 1197-1198 e il 1214, conobbe un rafforzamento sostanziale. Espressione significativa di questo sviluppo è la Bolla d'oro di Eger (1213), concessa dal giovane Federico II sulla base delle richieste avanzate dal pontefice e dai principi, con la quale il sovrano si limitava a ribadire le promesse già pronunciate dall'imperatore Ottone IV al papa nel marzo del 1209 ‒ per quanto concerneva l'area di sovranità tedesca ‒, vale a dire innanzitutto la libera elezione dei vescovi da parte del capitolo, la facoltà di appello senza restrizioni alla Santa Sede e la rinuncia al cosiddetto diritto di spoglio e di regalia, quindi al diritto del sovrano di rivendicare per sé il patrimonio accumulato, ovvero l'uso dei diritti di sovranità dopo la morte di un principe ecclesiastico per tutto il periodo della vacanza. Federico II, nel lasso di tempo successivo, poté senz'altro contare sul sostegno di numerosi principi ecclesiastici e fare affidamento anche su un appoggio finanziario e militare oltre che diplomatico, ma la politica territoriale imperiale ‒ come accade ogni volta che un sovrano fa lo sforzo di costruire propri territori ‒ e, in un certo qual modo, anche la politica regia nei confronti delle città, specialmente quella del giovane re Enrico (VII), provocarono conflitti e costrinsero il sovrano a fare concessioni che ebbero ripercussioni nella legislazione imperiale. La prima di queste leggi, la cosiddetta Confoederatio cum principibus ecclesiasticis, che Federico II ‒ prima di partire alla volta dell'Italia per ottenere la corona imperiale e assumere la sovranità sul Regno di Sicilia ‒ accordò ai principi ecclesiastici in vista dell'elezione del figlio minorenne Enrico (VII) a re di Germania nell'aprile 1220, garantì ai vescovi in linea di principio l'uso incondizionato dei diritti di sovranità a loro assegnati e la protezione dalle intromissioni e dalle alienazioni nel territorio vescovile.

In modo ancora più persistente nell'età sveva si modificò la posizione dei principi imperiali laici nel loro rapporto con il re ovvero l'imperatore. L'antica articolazione dell'Impero in ducati dinastici, che avevano perso d'importanza già durante la lotta per le investiture, fu abolita o meglio sostituita nel tardo sec. XII in seguito alla divisione di Baviera e Sassonia e all'organizzazione di nuovi ducati territoriali. Il primo provvedimento riguardò la riconciliazione fra i Guelfi e i Babenberg, favorita da Federico Barbarossa, in seguito al conflitto per il ducato di Baviera. Il Privilegium minus rilasciato in questa circostanza nel 1156 riconosceva a Enrico di Babenberg il margraviato d'Austria innalzato al rango di ducato, dopo che Enrico il Leone aveva ceduto a questo scopo due dei sette feudi principeschi del ducato di Baviera, e garantì al nuovo ducato la successione anche in linea femminile o addirittura la facoltà di disporne liberamente, come pure la competenza giurisdizionale, che doveva essere esercitata solo con il consenso del duca. In questo modo furono individuate le componenti essenziali della nuova concezione di sovranità dei principi imperiali intesa in senso territoriale. Con il processo contro Enrico il Leone nel 1180, l'ultimo degli antichi ducati e la posizione di supremazia del duca di Sassonia furono smantellati. I suoi feudi furono trasformati in due nuovi 'ducati' nel senso di principati imperiali. Da questi eventi si formò, nel corso di un processo che coprì la svolta del secolo, il ceto 'nuovo' dei principi imperiali, che a dispetto di alcune ambiguità nella questione delle attribuzioni era caratterizzato dall'infeudamento diretto da parte del re o dell'imperatore con feudi la cui investitura prevedeva la consegna di una bandiera (Fahnenlehen), nel caso dei ventidue principi imperiali laici, o feudi la cui investitura comportava la consegna di uno scettro (Zepterlehen), per i novantadue principi imperiali ecclesiastici, almeno secondo la formulazione di poco successiva del Codice sassone. Lo sforzo per garantire la continuità e l'indissolubilità, che per i principati ecclesiastici era comunque assicurata dal diritto canonico, e che ormai era possibile ravvisare anche nel caso dei principati laici di nuova creazione, contribuì alla formazione di una cerchia relativamente ristretta di principi laici ("principes") e anche a renderne la posizione analoga a quella ducale, con il loro dominio feudale su conti e liberi e la loro (postulata) competenza giurisdizionale. Ciò nonostante non esistono né una 'delimitazione' del ceto dei principi imperiali, né criteri chiari di distinzione di diritto territoriale o feudale rispetto ad altre casate dell'alta aristocrazia; tuttavia nella maggior parte dei casi la loro importanza risalta in quanto signori territoriali ("domini terrae"). Questo concetto fu adottato in due documenti riguardanti i principi imperiali ("principes") rilasciati nello stesso giorno dell'anno 1231 da re Enrico (VII) e di conseguenza fu recepito, in un certo qual modo, nella 'costituzione' e nella legislazione imperiale. Esempi di particolare spicco dell'innalzamento al rango di principi imperiali sono l'istituzione da parte dell'imperatore Federico Barbarossa, nel 1184, del margraviato di Namur per il conte di Hennegau, come dominio personale, accanto al ducato di Brabante e al ducato degli arcivescovi di Colonia scaturito dall'eredità dei Guelfi, e la creazione del nuovo ducato di Brunswick-Luneburgo, questa volta per iniziativa di Federico II, nel 1235, in seguito alla quale fu raggiunto l'accordo lungamente differito con i Guelfi.

La dottrina dello Heerschild formulata da Eike von Repgow è strettamente connessa a questi sviluppi. Il concetto, inteso in origine nel significato di difesa o spedizione bellica, in seguito anche di obbligo di prestare servizio militare, a partire dal sec. XII, nella prospettiva del diritto feudale, acquistò sempre più univocamente il senso di obbligo militare del vassallo nei confronti del suo feudatario. Il Codice sassone, trattando questo concetto, lo illustra con la struttura gerarchica della piramide feudale, secondo cui il re deteneva il primo livello (ovvero era il primo della gerarchia militare), seguito dai principi imperiali ecclesiastici e laici che costituivano il secondo e terzo; i signori liberi e i loro vassalli formavano il quarto o il quinto. Questi ultimi erano equiparati ai liberi qualificati per essere scabini e ai ministeriali, che da parte loro comandavano sui valvassori come sesto livello, mentre l'assegnazione al settimo non è chiara. Il Codice svevo, che destinava i semiliberi al quinto e i ministeriali infeudabili solo dal re e dai principi al sesto, inseriva nel settimo livello i cosiddetti cavalieri 'a scudo unico' (Einschildritter) che potevano essere infeudati solo come soggetti passivi. Il sistema era basato sull'idea che l'infeudamento fosse ammissibile solo dal più elevato di rango, in caso contrario ne sarebbe derivata una diminuzione dello Heerschild: una concezione che comunque dava spazio ad alcune eccezioni. Ciò nonostante, in questo periodo, il lavoro intrapreso per conseguire sistematicità e normatività cominciò a guadagnare un'influenza anche sulla configurazione dei rapporti. Questo vale anche per la nascita del collegio dei principi elettori, quindi per i sette principi dell'Impero più insigni nonché principali elettori dell'imperatore, ossia secondo Eike von Repgow gli arcivescovi di Treviri, di Magonza e di Colonia, accanto ai principi elettori laici: il conte palatino del Reno in qualità di scalco imperiale, il duca di Sassonia come maresciallo imperiale, il margravio di Brandeburgo in quanto camerario imperiale e il re di Boemia come coppiere imperiale, che il Codice sassone non approvava perché 'non tedesco' ma che in epoca successiva assolse questo compito. L'idea della preminenza di singoli principi nell'elezione del sovrano fu espressa già all'inizio della disputa per il trono dall'arcivescovo Adolfo di Colonia, da papa Innocenzo III e dal cronista inglese Ruggero di Howeden. L'applicazione concreta di questa teoria avvenne tuttavia solo in occasione della doppia elezione di Riccardo di Cornovaglia e di Alfonso X di Castiglia, nel 1255-1256, e quindi all'inizio dell'interregno.

Quali possibilità aveva a disposizione il re o l'imperatore per rafforzare il potere centrale a fronte di questa feudalizzazione e territorializzazione del Regno di Germania? Un punto importante nella prospettiva del diritto feudale era senz'altro la questione del cosiddetto Leihezwang dei feudi principeschi: il sovrano, cioè, aveva l'obbligo di ridistribuire entro un anno i feudi principeschi ritornati in possesso dell'Impero? In molti casi erano in gioco pretese o aspettative che il re doveva soddisfare procedendo a un nuovo infeudamento, tuttavia non esisteva un principio giuridico riguardante tale obbligo. È questo che emerge dai tentativi dei sovrani svevi ‒ seppure non coronati alla fine da successo ‒ di assicurare all'Impero feudi tornati in suo possesso e di estendere così in modo sostanziale le basi della loro sovranità, come accadde per esempio nel 1195, in relazione al margraviato di Meissen, o nel 1236-1237 nel caso del ducato d'Austria. Gli Svevi ottennero migliori risultati ‒ ma in seguito all'introduzione di altri titoli giuridici ‒ nella conquista dell'eredità dei Guelfi nell'Alta Svevia (1179-1191) e per parti dell'eredità degli Zähringen lungo il corso superiore del Reno (1218).

Volendo spiegare, nella storia costituzionale più antica, il motivo per cui il sovrano tedesco, a differenza dell'Inghilterra e della Francia, intorno al 1200 e all'inizio del sec. XIII non riuscì a rafforzare il Regno e a conseguire una certa 'statalità', se ne è individuata un'altra causa, nell'ambito del diritto feudale, nell'impossibilità di imporre l'istituto della cosiddetta ligesse: tramite l'"homagium ligium" il vassallo era vincolato più fortemente al signore feudale e in presenza di numerosi rapporti feudali in concorrenza era assicurata la priorità al "dominus ligius". In Inghilterra l'istituto si affermò diventando un fondamento importante dello stato monarchico centralizzato, e anche in Francia si può registrare un analogo risultato, sebbene in misura più limitata. Nel caso del Regno di Germania si possono indicare due fattori in parte sostitutivi: da un lato, l'ordinamento dello Heerschild con la sua struttura gerarchica e, dall'altro, l'istituto della ministerialità che comportava un vincolo più forte nei confronti del signore feudale (Diensteid, 'giuramento di servizio'). Per poter valutare correttamente in particolare l'effetto di quest'ultimo fattore, è essenziale considerare l'evoluzione cronologica e spaziale della sovranità. La ministerialità imperiale e la ministerialità dei vescovi affini all'imperatore, che erano emerse più distintamente a partire dall'epoca della lotta delle investiture sotto Enrico IV, in questo periodo erano già arrivate a rivendicare l'infeudamento e l'ereditarietà del feudo (Bamberger Dienstrecht, 'diritto di Bamberga', 1060 ca.) e dalla seconda metà del sec. XII apparvero sempre più frequentemente in possesso di feudi di diversi signori (doppio o molteplice vassallaggio), per cui Federico Barbarossa nella sua legge sull'obbligo di fornire truppe (Constitutio de expeditione Romana, 1160 ca.) ‒ rilasciata in nome di Carlomagno ‒ non si sentì indotto a cancellare completamente la differenza tra feudo vassallesco e feudo legato alla prestazione di un servizio (Dienstlehen), tuttavia quantificò la prestazione secondo le dimensioni del feudo (quantità delle Hufen, ovvero mansi, le entità delle entrate annuali). Una delle famiglie di ministeriali più importanti e conosciute dell'Impero, i Bolanden, intorno al 1250-1260 aveva compilato un libro dei feudi secondo modelli più antichi, da cui si ricava che la casata intorno alla svolta del secolo, accanto all'imperatore e al re di Francia, sottostava a quarantatré signori feudali e, dal canto suo, secondo Gisleberto di Mons, aveva diciassette castelli e millecento cavalieri vassalli. Guarniero II di Bolanden era senz'altro uno degli uomini più influenti del seguito di Federico Barbarossa e uno dei principali sostenitori della politica territoriale sveva lungo il medio corso del Reno. Insieme al figlio Guarniero III tuttavia, sotto Enrico VI e durante la disputa per il trono, ottenne una notevole autonomia e perseguì una politica di promozione dei suoi interessi familiari. Quando nel 1212 Federico II fece la sua comparsa in quest'area, la famiglia si schierò nuovamente dalla parte della casa sveva, si guadagnò la scalcheria imperiale e fece parte della reggenza per il giovane erede minorenne Enrico (VII). Quest'atteggiamento ambivalente di una delle casate più insigni di ministeriali dell'Impero illustra molto chiaramente, pur nella sinteticità della rappresentazione, le complesse strutture della sovranità e della feudalità nel Regno di Germania in questo periodo. La ministerialità imperiale fu senz'altro uno dei fattori di potere più forti sia per l'espansione e il consolidamento della sovranità nel Regno d'Italia e nel Regno di Sicilia, sia, soprattutto, per il rafforzamento della monarchia nel Regno di Germania e la costituzione di territori regi, le cosiddette "terrae Imperii". Tuttavia, nella misura in cui il vincolo con la casa reale si allentava potendo dare spazio agli interessi personali della famiglia, subentrò anche un indebolimento del potere regio, come emerge da due episodi legati alla disputa per il trono che saranno brevemente tratteggiati. La doppia elezione del 1198 ebbe, in molti ambiti, come effetto un'alienazione dei diritti imperiali e dei beni della Corona da parte di ministeriali, come nel caso dei Bolanden; di converso la presa di posizione risoluta del maresciallo Enrico di Kalden e della ministerialità imperiale nell'interesse politico dell'Impero ‒ in un primo tempo il sostegno al guelfo Ottone IV dopo l'assassinio di Filippo di Svevia (1208-1209) e in seguito il deciso cambiamento a favore di Federico II (1212) ‒ ebbe un'influenza durevole sugli sviluppi politici ulteriori. Nel breve periodo in cui Enrico (VII) esercitò il potere in autonomia, dal 1228 al 1235, la ministerialità imperiale fu ancora una volta al centro della politica regia, ma poi seguì sempre più la propria strada per mescolarsi alla bassa nobiltà o guadagnare una notevole influenza fra la borghesia in ascesa come parte del nuovo ceto dirigente cittadino.

Questi princìpi giuridici fissati dalla sentenza dei principi imperiali, confermati dal re ovvero dall'imperatore e considerati vincolanti, hanno ottenuto grande risalto nella storiografia e nell'interpretazione politica del difficile processo di formazione statale in Germania, anche se da tempo il giudizio si è fatto più restrittivo. Si tratta, in concreto, della già menzionata Confoederatio cum principibus ecclesiasticis (1220), destinata ai principi ecclesiastici dell'Impero, e dello Statutum in favorem principum, rivolto anche ai principi imperiali laici, che re Enrico (VII) dopo le violente proteste dei principi dovette concedere nel 1231 e che l'imperatore Federico II confermò nel 1232 apportandovi alcune rettifiche. Entrambi i testi proibiscono ulteriori intromissioni nei diritti di sovranità e nella sfera di competenza territoriale dei principi imperiali che colpivano in particolare i vescovi in prossimità di territori soggetti alla sovranità sveva. Un fattore essenziale in questo contesto era la politica delle città e dei castelli, ossia la fondazione e l'incremento di nuove città, o anche l'appoggio accordato al processo di autonomia comunale di antiche città vescovili, insieme all'edificazione di castelli svevi sulle proprietà fondiarie ecclesiastiche. La violazione dei diritti di sovranità dei signori territoriali ("domini terrarum") ‒ dalla giurisdizione sui mercati, la coniazione e la dogana, le strade e la scorta fino all'ammissione ai diritti civici di servi (Eigenleuten) e persone abitanti fuori della città (Pfahlbürger) ‒ sarebbe stata esclusa per il futuro grazie a questa determinazione dei diritti dei principi. Considerando che la via che ha condotto al moderno sistema statale in Germania non fu aperta a livello imperiale bensì territoriale, e quanto a lungo è sopravvissuta (in parte fino a oggi) la frammentazione territoriale, si comprende perché questi privilegi concessi in un periodo di sovvertimento siano stati interpretati ed esaminati nei loro effetti a lungo termine, nell'Ottocento e nel primo Novecento, come 'leggi fatali' di 'svendita'. Dagli anni Trenta del secolo scorso la critica ha assegnato contorni più netti a queste valutazioni. Da un lato si è dimostrato che ai principi furono attribuiti diritti che comunque già possedevano o che almeno già rivendicavano; dall'altro, il sovrano, pur avendo concesso questi privilegi in una situazione di emergenza, non aveva affatto ceduto durevolmente titoli giuridici essenziali, ma, come provano i conflitti e i provvedimenti degli anni successivi, continuò a condurre una politica territoriale regia in concorrenza e a discapito di singoli principi. Ma soprattutto la pace imperiale di Magonza, concessa dall'imperatore Federico II il 15 agosto 1235 in occasione della grande dieta, dimostra che i diritti regali e la suprema giurisdizione del sovrano (istituzione del tribunale della Curia imperiale) potevano comunque essere reclamati inconfutabilmente da quest'ultimo. Ciò nonostante, non sussiste alcun dubbio in merito al fatto che entrambe le leggi destinate ai principi abbiano rivestito una notevole importanza nel corso dello sviluppo storico, che riflettano la posizione raggiunta dai principi imperiali a partire dalla disputa per il trono, la loro capacità d'azione come forza autonoma e lo stadio del processo di territorializzazione, che non fu messo in moto per questo tramite ma senz'altro ne fu rinvigorito. Comunque le radici della sovranità territoriale sono molteplici e non devono essere ricercate solo o in prima istanza nei diritti imperiali. Piuttosto essa fu desunta in parte da diritti comitali più antichi o, in generale, dall'autonomia del dominio nobiliare a vari livelli, ma soprattutto fu concepita come un processo di ricomposizione fondiaria sulla base di possedimenti, titoli giuridici e attività padronali. In questo contesto svolsero un ruolo il protettorato sulle chiese e i diritti giurisdizionali, alla pari con il feudalesimo, la costruzione di castelli e di città, l'insediamento dei contadini e la politica monetaria, per citare soltanto alcuni fattori. L'interpretazione di questa situazione complessiva si esprime nella formula binaria medievale 'terra e ceti' ("liute unde lant"), che implica l'idea di una comunità giuridica e di una comunità di persone sotto la protezione di un signore.

Come si è già accennato ripetutamente, a partire dal 1200 circa la borghesia e le città svolsero un ruolo d'importanza sempre crescente nel processo di trasformazione in atto. Se questo tema viene discusso per cercare di stabilire se si è trattato del proseguimento di uno sviluppo all'interno del sistema feudale oppure di un corpo estraneo, di un fenomeno che prelude alla società moderna, non si arriva molto lontano, in quanto entrambe le posizioni possono essere suffragate da argomentazioni e prove sufficienti. Nella parte introduttiva si è già indicato come la borghesia e le città in rapida espansione, con la loro forza non solo economica e militare ma anche creatrice del diritto, siano state all'origine della trasformazione della società nei secc. XII-XIII. Fin dall'inizio la borghesia fu in stretto contatto con il mondo dell'aristocrazia feudale tramite il ceto dirigente, che aveva spesso caratteristiche di tipo cavalleresco e ministeriale, in parte per i persistenti vincoli giuridici feudali (Zensualität, uomini obbligati a pagare un tributo personale) ma soprattutto sulla base dell'istituto del feudo borghese. Quest'ultimo non si differenzia dal feudo vero e proprio. È ereditario, all'occorrenza trasmissibile anche in linea femminile. Una certa peculiarità è costituita dal fatto che di norma si può acquistare e vendere e che si incontra quasi unicamente come feudo passivo, quindi sono raramente documentabili vassalli di borghesi. Un'area di confine è rappresentata dalla cosiddetta nobiltà cittadina. Come feudatari sono attestabili il re, la Chiesa e soprattutto la piccola o media nobiltà di campagna che cedette a borghesi singole masserie, case, appezzamenti di terra, decime, diritti di pesca e in parte diritti d'estrazione, ma raramente diritti di sovranità come tribunale, balivato e castelli. La contropartita era spesso di natura finanziaria, in alcune occasioni veniva anche fornito aiuto militare o si stabiliva l'affrancamento da queste prestazioni. I primi documenti, rilasciati a Ratisbona, risalgono al 1072-1073 e in seguito alla seconda metà del sec. XII, per raggiungere una maggiore consistenza solo a partire dal 1200. Infeudamenti di intere città e comuni sono testimoniati in Germania dal 1266 (Aquisgrana); tuttavia il riconoscimento ai borghesi della facoltà di avere feudi è già contenuto nella Berner Handfeste dell'imperatore Federico II del 1218-1220 (che, tuttavia, pone problemi di autenticità) e nel 1227 è fissato per la città di Basilea da re Enrico (VII). L'acme di questo sviluppo si raggiunse solo intorno al 1400, quando le aree circostanti a numerose città e interi territori cittadini furono interessati da questo fenomeno. Già nel sec. XIII ‒ più nelle città della Germania meridionale che in quelle settentrionali ‒ si possono osservare stemmi e forme della vita aristocratica, società cavalleresche e tornei, nonché la propensione a coltivare la poesia di corte (cf. Manessesche Liederhandschrift, o Codex Manesse, Zurigo, 1330 ca.).

Pur nelle differenze di valutazione non può sussistere alcun dubbio in merito alla trasformazione della società agraria avvenuta nel sec. XII e al principio del XIII, nel senso di una tendenza all'allentamento o alla dissoluzione del dominio feudale. Il regresso, che si può osservare dovunque, delle masserie soggette a servitù o la totale cessazione della gestione in proprio, inclusa la libera proprietà, da parte del signore feudale avevano cause diverse. Sul piano organizzativo divennero troppo dispendiose e inefficaci a livello economico, in quanto non corrispondevano alle nuove condizioni del mercato e delle città. A questo si aggiunse, da un lato, che i villici/fattori rivendicarono l'ereditarietà della loro funzione e contribuirono all'alienazione di interi complessi di proprietà; dall'altro, l'aspirazione alla libertà dei contadini, che si espresse sotto forma di emigrazione, rifiuto di prestazioni e resistenza, determinò qualche tipo di concessione e di adattamento. Questo processo è visibile con maggior chiarezza negli antichi conventi e nei domini feudali ecclesiastici, mentre i nuovi Ordini come i Cistercensi, con le loro grange e le loro case in città, inizialmente amministrati in proprio, praticavano nuove forme di economia. Tali ristrutturazioni, pur mostrando nelle singole regioni del Regno di Germania una caratterizzazione estremamente differenziata, ebbero tuttavia in generale come conseguenza un allentamento dei vincoli giuridici feudali e una riorganizzazione delle prestazioni di servizi personali che si convertirono in pagamenti in natura o in denaro. Durante questa fase di transizione verso un sistema di locazione (Pachtsystem) trovò spesso applicazione l'affitto libero in enfiteusi con diritto di successione, molto vantaggioso per il contadino, e con imposte fisse. Nell'impianto di nuovi insediamenti a villaggio, come accadde per esempio nelle Fiandre, in Olanda, nei terreni bonificati lungo il fiume Weser, nello Holstein e nell'area dell'Elba-Oder, furono rilasciati privilegi molto allettanti, che accanto all'enfiteusi e alla libertà dai vincoli feudali (affrancamento dal Todfall, il 'tributo mortuario') concedevano libertà di circolazione e un diritto particolare ai comuni rurali e ai loro tribunali. In questo caso si trattava anche, ma non solo, di nuove libertà di colonizzazione, per cui queste ultime non possono servire da modello esplicativo generale per la trasformazione strutturale in atto, e neppure la derivazione da elementi e forme giuridiche prevalentemente più antichi, che pure devono essere presi in considerazione. La molteplicità delle nuove forme di villaggio e di terreni agricoli che si configurano secondo un piano consente di riconoscere la disparità delle premesse e la loro sopravvivenza, spesso fino al presente, documenta la persistenza di questa ristrutturazione. Come già si è osservato in altri contesti tematici, questi processi culminarono nella prima metà del sec. XIII, raggiungendo in parte anche un'acme critica, come dimostra la famosa rivolta degli abitanti di Stedingen (1204). In questo caso si trattava di coloni contadini, in parte reclutati in Olanda, che avevano ottenuto diritti di proprietà vantaggiosi per colonizzare il territorio acquitrinoso sulla sponda occidentale del fiume Weser, al di sotto di Brema, e che formarono consorzi di comuni autonomi. La loro lunga battaglia contro gli arcivescovi di Brema e i conti di Oldenburg per la 'libertà' fu stroncata nel sangue da un esercito crociato in due riprese, nel 1233 e nel 1234, in nome della lotta contro l'eresia. Il Sachsenspiegel, ossia il Codice sassone menzionato nella parte introduttiva, e il diritto di Magdeburgo riflettono nella loro novità lo stadio raggiunto dalle norme giuridiche e dalle forme di economia nel territorio insediativo orientale, inclusa la formazione di comuni autonomi nell'area di colonizzazione dell'Europa centrorientale.

Nella maggior parte dei casi si tratta di processi di sviluppo di lunga durata che non sono manovrabili direttamente. Tuttavia si può riconoscere con chiarezza la 'mano' del sovrano ‒ a maggior ragione trattandosi di una personalità forte come quella di Federico II ‒ proprio perché solo in due fasi del suo governo, come re e poi come imperatore, egli intervenne direttamente dando un'impronta durevole alla situazione vigente nel Regnum Teutonicum, vale a dire dal 1212 al 1220 e dal 1232 al 1237. Questi anni di presenza personale e di impegno politico si differenziano tangibilmente dagli anni dell'assenza e dell'influenza solo indiretta, per cui è possibile immaginare risultati e conseguenze della politica sveva radicalmente diversi rispetto a quelli intervenuti nella realtà, specialmente sul terreno della politica territoriale regia, con notevoli ripercussioni per la posizione del sovrano. Quando si riflette su questi argomenti, è necessario considerare sempre che i quasi trentotto anni di dominio di Federico II furono preceduti e seguiti dal caos, rispettivamente, della disputa per il trono e dell'interregno, che assommati durarono altrettanto a lungo contribuendo in modo decisivo alla destabilizzazione.

fonti e bibliografia

Historia diplomatica Friderici secundi; Acta Imperii inedita; Acta Imperii selecta. Urkunden deutscher Könige und Kaiser mit einem Anhang von Reichssachen, a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker, Innsbruck 1870.

M.G.H., Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, I-III, a cura di C. Rodenberg, 1883-1894; ibid., Leges, Legum sectio VI: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, I-II, a cura di L. Weiland, 1893-1896; ibid., Fontes iuris Germanici antiqui. Nova series, I-IV, a cura di K.A. Eckhardt, 1933-1972; ibid., Diplomata, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, X, 1-5, Die Urkunden Friedrichs I., a cura di H. Appelt, 1975-1992.

Regesta Imperii, IV, 2, Die Regesten des Kaiserreiches unter Friedrich I. 1152 (1122)-1190, a cura di J.F. Böhmer-F. Opll-H. Mayr, Wien-Köln-Graz 1980 ss.; IV, 3, Die Regesten des Kaiserreiches unter Heinrich VI. 1165 (1190)-1197, a cura di J.F. Böhmer-G.-Baaken, Köln-Wien 1972-1979; V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […] 1198-1272, a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Inns-bruck 1881-1901; V, 4, Nachträge und Ergänzungen, a cura di P. Zinsmaier, Köln-Wien 1983.

Urkundenregesten zur Tätigkeit des deutschen Königs- und Hofgerichts bis 1451, I-II, a cura di B. Diestelkamp-E. Rotter: I, Die Zeit von Konrad I. bis Heinrich VI. 911-1197, ivi 1988; II, Die Zeit von Philipp von Schwaben bis Richard von Cornwall 1198-1272, ivi 1994.

Poiché la letteratura specialistica è estremamente ampia, e quindi non può essere interamente elencata, sono citate solo le opere di consultazione e quelle che danno una visione d'insieme dell'argomento e che riportano anche ulteriori indicazioni bibliografiche:

G. Waitz, Deutsche Verfassungsgeschichte. Die Verfassung des deutschen Reiches bis zur vollen Herrschaft des Lehnswesens, VII-VIII, Kiel 1876-1878.

H. Brunner, Deutsche Rechtsgeschichte, I-II, Leipzig 1887-1892.

R. Schröder-E. Freiherr von Künßberg, Lehrbuch der Deutschen Rechtsgeschichte, ivi 19327.

H. Mitteis, Lehnrecht und Staatsgewalt. Untersuchungen zur mittelalterlichen Verfassungsgeschichte, Weimar 1933.

Id., Der Staat des hohen Mittelalters, ivi 1940.

F.L. Ganshof, Qu'est-ce que la féodalité?, Bruxelles 1944.

H. Conrad, Deutsche Rechtsgeschichte, I, Frühzeit und Mittelalter. Ein Lehrbuch, Karlsruhe 1954.

E. Klingelhöfer, Die Reichsgesetze von 1220, 1231/32 und 1235. Ihr Werden und ihre Wirkung im deutschen Staat Friedrichs II., Weimar 1955.

Stupor Mundi. Zur Geschichte Friedrichs II. von Hohenstaufen, a cura di G. Wolf, Darmstadt 1966.

Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte, I-V, Berlin 1971-1998.

K. Kroeschell, Deutsche Rechts-geschichte, I, Bis 1250, Reinbek bei Hamburg 1972.

Probleme um Friedrich II., a cura di J. Fleckenstein, Sigmaringen 1974.

Die Zeit der Staufer. Geschichte, Kunst, Kultur. Katalog der Ausstellung Stuttgart 1977, veranstaltet vom Württembergischen Landesmuseum Stuttgart, a cura di R. Haussherr, I-V, Stuttgart 1977-1979.

K.-F. Krieger, Die Lehnshoheit der deutschen Könige im Spätmittelalter (ca. 1200-1437), Aalen 1979.

A. Haverkamp, Aufbruch und Gestaltung. Deutschland 1056-1273, München 1984 (19932, interamente rielaborato).

H.K. Schulze, Grundstrukturen der Verfassung im Mittelalter, I, Stuttgart 1985.

H. Keller, Zwischen regionaler Begrenzung und universalem Horizont. Deutschland im Imperium der Salier und Staufer 1024 bis 1250, Berlin 1986.

C.A. Willemsen, Bibliographie zur Geschichte Kaiser Friedrichs II. und der letzten Staufer, München 1986.

H. Boockmann, Stauferzeit und spätes Mittelalter. Deutschland 1125-1517, Berlin 1987.

W. Ebel, Geschichte der Gesetzgebung in Deutschland. Um Nachträge erweitert, Göttingen 1988.

B.U. Hucker, Kaiser Otto IV., Hannover 1990.

F. Opll, Friedrich Barbarossa, Darmstadt 1990.

K.-F. Krieger, König, Reich und Reichs-reform im Spätmittelalter, München 1992.

W. Stürner, Friedrich II., I-II, Darmstadt 1992-2000.

P. Csendes, Heinrich VI., ivi 1993. Lexikon des Mittelalters, I-XI, München-Zürich 1980-1998.

(traduzione di Maria Paola Arena)

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