(PDF) RAIMONDO FRANCHETTI: VIAGGIATORE, ESPLORATORE, NAZIONALISTA INDIPENDENTE | Orazio La Greca - Academia.edu
CENTRO ITALIANO PER GLI STUDI STORICO-GEOGRAFICI GEOSTORIE BOLLETTINO E NOTIZIARIO Anno XXV – n. 1 GENNAIO-APRILE 2017 Geostorie. Bollettino e Notiziario del Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici Periodico quadrimestrale a carattere scientifico – ISSN 1593-4578 Direzione e Redazione: c/o Dipartimento di Studi Umanistici Via Ostiense, 234 - 00144 Roma - Tel. 06/57338550, Fax 06/57338490 Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 00458/93 del 21.10.93 Direttore responsabile: CLAUDIO CERRETI Direttore del Comitato editoriale: ANNALISA D’ASCENZO Comitato editoriale: ANNALISA D’ASCENZO, ARTURO GALLIA, CARLA MASETTI Comitato scientifico: CLAUDIO CERRETI, ANNALISA D’ASCENZO, ELENA DAI PRÀ, ANNA GUARDUCCI, CARLA MASETTI, LUCIA MASOTTI, PAOLA PRESSENDA, MASSIMO ROSSI, LUISA SPAGNOLI Stampa: Copyando srl, Roma Finito di stampare: maggio 2017 COMITATO DI COORDINAMENTO DEL CENTRO ITALIANO PER GLI STUDI STORICO-GEOGRAFICI, PER IL TRIENNIO 2017-2019 Ilaria Caraci Presidente onorario Carla Masetti Coordinatore centrale Massimo Rossi Coordinatore della sezione di Storia della cartografia Paola Pressenda Coordinatore della sezione di Storia della geografia Anna Guarducci Coordinatore della sezione di Geografia storica Elena Dai Prà Coordinatore della sezione di Storia dei viaggi e delle esplorazioni Lucia Masotti Responsabile per i rapporti con gli enti stranieri Luisa Spagnoli Responsabile per i rapporti con gli enti italiani Annalisa D’Ascenzo Segretario-Tesoriere Arturo Gallia Carlo Gemignani Silvia Siniscalchi Revisori dei conti I testi accolti in «Geostorie» nella sezione «Articoli» sono sottoposti alla lettura preventiva (peer review) di revisori esterni, con il criterio del “doppio cieco”. La responsabilità dei contenuti dei saggi, ivi comprese le immagini ed eventuali diritti d’autore e di riproduzione, è da attribuire a ciascun autore. In copertina: Planisfero di Vesconte Maggiolo, Fano, Biblioteca Federiciana INDICE Timothy Tambassi Ontologia e rappresentazioni spaziali. La geografia antica e la distinzione tra geografia classica e geografie non classiche pp. 5-16 Ontology and spatial representations. Ancient geography between classical and non-classical geography Orazio La Greca Raimondo Franchetti: viaggiatore, esploratore, nazionalista indipendente pp. 17-39 Raimondo Franchetti: traveller, explorer, independent nationalist NOTE Vladimiro Valerio pp. 41-62 Relazione storico-scientifica sul globo terrestre di Cornelis De Jode, Anversa 1594 pp. 43-62 Report on a globe by Cornelis De Jode, Antwerp 1594 SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE pp. 63-71 ORAZIO LA GRECA15 RAIMONDO FRANCHETTI: VIAGGIATORE, ESPLORATORE, NAZIONALISTA INDIPENDENTE «È ora di finirla con la paura della paura degli altri», Raimondo Franchetti (cfr. TRAVERSI, 1931, p. XIV) Il 6 agosto 1935 decolla dall’aeroporto di Guidonia16 il trimotore militare Savoia Marchetti “S. 81”, destinazione Asmara, scalo tecnico prima Taranto e poi l’aerodromo di Almessa, presso Heliopolis, sobborgo del Cairo; ripartirà il giorno dopo all’alba, in condizioni atmosferiche ottimali. Il marconista di bordo comunica infatti alle riceventi di Guidonia e Asmara: “Tutto bene” (ISACCHINI, 2005, p. 268). Solo a tarda sera Asmara darà l’allarme: l’“S. 81” non è arrivato e anche a Massaua, dove avrebbe dovuto fare tappa, non si è visto. Ricognizioni al buio della notte non sono mai fruttuose; la mattina seguente si tenta di recuperare il ritardo e iniziano le ricerche. Aerei civili egiziani e britannici si alzano in volo e ripercorrono la presumibile rotta del nostro trimotore; nel pomeriggio se ne scorgono purtroppo i rottami a pochi chilometri dalla capitale egiziana, quindi l’incidente deve essere avvenuto alcuni minuti dopo il decollo. Niente da fare per i sette occupanti: due ufficiali piloti (maggiore Raffaello Boetani e sottotenente Giovanni Lavaggi), un motorista, un marconista (sottufficiali Edoardo Pirola e Vittorio Viotti) e tre passeggeri, tre personalità autorevoli: Luigi Razza17, ministro in carica dei lavori pubblici del regno d’Italia, Vincenzo Misasi suo segretario particolare, Raimondo Franchetti. orazio.lagreca@uniroma1.it. Prende il nome dall’ingegere Alessandro Guidoni, generale del genio aeronautico e pioniere del volo. Perì (1928) nel collaudo di un paracadute in località Montecelio (25 km da Roma), dove già dalla prima guerra mondiale esisteva un campo scuola piloti, intitolato fino al 1928 al tenente colonnello Alfredo Barbieri caduto in guerra nel 1916 (LA GRECA, MARAVIGNA, 2006, pp. 383-384). 17 Era nato a Monteleone di Calabria (dal 1927 Vibo Valentia) il 12 dicembre 1892. Dopo gli studi liceali nella barocca Noto, si trasferì a Milano e si laureò in legge. Nel 1915 riformato per ben due volte nei distretti militari del regno per oligoemia grave, non si rassegnò; si recò infatti a Lugano, ove riuscì a convincere il medico del consolato d’Italia a dichiararlo abile arruolato (LISCHI, 1936, p. 134). Volontario con il grado di sottotenente partecipò quindi alla Grande guerra collaborando attivamente per i giornali di trincea. Redattore del giornale socialista «Il Popolo», con l’ascesa di Benito Mussolini aderì agli ideali di piazza San Sepolcro e dopo la marcia su Roma fece parte del Gran consiglio del fascismo e del Gran consiglio nazionale delle corporazioni. 15 16 18 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA Sei salme vengono rimpatriate dall’incrociatore Diaz, ma non quella del barone Franchetti, il quale aveva da tempo espresso il desiderio di essere sepolto ad Assab e lì è stato inumato, fino a quando – con l’eliminazione del cimitero italiano per ragioni urbanistiche – venne traslato nel 1971 in quello di Massaua. Alla notizia dell’incidente i giornali di tutto il mondo ipotizzano un attentato e così il tragico evento viene subito avvolto dal mistero. Sono da allora trascorsi più di ottanta anni e non è stata mai fatta luce su questo che è uno dei tanti angoli bui della nostra storia. Lecito a questo punto chiedersi da chi fu ordito l’attentato, se di attentato si trattò? Forse questa domanda è stata accuratamente evitata? Circolò anche il sospetto di un possibile sabotaggio dell’aereo in Egitto, da addebitarsi agli inglesi contrari all’occupazione italiana dell’Etiopia. Il ministro (da solo sette mesi) e gli altri perirono per un banale guasto al motore o il gerarca Razzi venne fatto saltare in aria dal totalitarismo contro il quale si era sempre battuto, mentre si recava in Eritrea per verificare le opere pubbliche, sforzo finanziario immane del governo? Nonostante il riserbo, trapelò il sospetto che forze oscure del regime avessero potuto tramare una congiura per eliminare una personalità così importante. Si trattava infatti di un personaggio scomodo: apparteneva all’aristocrazia (non è un ossimoro) del sindacalismo operaio, tanto che Gabriele D’Annunzio, quasi per conferirgli un titolo di signorilità, lo chiamava Luigi Razza di Calabria (DOTTO, 2002, p. 31). Il sansepolcrista Razza era un fascista non fascista ed è arduo attribuirgli una collocazione ben precisa nella sfera ideologica del partito (SALIMBENI, 1998, p. 47). Era un tenace assertore dell’autonomia del sindacato dalle istituzioni governative. Quando venne allontanato dal vertice della Confederazione dell’agricoltura per il passaggio all’incarico di governo (1934), si pensò a una promozione, a un riconoscimento delle sue qualità e capacità organizzative. Fu invece una manovra del duce mirata all’emarginazione di uno dei più qualificati dissidenti alla sua politica, classico promoveatur ut amoveatur? D’altra parte il regime non era nuovo all’eliminazione anche violenta del dissenso18. Dopo sette settimane da quel disastro aereo (7 agosto) e precisamente il 3 ottobre, truppe italiane, con il pretesto di alcuni incidenti di confine, si spinsero in territorio etiopico, al comando di Emilio De Bono (governatore dell’Eritrea) che, troppo prudente e fiacco nel conquistare terreno, venne sostituito con Pietro Badoglio (governatore della Tripolitania e della Cirenaica). Benito Mussolini aveva bisogno di rapidi successi che aumentassero il suo prestigio, Badoglio difatti impose velocità all’avanzata e con la battaglia vittoriosa del lago Ascianghi (marzo-aprile 1936) aprì le porte di Addis Abeba (5 maggio 1936). Quattro giorni dopo, l’Etiopia con l’unione dell’Eritrea e della Somalia, costituì l’impero dell’Africa orientale italiana. 18 Analogo alone di mistero sarà registrato nel 1940 per la fine del più famoso Italo Balbo e, l’anno seguente, per Bruno il figlio stesso del duce. Anche allora gli interrogativi non trovarono conforto nei fatti, né furono motivati razionalmente (BENEDUCI, 2005, p. 23). ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 19 La conquista dell’Etiopia non solo feriva gli interessi del Regno Unito, ma era anche un’operazione fuori tempo. Aggressioni che nel XIX secolo sarebbero state semplici imprese coloniali, pensiamo a quante ne avevano in quel secolo messo a segno Francia, Inghilterra, Germania, Olanda e la stessa Italia, ora erano difficilmente tollerabili. L’era del colonialismo classico stava ormai tramontando e l’Etiopia faceva già parte della Società delle nazioni, pertanto aveva diritto alle garanzie previste dal patto societario contro l’aggressione19. Ma riprendiamo dal finis vitae del barone Franchetti, che morì a quarantasei anni, dopo viaggi, caccia grossa, battaglie sull’Isonzo, esplorazioni, sempre senza fanatismi ma con ardimento, lontano dalle logiche della clientela politica. A questo punto mi sovviene la nota frase di Attilio Momigliano: “gli storici scrivono di storia, i gentiluomini scrivono biografie”, quanto a me, geografo tradizionale, non farò naturalmente storie, ma un po’ di biografia mi aiuterà a tratteggiare questo interessante personaggio che trascorse gran parte della vita a Venezia e mai in oziosa ricchezza. Raimondo Arnoldo Ulderigo nacque a Firenze il 30 gennaio 1889 da Alberto20 di Raimondo e dalla contessa Margherita Levi di Reggio Emilia. I Franchetti e i Levi erano facoltose famiglie ebraiche: i primi discendevano dal livornese Abramo (nominato barone nel 1858 dal re di Sardegna Vittorio Emanuele II21) padre di Raimondo senior (1829-1905), nonno del nostro Raimondo; erano divenuti famosi in Europa, tra fine ‘800 e primo ‘900, per le loro grandi ricchezze22. I Levi di Reggio Emilia, anche loro di recente nobiltà, 19 Ho trovato interessante, e mi permetto segnalarlo, un recente volume di Eugenio Di Rienzo che evidenzia come le tensioni originate dal conflitto etiopico (guerra priva di particolare importanza per se stessa) creassero un’atmosfera così carica di elettricità e tanto gravida di pericoli d’esplosione da porre i presupposti di un conflitto generale. La politica inglese allontanò di fatto l’Italia dal campo europeo tradizionalmente occidentale e la spinse purtroppo verso la Germania nazista, manovra funesta che in quel momento consentì al duce di porre fine al pesante isolamento internazionale del nostro Paese (DI RIENZO, 2016). 20 Studiò musica a Torino e a Venezia, poi si perfezionò in Germania. Fu dal 1926 al 1928 direttore del conservatorio di Firenze. La scuola tedesca (Richard Wagner in particolare) formò il suo gusto per le grandi sonorità orchestrali e per gli effetti spettacolari che trasferì nelle opere, sia nelle minori come Asrael (leggenda, poco nota, dell’amore tra due angeli Asrael e Nefta, contrastato da Lucifero) ripetutamente diretta da Arturo Toscanini anche negli Stati Uniti, con l’interpretazione di Enrico Caruso, e da Gustav Mahler nel 1890 a Budapest, o La figlia di Iorio (libretto dell’amico Gabriele D’Annunzio), sia nelle maggiori come Germania e Cristoforo Colombo. Il municipio di Genova offrì a Giuseppe Verdi di comporre un’opera sulla figura di Colombo, ma il maestro, avanti negli anni, indicò nel Franchetti il compositore più capace e adatto allo scopo. Conobbe un periodo di notorietà anche per la sua passione per l’automobilismo: con Giuseppe Tito Ricordi fondò nel 1899 l’Automobil Club di Milano. Tra i primi in Italia ad avere un’autovettura, orgogliosamente vantava la targa Firenze 2. 21 Vittorio Spreti, Enciclopedia Storico-Nobiliare Italiana, III, Milano, 1930, pp. 253-255. 22 La loro fortuna veniva da lontano: i Franchetti avevano filiali in tutta Italia, o meglio in tutto il Mediterraneo; erano imprenditori e commercianti particolarmente abili con interessi assai diversificati, dalle tenute agricole (3.000 ettari in Veneto, altrettanti in Emilia), al tabacco, oleifici, allevamento di cavalli nel Mantovano dove avevano selezionato una razza equina denominata 20 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA ottenuta per meriti industriali e non per gloria militare, erano esponenti della vita pubblica cittadina: i fratelli Levi, Arnoldo (padre di Margherita) fu il costruttore dell’acquedotto della città emiliana, Ulderigo era stato nominato senatore del regno. Raimondino così da tutti chiamato per distinguerlo dal mitico nonno, non ebbe infanzia felice: i genitori divorziarono poco dopo aver messo al mondo un altro maschio (Guido) e una femmina (Maria). La sua educazione ne risentì; dopo i primi studi a Firenze, venne sballottato da un collegio all’altro: il Longoni di Milano, prestigioso ex “Collegio dei Nobili”, il Collegio internazionale di Torino. In seguito lo iscrissero al più importante convitto italiano: il Francesco Cicognini di Prato, ma i risultati furono completamente negativi. Insofferenza alla disciplina scolastica e non solo, poca dimestichezza nell’uso della sintassi e dell’ortografia, gli impedirono di conseguire un titolo di studio. E così fu anche per suo fratello Guido: ad entrambi fu impedito l’accesso al rango di ufficiali nell’esercito regio. Le vacanze estive per il nostro collegiale erano oltremodo gradite, con parenti assenti o indaffarati, poco propensi a occuparsi direttamente di figli o nipoti. Favolosi i mesi trascorsi o nel palazzo di Reggio Emilia, con ampio giardino e ippodromo, o a San Trovaso lungo il Terraglio, uno dei luoghi di villeggiatura preferiti dai patrizi veneti, dove nonno Raimondo aveva da tempo acquistato Villa Albrizzi, famosa residenza di campagna con sontuose barchesse in stile palladiano e un immenso parco all’inglese, con serre, cavallerizza, piccola sinagoga, straordinario canile (nonna Luisa Rothschild, pianista di talento, era anche appassionata cinofila). Lì Raimondino si abbandonava alle fantasie di ragazzino introverso e taciturno; sicuramente avrà trovato nelle estese soffitte della villa vecchie annate della «Gazzetta di Treviso» che, come altri giornali del Veneto, avevano dato spazio ai romanzi di Emilio Salgari, pubblicati a puntate. La scoperta dello scrittore veronese suscitò in lui, allergico alla rigida e tradizionale educazione scolastica, il senso dell’avventura, dell’esotismo, dell’anticonformismo, che non lo abbandonarono per tutta la sua breve vita, unitamente alla grande passione per i viaggi. Nel 1907 appena diciottenne, si recò in America settentrionale (tra Stati Uniti e Canada) per la caccia all’orso bruno nelle Montagne Rocciose, pur non avendo possesso in toto dell’enorme eredità del nonno. “Franchetti”, apprezzata anche dal regio esercito, di cui divennero fornitori. Ricordo inoltre la distesa lagunare, bonificata con i più moderni sistemi, valle San Gaetano presso Caorle, paesaggio immortalato in Di là dal fiume tra gli alberi da Ernest Hemingway, amico di Nanuk Franchetti (vedi nota 13), e le terre di San Trovaso a Preganziol nel Trevigiano. Grande artefice ne fu Raimondo senior, avveduto anche nella scelta della moglie: Luisa Sarah Rothschild, figlia di Anselm, capo del ramo viennese della famiglia, tra le più potenti d’Europa; tra un affare e l’altro trovò tempo da dedicare ad appassionanti restauri edilizi: Palazzo Cavalli, poi Franchetti, sul Canal Grande a Venezia, la Torre della Garisenda a Bologna. Decise inoltre di rivitalizzare l’industria vetraria muranese creando la Vetreria Veneziana con centinaia di maestranze. Da non dimenticare infine che fu generoso benefattore, sia nei confronti della comunità ebraica, sia verso istituzioni cattoliche, garantendosi così simpatie contro derive antiebraiche, sempre “dietro l’angolo”. ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 21 Il barone Raimondo senior era morto infatti nel 1905 senza eredi morali né nessuno che continuasse il suo operato di grande uomo d’affari, e aveva lasciato ai tre figli ricche rendite23, ma la parte più consistente ai nipoti. Escluse la moglie dal lascito solo perché ampiamente provvista di mezzi propri che lui stesso aveva negli anni ben amministrato e consolidato. Figli e nipoti ebbero dunque la loro parte, che avrebbero poi curato di disperdere. Dopo il primo viaggio in Nord America, il nostro giovane barone, rientrato in patria, ottempererò agli obblighi di leva, arruolato nei lancieri di stanza a Roma alla caserma Macao24, nel perimetro dell’antico Castro Pretorio. Finita la ferma, decise di affrontare le sue prime vere avventure e scelse luoghi salgariani: Malesia, Annam25, arcipelago indonesiano. Significativo segnalare quanto elaborato da Francesco Surdich a proposito della suggestiva esperienza in Malesia: «Qui, mentre una giunca manovrata da marinai cinesi si stava recando da Singapore a un’isola dell’arcipelago della Sonda, avendo dato ordine di gettare in mare tutti quelli che erano stati colpiti da un’epidemia provocata da suini presenti a bordo, fu abbandonato dall’equipaggio presso una tribù di pigmei, con cui visse undici mesi. Rientrato nel maggio 1911 a Singapore, nello stesso anno si recò nella Cina, ove era in atto la rivolta nazionalista [repubblicana che rovesciò la dinastia mancese Ch’ing, restaurando la sovranità cinese] di Sun-Yatsen» (SURDICH, 1998, p. 73). Da questi viaggi riportò un diario e una collezione di reperti etnografici che costituiscono il nucleo originario delle donazioni sue e dei suoi discendenti ai musei civici di Reggio Emilia (CHICCHI, MACELLARI, 2007). Tra il 1912 e il 1914 visitò in varie riprese il continente africano, che in quegli anni era in Europa simbolo di avventura e fascino velato di mistero (non Del primogenito Alberto (genitore di Raimondino) abbiamo già detto; il secondogenito Edoardo da subito si manifestò ben deciso a godere dell’enorme patrimonio familiare, dalla cui gestione venne tenuto lontano con una congrua rendita che gli permise di trascorrere tutta la vita spensieratamente a Parigi. Giorgio Gioacchino, il terzo, deluse anche lui, come i fratelli, le aspettative del pater familias: nessun interesse per gli affari. Si dedicò allo studio della musica e della storia dell’arte; per giunta sposò, contro il parere paterno, la contessa Maria Hornstein Hohenstoffeln, cattolica e senza dote. In contrasto con l’onnipotente padre anche sui restauri di Camillo Boito a Palazzo Cavalli, decise nel 1895 di acquistare la Ca’ d’Oro, allora cadente e divisa in appartamenti. Trascorse tutto il resto della vita a ricreare lo splendore di quella dimora del XV secolo. Con grande passione costituì il fondo, poi arricchito da continui depositi demaniali, di quella che ha preso il nome di Galleria Giorgio Franchetti. Nel cortile, un cippo antico copre un’urna romana contenente le sue ceneri: morì suicida a sessant’anni (1922). 24 A Roma il quartiere che si spinge oltre via Volturno e piazza dell’Indipendenza (nei pressi della Stazione Termini) prese il nome Macao per avervi posseduto i gesuiti una vigna donata dai Savoia, alla quale diedero questo nome in ricordo della loro missione in estremo oriente che fu per molto tempo il massimo centro di propaganda cristiana in Cina (LA GRECA, MARAVIGNA, 2007, p. 55). 25 Regione costiera dell’attuale repubblica socialista del Viet Nam (nella traduzione italiana: popolo del sud). 23 22 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA dimentichiamo la secolare suggestione caput Nili quaerere), inseguendo selvaggina esotica in territori già da tempo conosciuti (Uganda, Sudan, Kenya) e risalendo il corso del Nilo Bianco, addentrandosi nel Bahr-El Gazal, zona parzialmente inesplorata dell’allora Sudan Anglo-Egiziano, attualmente repubblica federale del Sudan. Nella spedizione in Uganda portò con sé Luca Comerio26; l’attenzione per i mezzi mediatici rimase una sua lungimirante prerogativa, fotografo dilettante egli stesso. I suoi viaggi furono sempre documentati da abbondante materiale iconografico, fino a culminare poi, come si vedrà, nella ricca ed eccellente testimonianza foto-cinematografica della sua spedizione in Dancalia. Allo scoppio della prima guerra mondiale Franchetti, arruolatosi volontario, venne destinato non in cavalleria (di leva era stato lanciere), ma fu cooptato nel nuovissimo reparto degli addetti alle automitragliatrici blindate; la sua esperienza di automobilista spericolato e il suo innegabile coraggio lo resero prezioso, tanto che fu segnalato per una medaglia d’argento al valore, ma volendo – lui caporale – rimanere nell’ombra, intimò di ritirare la proposta! In particolare si distinse in un’operazione a San Grado di Merna (sesta battaglia dell’Isonzo, fig. 1), quando infranse l’accerchiamento nemico, ponendo in salvo – a bordo dell’automitragliatrice – il suo tenente ferito Filiberto Comito e il suo generale comandante di brigata Riccardo Bonaini da Cignano. Per la conoscenza della lingua tedesca, a guerra finita, rimase ancora in servizio sino al 1919 a Innsbruck, dove si erano verificate tensioni, da tenere sotto controllo (ISACCHINI, 2007, p. 76). Congedato, splendido trentenne, era uno dei “partiti” o meglio il miglior “partito” d’Italia; tornato a Venezia, il 26 ottobre 1921 sposò Bianca Rocca, figlia del conte Leone Rocca e di Moceniga Lauretana dell’antica famiglia Mocenigo; i Rocca erano di origine ebraica, poi convertiti. Il nostro Raimondo, caratterialmente laico e lontano da questioni teologiche, si avvicinò, senza clamore, al cristianesimo e la grande croce che fu posta sulla sua tomba ad Assab (prima dello smantellamento e traslazione al cimitero italiano di Massaua) è dimostrazione della sostanziale adesione: naturalmente i suoi figli (tre femmine e un maschio)27, vennero battezzati secondo il rito cattolico. 26 Luca Fortunato Comerio (1878-1940) milanese, nel 1898 fotografò dall’alto delle barricate gli scontri e la repressione del generale Fiorenzo Bava Beccaris. Ottenne l’incarico di riprendere la crociera effettuata dal re Vittorio Emanuele III nel Mediterraneo sulla nave Trinacria (prima documentazione mediatica politica); divenne così il fotografo della Real Casa. Fondò, sulla scia del successo, la SAFFI (Società anonima fabbricazione films italiani), trasformata successivamente in Milano Films. Venne creato uno dei più grandi teatri di posa cinematografici (m 70x25) allora esistenti in Europa. Nel 1910 con la nuova Comerio Films realizzò il primo documentario sul Giro ciclistico d’Italia. In occasione della guerra di Libia diffuse, primo tra i documentaristi italiani, le immagini dal fronte. Scoppiata la prima guerra mondiale, fu l’unico civile ad essere autorizzato dal ministero della guerra ad effettuare riprese cinematografiche, veri e propri lungometraggi. 27 Lauretana (detta Simba che significa “leone” in swahili), Lorian (o fiore africano, o nome della palude keniota dove il padre - a caccia - seppe della sua nascita), Raimondo ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 23 Figura 1. Pietro Maravigna, Guerra e vittoria, Torino, UTET, 1927, p. 120 Gli anni del dopoguerra si rivelarono difficili anche per i Franchetti; l’Italia fu tra i paesi maggiormente colpiti dalla crisi economica, caratterizzata inoltre da lotte politiche, scontri con le forze sindacali organizzate, scioperi, occupazioni di fabbriche (estate 1920), fondazione del Partito comunista dopo il congresso socialista di Livorno (gennaio 1921); fermenti e sovversioni si verificarono anche nei loro estesi possedimenti terrieri. In aggiunta – nell’arco di breve tempo e in stretto ambito familiare – si verificarono strazianti lutti: il fratello minore Guido, che aveva partecipato al conflitto, colpito nel 1919 dalla terribile pandemia “spagnola”, si spense rapidamente e in solitudine mentre soggiornava in Belgio; non molto tempo prima, il 4 novembre 1917, aveva posto fine alla sua vita, non sopportando l’onta della disfatta di Caporetto, il barone Leopoldo Franchetti28, dopo molti anni di intensa attività politica in Alessandro (detto Nanuk, “orso bianco” in lingua inuit) e infine Afdera (dal nome del vulcano, 1.295 m slm, nella Dancalia meridionale a sud del Lago Giulietti, verosimilmente scalato dal Franchetti durante la sua spedizione). 28 Primo cugino di Raimondo senior, suo padre Isacco era fratello minore del già ricordato Abramo, anche lui nominato barone nel 1891 da Umberto I re d’Italia. Nato a Livorno (1847), dove i suoi (mercanti ebrei internazionali) si erano trasferiti da Tunisi, compì a Parigi studi classici, laureandosi poi in giurisprudenza a Pisa, avendo come compagno di studi Giorgio Sidney Sonnino, ebreo come lui e, nel corso della sua vita pubblica, anche consigliere della RSGI (1879- 24 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA favore delle classi meno abbienti, partecipe significativo al dibattito sulla questione meridionale, illustre consigliere della Reale Società geografica italiana (in avanti RSGI) nel quadriennio 1896-1900. Dobbiamo infine nuovamente ricordare il suicidio (1922) dello zio Giorgio Gioacchino, le cui ceneri giacciono nel portico della sua Ca’ d’Oro. Dopo appena un anno dalle nozze il nostro barone Raimondo riprese a viaggiare (Kenia, Uganda, Etiopia meridionale, Somalia), qualche volta anche con la giovane moglie, quando non trattenuta dai doveri della maternità, che iniziò così a condividere l’amore per il continente africano; risalirono insieme il Nilo e visitarono le rovine dell’antico Egitto, affascinati dalla scoperta (novembre 1922) della tomba di Tutankamon nelle Valle dei Re a Luxor. Nel quinquennio 1925-1930 la sua passione per i viaggi lo spinse a esplorare l’Etiopia meridionale e la Dancalia, compiendo in quest’ultima un’impresa da menzionare nella storia delle esplorazioni geografiche, sia per le difficoltà incontrate, sia per le osservazioni scientifiche compiute, anche se inferiori alle aspettative che contrassegnarono inizialmente la spedizione. La Dancalia è una vasta regione dell’Africa orientale di forma triangolare, tra Eritrea ed Etiopia. La parte centrale, straordinariamente interessante, è un territorio veramente “depresso”, cioè altimetricamente al di sotto del livello marino, nel quale vi sono ampi depositi di sale, che serviva anche da moneta di scambio, il cosiddetto sale-moneta; la depressione è in massima parte ricoperta da materiali vulcanici antichi e recenti, divisi in vari bacini: il più esteso, a nord, è il Piano del Sale (-116 m). Il clima è caldo e aridissimo; i torrenti, con origine dall’altopiano etiopico, si prosciugano presto. È uno dei deserti più inospitali del pianeta. Poche le oasi, alimentate da acque risorgive, con le immancabili palme da dattero (Phoenix dactylifera); l’agricoltura è possibile solo in alcune zone limitate della parte meridionale come l’Aussa, dove la possibilità d’irrigazione consente la coltura del cotone e del tabacco. Il nome nazionale degli abitanti, in arabo dankal o danakil (da cui l’italiano danachili o dancali), è ´Afar. Parlano una lingua del gruppo cuscitico, sottogruppo della famiglia linguistica camitica, e sono di religione musulmana. 1883). Nell’autunno del 1873 e del 1874 percorse - a cavallo - molte province interne del nostro meridione, per verificare di persona una realtà che era più conosciuta dai viaggiatori stranieri che dalla classe dirigente italiana. A lungo deputato, venne nominato senatore nel 1909. La nota dominante della sua attività parlamentare fu la continua e accorata difesa dei braccianti e dei contadini che, malgrado rappresentassero la maggioranza della popolazione attiva del tempo, erano completamente trascurati dai politici. Sposò Alice Hallgarten, di un’importante famiglia ebraica tedesco-americana, impegnata in attività filantropiche. Da ricordare la grande tenuta agricola, con la loro residenza (Villa Montesca) a Città di Castello, dove oltre alla lungimirante iniziativa di artigianato tradizionale: “Laboratorio della tela umbra”, venne creata una scuola elementare alla quale potevano accedere gratuitamente i figli degli agricoltori della zona fino alla sesta classe; Maria Montessori vi fu invitata a tenere i primi corsi con applicazione del suo innovativo metodo didattico. Per testamento lasciò il suo patrimonio a un istituto di beneficenza e le sue molte proprietà agricole ai contadini che vi lavoravano. ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 25 La sua esplorazione fu quasi interamente dovuta agli italiani: primo Giuseppe Sapeto29 nel 1851, e poi ancora negli anni seguenti, quando – per sua iniziativa – l’Italia occupò Assab. È del 1881 la sfortunata spedizione di Giuseppe Maria Giulietti che, con la scorta di dodici marinai della nave Fieramosca e il sottotenente di vascello Giuseppe Biglieri, attraversando il sultanato del Birù, venne assalita da alcune tribù dancale: furono tutti trucidati e i resti – come vedremo – rinvenuti dalla spedizione Franchetti nella zona di Egreri (Egrerè). Ricordiamo la breve ricognizione, in occasione del congresso coloniale di Asmara, compiuta nel 1905 da Giotto Dainelli (poi vice presidente, socio d’onore e medaglia d’oro RSGI) e Olinto Marinelli (medaglia d’argento RSGI), tra i più autorevoli docenti e protagonisti del pensiero geografico italiano, che raccolsero importanti informazioni sul fenomeno vulcanico di quella regione. Ma le esplorazioni più note furono quelle del professor Paolo Vinassa de Regny30 che nel 1920 percorse in Dancalia circa 2.000 km; dell’ingegnere Ludovico Maria Nesbitt31 che attraversò la Dancalia da sud a nord nel 1928 (SURDICH, 2007); infine la spedizione, negli anni 1928-1929, del barone Franchetti da Assab all’altopiano etiopico, con un itinerario del tutto nuovo (fig. 2), significativamente segnalato anche da Roberto Almagià (fig. 3). Figura 2. Carta geografica Spedizione Franchetti nella Dancalia etiopica (1928-1929) allegata al volume FRANCHETTI, 1930a (IGM, 1930) 29 Esploratore italiano (1811-1895), entrò molto giovane nell’ordine dei Lazzaristi (congregazione della Missione, fondata da San Vincenzo de’ Paoli a Parigi, prese nome dalla prioria di San Lazzaro, loro prima sede) e fu a lungo missionario in Africa. 30 Geologo e paleontologo (1871-1957), docente universitario, senatore del regno, socio vitalizio della RSGI, ebbe incarico nel 1920 dalla MIAFORIT (Società mineraria dell’Africa orientale italiana) di studiare sul campo la Dancalia; grande rilevanza scientifica ebbe la sua pubblicazione: Dancalia (Roma, Alfieri & Lacroix, 1924). 31 Ingegnere minerario (1891-1935), di padre inglese e madre italiana, lavorò in Sud Africa e dopo la prima guerra mondiale esplorò il bacino dell’Orinoco in Venezuela; nel 1928 fu in Dancalia che descrisse con i titoli: La Dancalia esplorata da Sud a Nord, in «Boll. Real. Soc. Geogr. Ital.», LXVI (1929), pp. 613-624; La Dancalia esplorata. Narrazione della prima e sola spedizione che abbia finora percorso la Dancalia nell’intera lunghezza. Dal 9° parallelo N al 14°50’ N – Tra il 40° meridiano E e il 41°30’ E, Firenze, Bemporand, 1930, pp. 469, 100 riproduzioni fotografiche, schizzi geografici e una carta geografica. 26 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA Figura 3. Roberto Almagià, Il contributo dell’Italia alla conoscenza dell’Africa Orientale, in «Le vie d’Italia (Numero speciale dedicato al nostro impero)», 1936, pp. 418-422, (p. 421) Il buon esito delle esplorazioni dipende sempre in gran parte dalla preparazione. Per esplorare la Dancalia etiopica erano evidentemente necessarie relazioni politico-diplomatiche: occorreva il consenso del governo di Addis Abeba e anche un’intesa con i capi dei territori che si dovevano attraversare, dove l’attività principale delle tribù locali, ormai considerata consuetudine tradizionale, era la razzia, in particolare esercitata dai Galla che dall’altopiano calavano come falchi sulle prede, e dai Uoggeràt. Di gran valore, degna quindi di essere riportata, la pagina sui razziatori, del già ricordato Paolo Vinassa de Regny: «Gli indigeni dancali non sono affatto dei delinquenti per brutale malvagità. Sono dei miserabili affamati, razziati e a loro volta razziatori. Nella loro mentalità semplicistica l’arrivo di una carovana ben fornita è un dono che la provvidenza manda, e che sarebbe peccato lasciarsi sfuggire. Fanno quindi il calcolo del pericolo che vi è nell’attaccare una ricca carovana e dell’utile che se ne può trarre. Poiché i bianchi hanno munizioni in quantità, è certo che ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 27 qualcuno degli assalitori ci lascerà la pelle: si tratta ora di vedere se, conquistata la carovana, la pelle è ben pagata. Per questo i dancali assalgono a tradimento: nelle località di passaggio obbligato, come i pochi luoghi d’acqua che l’indigeno conosce benissimo. Così si spiegano i massacri delle carovane che non poterono difendersi, e le scaramucce spesso sanguinose delle carovane che sono riuscite a sfuggire, con perdite più o meno gravi. Se si vuole scampare ai pericoli più gravi, la psicologia di questa gente va conosciuta: ed in questo era maestro Ugo Ferrandi32, alla cui scuola mi vanto di essermi formato. Si tratta di due metodi che potremo chiamare: il metodo Bottego (o se si vuole Stanley), contro il metodo Ferrandi (o se si vuole Livingstone). L’uno si basa su carovane potenti, armate, che sappiano imporsi e passare contro la volontà degli indigeni. L’altro che rinuncia alla forza e ricorre alla persuasione, alle cure mediche, e più che altro non sveglia la cupidigia di quei miserabili indigeni. I due metodi possono essere ugualmente buoni. Per noi andò sempre bene il secondo» (VINASSA DE REGNY, 1936, p. 693). Nel 1928 le relazioni fra l’Italia e il negus Tafari Maconnen33 erano buone, tuttavia la Legazione italiana, in mesi di trattative, non era riuscita a ottenere per Raimondo Franchetti il desiderato permesso di esplorazione e di ricerche minerarie nella Dancalia. Solo con l’intervento diretto del Franchetti che, partito per Addis Abeba con la giovane moglie, incontrò più volte il negus nel maggio del 1928, si raggiunse l’obiettivo, ma con l’intesa che il governo etiopico sarebbe stato esonerato da qualsiasi responsabilità circa i pericoli a cui poteva andare incontro la spedizione. In compenso il barone era autorizzato a farsi scortare da armati da lui stesso assoldati. Lunga e difficile fu la preparazione e, finalmente, il 7 ottobre 1928 la gran parte dei partecipanti alla spedizione s’imbarcò a Napoli per Gibuti e poi, via terra, raggiunse Addis Abeba dove la Legazione italiana consegnò il permesso scritto del governo etiopico per il viaggio; ma mentre, con i precedenti accordi, il benestare aveva durata cinque anni e valeva per la ricerca di tutti i minerali, ora l’autorizzazione era solo per tre anni e riguardava unicamente la ricerca del petrolio. Gaarre, località ricca di acqua, non lontana da Beilul (a nord di Assab), venne scelta (novembre 1928) come base di partenza e vi si concentrarono tutti gli equipaggiamenti e approvvigionamenti preordinati con grande abbondanza da parte dell’organizzatore, comandante e finanziatore Raimondo Franchetti, che – da quel gran signore che era – dedicò particolare cura alla scelta del materiale 32 Capitano marittimo (1852-1928), divenne africanista appassionato, esplorò la bassa valle del Giuba e si spinse sino a Berbera (1892). Per l’esperienza entrò in servizio della Compagnia Filonardi, diventandone il rappresentante a Brava. Aggregato alla seconda spedizione Bottego, ebbe l’incarico di tenera la stazione di Lugh (importante centro commerciale tra l’Oltregiuba e l’Etiopia meridionale), detta poi Lugh Ferrandi (1932), dove rimase per due anni compiendo abile e coraggiosa opera organizzativa. Durante i suoi viaggi elaborò preziosi appunti sugli usi e costumi degli indigeni, sul paesaggio e sulle condizioni sociali; fu insignito della medaglia d’argento della RSGI. 33 Dal novembre 1930 incoronato imperatore con il nome di Hailé Selassié. 28 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA da campo per consentire ai componenti europei le maggiori comodità possibili; ne abbiamo significativa testimonianza: «Egli [il testo è composto in terza persona come i dispacci del De bello gallico, con cui Giulio Cesare teneva al corrente il senato delle sue imprese militari] sapeva inoltre benissimo, per la lunga esperienza fattane in precedenti viaggi, che il clima eccezionale, le privazioni di ogni genere, la fatica, e la continua convivenza di pochi, creano spesso stati d’animo ed una irritabilità che non sogliono verificarsi sotto altri climi e in altri ambienti; fenomeni questi, che possono solamente eliminarsi o almeno attenuarsi, dando a ciascuno quel tanto di conforto che può in certo modo compensare la mancanza di tante altre cose» (FRANCHETTI, 1930a, p. 44). La missione era così costituita: «Barone Raimondo Franchetti, capo della spedizione Comm. Alberto Pollera, secondo della spedizione Prof. ing. Silvio Gilardi, inviato dalla Società Montecatini Ing. Candido Maglione, " " " Ettore Mannoni, oper. spec., " " " Dott. Amedeo Moscatelli, medico primario dell’ospedale di Treviso Cap. Piero Veratti, geodeta topografo dell’Istituto geografico militare (IGM) Marchese Saverio Patrizi, dottore in scienze naturali Conte Riccardo Rocca, cognato di Franchetti Geom. Erminio De Filippi, capo della carovana Francesco Badolato, capo radiotelegrafista della reale marina Mario Craveri, operatore dell’Istituto nazionale LUCE 34 Personale indigeno: Sciumbasci (marescialli che dovevano conoscere la lingua italiana) n. 2 Interpreti e scrivani “ 3 Balucbasci (sergenti) “ 5 Muntaz (caporali) “ 5 Trombettieri “ 1 Chauffeur e aiutante “ 2 Infermieri “ 1 Radiotelegrafista “ 1 Gregari (compresi cuochi, boy, ecc.) “ 70 _____ Totale n. 90 tutti armati di fucile» (FRANCHETTI, 1930a, pp. 68-69) La carovana comprendeva inoltre due guide dancale, dodici cammellieri dancali e vari indigeni per servizio di corriere; disponeva inoltre, come 34 Acronimo coniato da Benito Mussolini nel 1924 quando decise di ribattezzare con la denominazione L’Unione cinematografica educativa il Sindacato istruzione cinematografica, sorto per iniziativa del giornalista Luciano De Feo, che aveva presagito la funzione educativa del cinema. ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 29 armamento supplementare, di una mitragliatrice, alcune carabine a ripetizione per gli europei e abbondanti munizioni. A Gaarre la spedizione fu costretta a fermarsi più di quanto era stato prestabilito: il sultano del Biru aveva fatto subito conoscere la sua opposizione all’avanzata di una così numerosa carovana nel suo territorio, né più incoraggiante si mostrò il sultano dell’Aussa, in aggiunta dal governo eritreo giunsero notizie che agguerrite bande armate di razziatori scorrazzavano per la Dancalia. Trascorse il Natale senza che le condizioni avverse diventassero meno preoccupanti e poco dopo Saverio Patrizi e Francesco Badolato, per ragioni varie, dovettero prendere la strada del ritorno, mentre tutti gli altri rimasero acquartierati in attesa di tempi migliori. Finalmente il 3 marzo la carovana si mise in marcia con direzione occidente, pronta ad affrontare “l’inferno dancalo”. Passavano da una località di pozzi a un’altra, come tappe obbligate, anche perché generalmente dove era un po’ d’acqua, era anche un po’ di vegetazione necessaria per l’alimentazione dei numerosi animali al seguito. Correvano sempre voci sulla vicinanza di razziatori e una banda era infatti giunta ai pozzi di Afambò, ma era stata respinta da un plotone di ascari regolari in servizio di frontiera. Da Afambò pochi furono i pozzi lungo l’itinerario e il 19 marzo si raggiunsero quelli di Ad Ela, non lontani dal grande lago Afrera che verrà ribattezzato col nome di Giulietti, con la sua frangia salina e una fascia esterna di terreno fangoso tutto imbevuto d’acqua e qua e là qualche macchia di tamarischi (piante tipiche dei terreni aridi e delle steppe salate delle regioni desertiche) e famiglie di pastori dancali con le loro greggi. Presso il lago ci fu una sosta abbastanza lunga; fu navigato e furono scalati alcuni vulcani vicini, compreso il maggiore: l’Afdera; il Franchetti e l’ingegnere Maglione compirono una rapida escursione in direzione sud, quasi sempre su pericoloso terreno lavico tremendamente spaccato. Il 6 aprile tutta la carovana si pose nuovamente in marcia, con direzione ancora verso occidente, percorrendo grandi distese o di gesso o di sabbie, intramezzate da cupe colate di lava. Così la spedizione giunse alla tanto agognata acqua corrente: il fiume Erevtì, ma saputo che lì non c’era quel deposito di viveri, sul quale – secondo il piano della spedizione – si doveva fare affidamento, trovandosi il gruppo a corto di approvvigionamenti, il barone prese la decisione che il grosso della spedizione, al comando di Pollera, procedesse direttamente alla volta di Macallè, sull’altopiano tigrino, senza frapporre altro tempo in razionamenti alimentari. Il 14 aprile il comandante in seconda Pollera e buona parte del gruppo si mise in cammino, non senza più serie preoccupazioni: una sua guida dancala con altri quattro nativi erano stati uccisi dai razziatori e veniva confermato che bande di questi infestavano ancora la regione. La carovana risalì quindi l’Erevtì, non seguendone sempre il corso; poi, per una rapida salita, giunse alle pendici dell’altopiano tigrino, a un valico di circa 1.600 m, oltre il quale una discesa conduceva alla piana di Dargahà, dove purtroppo non solo trovò tracce di recenti devastazioni e razzie, ma una notte subì un feroce attacco da parte di un 30 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA agguerrito gruppo di sbandati Uoggeràt, molti dei quali rimasero sul terreno. Oltrepassata la piana, fu ripresa la ripida salita e finalmente si guadagnò il ciglio del grande acrocoro etiopico, da dove con facile e tranquilla marcia si raggiunse, verso la fine di aprile, l’importante e popoloso centro di Macallè. Così per il grosso della carovana la spedizione poteva considerarsi terminata, e i suoi partecipanti si diressero per vie ben note al porto di Massaua. Non abbiamo di certo abbandonato Raimondo Franchetti, che la sera del 15 aprile era partito con una carovana leggera: 30 ascari armati, 6 cammelli, una decina di indigeni (cammellieri e servitori). Non risalì il fiume come aveva fatto il gruppo Pollera, ma si diresse verso sud-ovest, guadagnando di traverso le pendici inferiori dell’altopiano e salendo sino a 1.200 m, ciglio esterno del grande ripiano degli Azebò Galla, nel quale più a settentrione il grosso del gruppo aveva subito e respinto l’attacco notturno di Dargahà. Venne raggiunta Corbetà, località importante e soprattutto grande mercato, proprio alla base dell’ultimo balzo prima dell’altopiano; fu una salita molto faticosa, anche perché il Franchetti e il suo gruppo subì un inaspettato attacco di razziatori, fortunatamente senza conseguenze; il 24 aprile raggiunta Mai Ceu, si rifornì di approvvigionamenti e iniziò a trattare con numerosi capi tribù, per assicurasi il ritorno attraverso la Dancalia. Le trattative durarono giorni e giorni, tanto da permettere al barone di farsi raggiungere dall’ingegnere Maglione e dal fotografo Craveri, già arrivati a Macallè. Poi, il 9 maggio, ripassando per Corbetà, dove ricevette l’ordine da parte dell’allora governatore dell’Eritrea Corrado Zoli35 di rientrare in colonia senza “divagazioni”, non curandosi affatto del comando iniziò il ritorno, ma non ripetè l’itinerario già noto che lo avrebbe ricondotto al fiume Erevtì, seguì nella discesa una valle con direzione sud-ovest con alcuni difficili passaggi, e anche qualche incontro, fortunatamente non ostile, con bande di razziatori che rientravano dalle infuocate depressioni dancale. Poi quando la valle raggiunge i 400 metri di elevazione, si sfocia nella grande piana del Teru, dove l’acqua era frequente ed abbondante per le piogge già iniziate. Da lì la marcia continuò verso oriente, senza difficoltà, salvo le condizioni di salute di Candido Maglione, che dovette essere trasportato sopra una lettiga di fortuna. Erano ormai nuovamente nell’“inferno dancalo”: terrazze di basalto, lave espanse, sorgenti calde, alcune quasi bollenti, e il classico paesaggio vulcanico contrassegnato dai coni. Il 22 maggio la spedizione giunse nella località Egreri, dove una guida locale, in gran segreto, aveva confidato essere la tomba degli italiani uccisi molti anni prima: Giulietti e i suoi compagni. Ma quella guida, il giorno successivo fu uccisa da dancali timorosi di nostre rappresaglie. La spedizione rese onore alla grande tomba e raccolse pietosamente i pochi resti che il clima estremo non aveva ancora dissolto per riportarli in patria (FRANCHETTI, 1929). 35 Legionario fiumano, giornalista, diplomatico, ministro delle Colonie e per un decennio - 1933-1944 - presidente della RSGI. ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 31 Alcuni giorni di sosta ad Egreri, poi di nuovo in cammino verso nordest. Attraversarono, in senso inverso, l’immensa pianura della Dancalia interna settentrionale, qui però non depressa sotto il livello del mare. Ancora poche tappe e il 3 giugno erano di nuovo a Gaarre: l’indomani – sciolta la carovana – si rientrava per l’imbarco ad Assab. L’esplorazione di una vasta zona della semisconosciuta Africa orientale era compiuta, grazie alla forte volontà e al largo concorso finanziario del barone Franchetti che, ritornato in patria, iniziò subito a sostenere e a divulgare la sua impresa, con conferenze, resoconti del viaggio, proiezioni del film girato da Mario Craveri36. La pellicola di Craveri fu girata in muto, non soltanto perché l’industria cinematografica italiana iniziò ad applicare il sonoro solo dal 1930, ma anche perché allora la registrazione dei suoni richiedeva una quantità tale di attrezzature e materiali, che avrebbe costituito un impedimento alla spedizione stessa (TAILLIBERT, 2007, p. 33); non a caso il latino impedimenta si traduce con bagagli! Raimondo Franchetti fu il primo ad avere con sé un vero operatore cinematografico, incaricato di documentare l’avventura per conto dell’Istituto nazionale LUCE; da ricordare comunque che già quando si recò in Uganda, antecedentemente alla prima guerra mondiale, aveva preso al seguito Luca Comerio (evocato nella nota 12), pioniere del documentario italiano. Il film di Craveri fu il vero punto di forza e di richiamo di tutta l’impresa coloniale del Franchetti. Grazie alla significativa documentazione rimasta sulla vita della carovana e le peripezie del viaggio, ancora in tempi recenti si è potuto effettuare un recupero e un riutilizzo di tale materiale, per vari cortometraggi, da parte di registi del Novecento37. Il 20 novembre venne organizzata al Teatro Augusteo38 di Roma, la “prima” di quelle che oggi chiamiamo presentazioni (FRANCHETTI, 1930b): in sala molte autorità e numerosi soci della RSGI, venne invitato addirittura il re che declinò l’invito attraverso il suo aiutante di campo, come anche il principe Umberto che doveva per quel giorno rientrare a Torino39. 36 Mario Emilio Craveri (1902-1990) iniziò giovanissimo come aiuto operatore a Torino presso gli stabilimenti cinematografici Gloria Film; durante il servizio militare in Libia documentò con la cinepresa gli avvenimenti bellici. Successivamente è a Roma documentarista dell’Istituto Luce, spesso in viaggio all’estero: Dancalia con Franchetti, e ancora Africa, Spagna, Cina, per documentare le varie guerre in atto. Divenne celebre direttore della fotografia con il film Camicia nera del 1933, regista Gioacchino Forzano, e poi a seguire collaboratore tra gli altri, più volte, di Alessandro Blasetti, Luigi Zampa, Giuseppe Amato, Luciano Emmer, Alberto Lattuada; nel 1961 sua la regia, con Enrico Gras e Indro Montanelli, dell’indimenticabile I sogni muoiono all’alba, interpreti principali: Lea Massari, Ivo Garrani e Aroldo Tieri. 37 Ettore della Giovanna, La spedizione Franchetti in Dancalia, RAI, 1963; Paolo Bonacini, Sulle orme del barone Franchetti, Telereggio, 1992; Giuliano Montalto, Le stagioni dell’aquila, Istituto Luce, 1997; Oscar e Carla Perrotti, Dancalia dove il tempo si è fermato, 1998; Claudio Costa, L’ultimo esploratore. Vita e avventure del barone Franchetti, Ronin Film Production, 2013. 38 Mausoleo eretto da Cesare Augusto per sé e per la propria famiglia nel 28 a.C. in Campo Marzio; trasformato dal 1908 al 1936 in sala concerti dell’Accademia di Santa Cecilia e sala conferenze anche della RSGI. 39 Archivio storico della Società geografica italiana (in avanti ASGI), busta 76, 1929, fasc. 5 VII B, Conferenza R. Franchetti. 32 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA Nella seduta del sodalizio del 30 marzo 193040, il generale Nicola Vacchelli (direttore dell’IGM e commissario poi presidente della RSGI 1928-1932) nominò soci d’onore tre amici, tutti e tre straordinariamente innamorati d’Africa: Raimondo Franchetti, Amedeo di Savoia Aosta, Aimone di Savoia Aosta. Solo un accenno alle aspre polemiche che si innescarono, prima e dopo la pubblicazione (agosto 1930) di Nella Dancalia etiopica a nome Raimondo Franchetti, sia con il professor Vinassa de Regny, sia con l’ingegnere Nesbitt, intorno alla primogenitura nell’esplorazione della Dancalia. L’accusa più o meno velata era quella che la spedizione avesse avuto poco di scientifico, come anche il volume di cui sopra, in cui nella Prefazione (p. 10) si legge: «Mi riservo di far seguire a questo volume, eminentemente narrativo, una pubblicazione in cui saranno raccolti i principali risultati scientifici della spedizione, tuttora in corso di elaborazione». Ma non vi fu alcun seguito al volume, solo una seconda edizione nel settembre 1935, un mese dopo il tragico incidente; e fu una palese strumentalizzazione della generale emozione suscitata. Al ritorno della spedizione la RSGI incaricò il Museo civico di storia naturale “Giacomo Doria” di Genova di studiare la maggior parte del materiale scientifico raccolto. Furono coinvolti numerosi studiosi e le loro monografie trovarono posto negli Annali: Oscar De Beaux per i mammiferi (DE BEAUX, 1931), Alfredo Borelli per gli scorpioni (BORELLI, 1931), Alessandro Ghigi per gli uccelli (GHIGI, 1931), Edoardo Gridelli per i coleotteri41 (GRIDELLI, 1931), Delfa Guiglia per gli imenotteri aculeati (GUIGLIA, 1931), Teresita Maccagno per i crostacei42 (MACCAGNO, 1936), Carlo Menozzi per gli imenotteri formicidi43 (MENOZZI, 1931), Longino Navas per gli insetti (NAVAS, 1931), Eugene Segny per i ditteri44 (SEGNY, 1931), Decio Vinciguerra, consigliere della RSGI (1892-1923), per i rettili45 (VINCIGUERRA, 1931); sono state ricordate nelle relative note le specie nuove che nella nomenclatura presentano il cognome Franchetti al genitivo. In definitiva si trattò di ben poca cosa, quasi un fatto dovuto ascrivibile più al sodalizio dei geografi che al Franchetti. Del tutto negativi furono inoltre i risultati inerenti alle ricerche minerarie, tra l’altro l’ingegere Maglione si ammalò sfortunatamente proprio quando si trovavano nella zona di maggior interesse per la presunta presenza di risorse del sottosuolo, quindi nulla di fatto su tutti i fronti, del petrolio poi neanche l’ombra; del resto già dal 1924 il professor Vinassa, geologo di chiara fama, aveva escluso la possibilità di estrarre minerali dai quarzi della Dancalia e aveva espresso anche forti dubbi sulla presenza di petrolio. «Boll. Real. Soc. Geogr. Ital.», LXVII (1930), Atti della Società, p. 350. Ammonoides Franchettii (nova spec.). 42 Macrophthalmus Franchettii (nova spec.). 43 Cataglyphis albicans Franchettii (nova spec.). 44 Sarcophaga Franchettii (nova spec.). 45 Tilapia Franchettii (nova spec.). 40 41 ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 33 Dal punto di vista prettamente geografico è merito della spedizione il rilevamento integrale di alcune zone, tra cui il lago Afrera poi Giulietti, ma niente di più. In aggiunta l’operato del capitano Veratti fu giudicato superficiale, a causa di rilevamenti effettuati con strumenti non appropriati; la qual cosa appare incredibile per un’impresa di così grande e dispendiosa organizzazione, per giunta con la partecipazione dell’IGM! Il nostro barone non poteva quindi competere, sul piano scientifico, con gli altri due suoi predecessori in Dancalia; non solo, ma quasi subito affiorarono dubbi sulla paternità del volume, dove in verità già si legge nella Prefazione (p. 10) «e il comm. Alberto Pollera: quest’ultimo, efficace collaboratore nella compilazione di queste pagine»; ma Pollera fu più che un collaboratore, fu il vero compilatore del resoconto della spedizione, di fatto un diario degli avvenimenti. E Franchetti fu sicuramente ben lieto di delegare al suo comandante in seconda le incombenze relative alla stesura del volume, vuoi un po’ – come direbbe don Lisander – per quella benedetta disgrazia [per i suoi insuccessi scolastici] di non saper tener la penna in mano, vuoi per la consolidata capacità del Pollera (ex ufficiale poi funzionario coloniale preposto all’Ufficio studi e propaganda della Colonia Eritrea), sul quale è significativo riportare quanto scrive Angelo Del Boca: «Alberto Pollera…, è forse lo studioso che ha raccolto con criteri scientifici più informazioni sull’Eritrea e l’Etiopia, grazie al fatto di aver stretto legami famigliari con due donne eritree [che lo resero padre di sei figli]. Questi legami famigliari aggiunsero una dimensione di partecipazione personale a usi e costumi che Pollera consegnò a un importante corpus etnografico, oltre che ai rapporti e resoconti ufficiali che come amministratore era tenuto a redigere» (DEL BOCA, 2002, p. 21). Copiosa fu la sua produzione di saggi di cui si riportano in bibliografia alcuni titoli tra i più significativi46. Cosa rimane da evidenziare? Lo scopo della spedizione non fu quindi propriamente scientifico, fu essenzialmente politico. La presenza di Mario Craveri ne è la riprova; non fu casuale che in una spedizione attraverso il terribile deserto dancalo ci si preoccupasse di riportare in patria una testimonianza di così grande impatto mediatico, come fu – lo abbiamo già sottolineato – l’ottima pellicola girata dallo stesso Craveri. Franchetti era entrato in relazione con molti capi tribù, alcuni dei quali avevano di lui grande stima e anche timore, stante la sua ricchezza che certo non nascondeva e che indubbiamente – come sempre – rivelava potere. Per l’occupazione italiana in molti territori abissini, la sua opera sarebbe stata in futuro molto preziosa: questo si sapeva non solo a Roma, ma anche altrove. I rapporti con il giovane imperatore Hailé Selassié erano sufficientemente amichevoli, ma il nostro barone stabilì, piuttosto nascostamente, rapporti anche con alcuni fra i più litigiosi feudatari etiopi, da sempre ostili al potere centrale. 46 Sul personaggio Pollera, socio corrispondente della RSGI, si segnala: SÒRGONI (2001). 34 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA La spedizione fu accolta trionfalmente dal regime fascista che vedeva nel barone un modello, come si direbbe oggi “da esportare”, anche se non volle mai tesserarsi al partito. Da allora Franchetti, animato da altissimo senso di italianità, offrì senza contropartita le sue attività allo stato italiano. Nei primi mesi del 1931 presentò un progetto al Ministero degli Esteri veramente ardito (rimase nel cassetto), che ci fa riflettere sull’uomo impavido Raimondo Franchetti, non certo tra le “anime belle” di fine Ottocento-inizio Novecento che percorsero il continente da cooperanti ante litteram pro-Africa, ma “corsaro e filibustiere salgariano” (ISACCHINI, 2005, p. 239), che così articolò la proposta: «Organizzare un gruppo di gentiluomini volontari (possibilmente ex ufficiali), conoscitori di diverse lingue, forniti del proprio di mezzi abbastanza larghi, i quali siano disposti a percorrere i paesi etiopici, apparentemente per scopi scientifici, commerciali o sportivi, in realtà per assolvere delicate missioni di indole politica, viaggiando a proprio rischio e pericolo, senza contare, in caso di complicazioni, sulla protezione del Governo Italiano, che potrebbe anche richiamarli, sconfessarli e smentirli. Questo gruppo di gentiluomini intelligenti e coraggiosi, pronti a operare disinteressatamente per uno scopo altamente patriottico e a sacrificare, occorrendo, la propria persona, senza sperare premi, efficaci difese o palesi riconoscimenti da parte dell’Autorità del proprio paese, potrebbe far capo alla Regia Società Geografica la quale potrebbe prendere sotto i propri auspici, favorire o addirittura organizzare – quando disponesse dei mezzi necessari – le spedizioni, così da conferire ad esse, nel modo più naturale, carattere di missioni scientifiche o scientifico-sportive. Mentre gli esploratori o viaggiatori di cui si tratta manterrebbero regolari rapporti con la Regia Società Geografica per tutto quanto concerne lo scopo dichiarato della spedizione, dipenderebbero invece direttamente dai Governatori dell’Eritrea, o della Somalia, o di qualunque ufficio politico che codesto Ministero designasse, agli effetti della missione segreta da assolvere» 47. Per una chiave di lettura storica di questo piano politically incorrect ci viene in aiuto Claudio Cerreti quando scrive: «Quello che in Italia il governo non poteva fare (puntare alle colonie per pura politica di potenza) lo si fa fuori del governo: le stesse persone (i ministri, i parlamentari) che partecipano alle decisioni politiche, trovano nell’associazione privata il luogo extraistituzionale in cui si possono raggiungere buoni accordi anche tra appartenenti a schieramenti diversi. La “sede extraistituzionale Società Geografica” funziona in maniera molto simile alla “sede extraistituzionale massoneria” nello stesso periodo» (CERRETI, 2007, p. 30). Nel 1932 venne affidata al Franchetti la missione che prevedeva di dar vita in Etiopia a un ente in grado di avviare un programma di penetrazione e 47 ASGI, busta 124, c. 39, 4 marzo 1931; Archivio storico del Ministero degli Affari esteri, Etiopia, b. 5, f. 10, pos. 84. ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 35 collaborazione economica, ma con l’obiettivo reale di ricollocare sul trono etiope Ligg Jasu (prescelto nipote del leggendario Menelik), che era stato deposto dai feudatari con l’appoggio del clero copto, a lui ostile in quanto di origine musulmana; tra questi feudatari si era imposto Tafari Makonnen che, dopo la cattura di Ligg Jasu, aveva affiancato come reggente l’imperatrice Zaoditu, terzogenita di Menelik (che non aveva avuto figli maschi). Alla morte di Zaoditu, il reggente si proclamò imperatore col nome di Hailè Selassiè. La congiura, preparata da Hailù, potente ras del Goggiam, amico da tempo del nostro barone, fallì e si concluse con l’arresto e la condanna a morte, commutata poi in detenzione a vita e nella confisca dei beni dei cospiratori. Franchetti compì negli anni successivi altre missioni più o meno ufficiali in quei territori dell’Africa orientale, sempre con il lodevole intento nazionalista di far grande l’Italia. Al termine di questo paper merita trascrivere qui la dedica ai suoi tre figli nel volume sulla Dancalia, il cui contenuto suscita viva e sincera commozione: «Figliuoli, a voi dedico questo libro: oggi siete piccoli, eppure ogni qual volta ritorno dai miei pellegrinaggi mi chiedete che vi parli dell’Africa, e volete sapere, sapere tante cose. Aspettate, piccoli miei; quando potrete leggere questo volume, comprenderete perché vostro padre al cader delle foglie autunnali sentiva la necessità di partire e dirigersi verso il sud. Vorrei che di questo mio male, che mi perseguita da circa quattordici anni, foste anche voi un po’ intaccati. Vi ho chiamato con tre [Afdera nascerà nel 1931, dopo la pubblicazione dell’opera] nomi di quei paesi: Simba, Lorian, Nanucki; ognuno di questi nomi ha un significato. Viaggiate, state più che potete vicino alla natura, al contatto del sole e della luce; il vostro carattere, i vostri pensieri risentiranno i benefici di queste tre magnifiche creazioni di Dio, perché purtroppo un giorno, e ve lo giuro il più tardi possibile, dovrete anche voi per necessità di cose frequentare quell’esistenza convenzionale a base di arrivismi mondani, dove non troverete che luci artificiose, buone per abbagliare i deboli. Ma allora voi sarete temprati, perché la vita del sud vi avrà insegnato a distinguere ciò ch’è vero da ciò ch’è menzogna. Vostro Padre» (FRANCHETTI, 1930a, p. 7) Non lo avrei mai immaginato da un uomo anticonvenzionale e pragmatico, così magistralmente ritratto da Corrado Zoli nella Prefazione alla II edizione (settembre 1935) del citato volume: «Aveva negli occhi chiari e nello sguardo dritto, nel viso aperto e nei tratti marcati, nelle parole brevi ed a scatti, nella vigorosa stretta di mano, nel portamento energico, nei movimenti bruschi, nel passo lungo ed elastico, tutte le caratteristiche dell’uomo d’azione» (ZOLI, 1935, p. 6). Per il commiato, non proprio tradizionale, mi piace coinvolgere la “settima arte” attraverso questa frase recitata in un premiato film dello scorso 36 ♦ Geostorie, XXV (2017), n. 1 ORAZIO LA GRECA anno : “le emozioni sono tutto quello che abbiamo”48. Mi son fatto l’idea che anche Raimondo Franchetti, con i suoi vibranti trascorsi, l’avrebbe – per empatia – condivisa. 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RAIMONDO FRANCHETTI: VIAGGIATORE, ESPLORATORE, NAZIONALISTA INDIPENDENTE – Il barone Raimondo Franchetti (1889-1935), nato in una delle famiglie ebree più facoltose d’Europa, ha un carattere difficile, ribelle, inconcludente negli studi, ma - animato dal fascino dei romanzi di Emilio Salgari - è attratto dal senso dell’avventura, dell’esotismo, dalla caccia grossa e dalla passione per i viaggi. Nel 1905 muore il nonno (Raimondo senior) che aveva messo insieme un vero impero economico. Può così disporre - molto giovane - della cospicua eredità e si prenderà la libertà di intraprendere i viaggi che sognava. Allo scoppio della Grande Guerra guida le prime automitragliatrici blindate, distinguendosi in eroiche azioni sull’Isonzo. Poi di nuovo a viaggiare, anche con la giovane moglie: Egitto, Kenia, Uganda, Somalia; tra il 1925 e il 1930 la sua passione per l’Africa lo spinge ad esplorare la Dancalia. É questa l’impresa che lo fa ascrivere nella storia delle nostre esplorazioni geografiche, sia per le difficoltà incontrate, sia per i risultati conseguiti, anche se inferiori alle aspettative; in particolare fu totalmente infruttuosa la ricerca di giacimenti petroliferi (tre qualificati tecnici della società Montecatini erano tra i partecipanti). La spedizione (12 europei e circa cento indigeni in armi) da lui stesso organizzata e finanziata, si articolò con un itinerario (da Assab all’altopiano etiopico e ritorno) del tutto nuovo rispetto a quello del prof. Paolo Vinassa de Regny (1920) e dell’ing. Ludovico Maria Nesbitt (1928). Da menzionare il rilevamento integrale di alcune aree, come quella del lago Afrera. Molto significativa la documentazione cinematografica realizzata da Mario Craveri, anche lui nel gruppo, come operatore dell’Istituto LUCE. Aspre le polemiche suscitate dalla pubblicazione del resoconto dell’impresa; l’accusa più o meno velata - da parte di Vinassa de Regny e di Nesbitt - era sul suo contenuto poco scientifico. Venne invece accolta trionfalmente dal regime fascista che, negli anni a venire, coinvolgerà Franchetti per operazioni e missioni, più o meno ufficiali, in quei territori dell’Africa orientale. Il 7 agosto 1935 l’aereo per Asmara su cui viaggiava con il gerarca Luigi Razza, ministro in carica dei lavori pubblici, precipitò misteriosamente a pochi chilometri dalla capitale egiziana, dove aveva fatto tappa notturna; molte le congetture (sabotaggio inglese; eliminazione di un’autorità prestigiosa dissidente alla politica del duce), ma nulla di ufficiale è stato mai ricostruito. RAIMONDO FRANCHETTI: TRAVELLER, EXPLORER, INDEPENDENT NATIONALIST – Baron Raimondo Franchetti (1889-1935) was born in one of the most wealthy Jewish European families. His nature was difficult and stubborn; he was rather inconclusive in his studies. However, charmed by Emilio Salgari’s novels, he was attracted by the sense of adventure, of exoticism, big game hunting and travelling. In 1905 his grandfather (Raimondo sr.) died; he had amassed a true financial empire. Raimondo jr. , as a very young man, could therefore use the consistent funds left by his grandfather. He could then afford to undertake the travels he had always dreamed. At the outbreak of World War I, he was a driver on early armoured vehicles, acting heroically at the Isonzo. He then went back to travelling, also with his young wife: Egypt, Kenia, Uganda, Somalia. Between 1925 and 1930 his passion for Africa brings ORAZIO LA GRECA Geostorie, XXV (2017), n. 1 ♦ 39 him to explore Dancalia. This exploit earns him a place in the history of explorations, both for the difficulties he overcame, and for the scientific observations he conducted, even though they proved inferior to expectations. In particular, the search for oil fields yielded no result, although three experts from the Montecatini company were in the group. The expedition was fully financed and organized by Franchetti. It included 12 Europeans and about 100 armed locals; the party followed a route which was completely different from those followed by Prof. Vinassa de Regny (1920) and by Eng. Ludovico Maria Nesbitt (1928). As a remarkable outcome of the expedition, it is worth mentioning the complete survey of some areas, for instance that of Lake Afrera. The filmed documentation of the journey, shot by expedition member and Istituto LUCE operator Mario Craveri, is also relevant. In the altermath of the journey, the publication of Franchetti’s report stirred a harsh debate. Criticism came from Vinassa de Regny and Nesbitt; both claimed that the expedition had poor scientific value. It was triumphantly welcome, however, by the Fascist regime, which later relied on Franchetti for other, more or less official, operations and missions in Eastern Africa. On August 7 th, 1935, the aircraft carrying Franchetti and Luigi Razza – then Italian Minister of Public Works – crashed for mysterious reasons in the vicinity of Cairo after a night-time stop over. Several speculations were made, which included sabotage by the British or a plot to eliminate a notable figure which was not aligned with Mussolini’s policy. No official reconstruction, however, was ever made. PAROLE CHIAVE: Raimondo Franchetti; Dancalia; Storia delle esplorazioni. KEYWORDS: Raimondo Franchetti; Dancalia; History of exèplorations.