Vittorio Emanuele Parsi: «Servono più investimenti in sicurezza, ma non siamo alla Terza guerra mondiale» - Messaggero Veneto
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Vittorio Emanuele Parsi: «Servono più investimenti in sicurezza, ma non siamo alla Terza guerra mondiale»

Il professore di Relazioni internazionali alla Cattolica spiega i conflitti che destabilizzano gli scenari. «Le norme che andavano bene quando il mondo era dominato dall’illusione della pace vanno cambiate»

Giacomina Pellizzari
2 minuti di lettura

Palestinesi a Gaza distrutta dalle forze israeliane. Nella striscia la tensione resta molto alta

 

I conflitti in Ucraina e in Medio Oriente stanno destabilizzando il mondo anche se il rischio maggiore per l’Italia e l’Europa è rappresentato dal fronte russo-ucraino.

Servono maggiori investimenti in sicurezza senza usare la metafora della Terza guerra mondiale. Il professor Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionale all’università Cattolica del Sacro cuore di Milano, descrive la cornice all’interno della quale inquadrare le due guerre.

Professore, cosa dobbiamo aspettarci dalla situazione internazionale?

«Sicuramente abbiamo un ordine internazionale basato sulla leadership americana-occidentale che, da diversi anni, si sta indebolendo; a questo si somma la comparsa di sfidanti espliciti che hanno la capacità di mettere in discussione lo stesso ordine e di proporre una leadership e un ordine alternativi».

Quali sono questi sfidanti?

«La Cina ha una proposta articolata di sfidante globale. Poi abbiamo la Russia che punta sostanzialmente sull’uso della forza, a cui si aggiungono le ambizioni a livello regionale dell’Iran e della Corea del Nord. Questa è la cornice all’interno della quale inquadrare le due guerre in corso che rischiano di diventare tre».

Cornice preoccupante?

«È un fenomeno destabilizzante, animato anche da attori che propongono alternative all’esistente e che rischiano di far diventare la guerra più efficace e più pericolosa».

In quanto tempo può accadere?

«C’è una tendenza verso questo, che poi si realizzi compiutamente resta un punto di domanda, dipende da come gli altri reagiscono e se lasciamo che avvenga».

Il ministro Crosetto ha già detto che le nostre forze armate non sono preparate per affrontare la guerra.

«Anche il capo di Stato maggiore della Difesa, in audizione in Parlamento, è stato netto nel dire che abbiamo ritardi da assorbire, carenze in termini di equipaggiamento ancora da migliorare e numeri scarsi in termini di dotazioni e personale. Nell’intenzione del ministro è cercare di porre rimedio».

Cosa si può fare?

«Dipende sempre da quali ambizioni e strumenti si hanno. Non possiamo competere con Paesi come la Francia e la Gran Bretagna, che sono potenze nucleari e membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu: la Francia è intervenuta a difesa di Israele su richiesta della Giordania. Eviterei di pensare che abbiamo un protagonismo da giocare a ogni costo».

Parlare di pace è utopia?

«Le responsabilità vanno assunte, non possiamo continuare a fare i consumatori passivi di sicurezza. Non abbiamo allevato un’opinione pubblica che riesce a pensare alla sicurezza come investimento: la pace si costruisce mettendosi nelle condizioni di allontanare la prospettiva della guerra.

L’Italia è una potenza a livello di Spagna e Polonia con capacità economica e politica superiori che però vanno messe a sistema senza paura, se vuoi contare devi assumere le tue responsabilità».

Come legge il rinvio della risposta di Israele all’Iran?

«Guadagna un po’ di tempo, probabilmente gli israeliani devono, in qualche modo, tener conto delle pressioni americane e prendono tempo. Devono barcamenarsi, non la darei per scontata: Israele pare voglia reagire, dobbiamo sperare che sia un’azione moderata».

Quello dell’Iran è stato un atto dovuto?

«È stato un attacco per dimostrare che non si fa prendere a schiaffi impunemente, che reagisce quando viene attaccato in prima persona.

Proprio perché all’origine c’erano gli omicidi in sede diplomatica, una cosa gravissima a livello internazionale, l’Iran ha dovuto esibire una dimostrazione di forza che dimostrasse di non volersi far mettere i piedi in testa scegliendo obiettivi militari o isolati dalle città».

Che ne sarà di Gaza e dell’obiettivo dei due popoli due Stati?

«Israele punta alla distruzione della società di Gaza. Il governo di Netanyahu ha fatto di tutto per rendere impossibile il riconoscimento dei due popoli due Stati. Lo Stato che esiste fa di tutto per non far venire alla luce quello che non esiste».

Parlare di Terza guerra mondiale è eccessivo?

«Preoccupa la propensione all’integralismo, compreso quello di Putin, senza dimenticare che a novembre un altro radicale come Trump potrebbe vincere le elezioni negli Usa. Parlare di Terza guerra mondiale fa schiacciare il tasto panico, ma le metafore offuscano e ci andrei piano».

Vale anche per l’Ucraina?

«In Ucraina la tendenza alla radicalità è quella di Putin, se la Russia trionfasse sarebbe una minaccia letale per l’Europa, mentre quello del Medio Oriente essendo da decenni un fronte surriscaldato, per noi non è una minaccia immediata».

L’Europa può prevenire tutto questo?

«Gli Stati devono cambiare le norme che penalizzano gli investimenti nella difesa e nella sicurezza, ovvero le norme che potevano andare bene quando il mondo era dominato dall’illusione della pace ineluttabile e non dalla possibilità della guerra. Bisogna smettere di parlare e iniziare a fare». —

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