Vittorio Emanuele II, re d'Italia in "Enciclopedia dei ragazzi" - Treccani - Treccani

Vittorio Emanuele II, re d'Italia

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Vittorio Emanuele II, re d’Italia

Sergio Parmentola

Il re galantuomo

Re di Sardegna dal 1849, dopo l’abdicazione di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II fu il protagonista, con Cavour e Garibaldi, dell’unificazione nazionale e divenne il primo re d’Italia dal 1861 al 1878. Conservatore e cattolico, assumeva personalmente il comando supremo dell’esercito. Dopo la fine del potere temporale dei papi (1870), trasferì a Roma la capitale del regno

Un re nella battaglia risorgimentale

Nato a Torino nel 1820, figlio di Carlo Alberto e Maria Teresa d’Asburgo Lorena, nel 1842 sposò Maria Adelaide, figlia di Ranieri d’Asburgo. Aveva la passione della caccia e della vita militare, preferiva la vita semplice e la compagnia del popolo alla vita mondana della corte e dei nobili. Nella Prima guerra d’indipendenza combatté a Goito e Custoza. Dopo la sconfitta di Novara e l’abdicazione di suo padre (1849) divenne re di Sardegna e firmò l’armistizio di Vignale con l’Austria. Pur essendo di idee conservatrici, non abolì lo Statuto albertino e ne rispettò le istituzioni, tanto che venne definito dal patriota e uomo politico piemontese Massimo d’Azeglio «re galantuomo». Poiché il parlamento, a maggioranza democratica, non voleva ratificare la pace con gli Austriaci, lo sciolse, indisse nuove elezioni e con il proclama di Moncalieri invitò gli elettori a votare per i candidati vicini alla corona. Il proclama ebbe successo e il nuovo parlamento approvò la pace. Nonostante fosse molto religioso, nel 1850 accettò le leggi Siccardi, che abolivano i privilegi della Chiesa. Nel 1852 affidò il governo a Camillo Benso, conte di Cavour, un politico laico e liberale, lontano dalla sua mentalità cattolica e conservatrice. Non mancarono però i contrasti. Quando Cavour sostenne un progetto di legge che eliminava numerosi ordini religiosi, il vescovo di Casale, Nazari di Calabiana, protestò presso il re, che si dimostrò sensibile alle ragioni della Chiesa. Cavour rassegnò le dimissioni, ma il re dovette invitarlo a ritirarle per le pressioni dell’opinione pubblica.

Le scelte in politica estera

Maggiore fu la sintonia in politica estera. Vittorio Emanuele potenziò l’esercito, quindi promosse la partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea (1855), che Cavour sfruttò per attirare l’attenzione di Francia e Inghilterra sulla situazione italiana. Poi furono firmati gli accordi segreti di Plombières con Napoleone III, che preparavano la guerra con l’Austria e prevedevano che Vittorio Emanuele diventasse re dell’Alta Italia. Nel gennaio del 1859 il re affermò in un celebre discorso di «non essere insensibile al grido di dolore che da tanta parte d’Italia si alza verso di noi».

Scoppiata la guerra, guidò personalmente le truppe piemontesi, entrò a Milano al fianco di Napoleone III e ottenne la vittoria di San Martino. Nonostante l’opposizione di Cavour, accettò l’armistizio di Villafranca, firmato da Napoleone III con l’imperatore austriaco, che assegnava al regno sabaudo soltanto la Lombardia. Grazie all’abilità diplomatica di Cavour, ottenne da Napoleone III l’autorizzazione ad annettere la Toscana e l’Emilia in cambio del passaggio alla Francia di Nizza e della Savoia.

L’unità d’Italia

Nel 1860 sostenne segretamente la spedizione dei Mille di Garibaldi, che portò alla conquista della Sicilia e dell’Italia meridionale. Le truppe piemontesi scesero quindi nello Stato pontificio, conquistando Marche e Umbria. Il re incontrò a Teano, presso Caserta, Garibaldi che gli consegnò i territori conquistati. Il 17 marzo 1861 il «padre della patria» fu proclamato a Torino re d’Italia. Non cambiò il nome in Vittorio Emanuele I: conservando la vecchia numerazione, volle sottolineare la continuità tra il Regno d’Italia e quello di Sardegna. Alla morte di Cavour (1861) affidò il governo ai politici della destra storica. Trasferì la capitale da Torino a Firenze, stabilendosi a Palazzo Pitti (1865) e, dopo la presa di Roma, nella nuova capitale, nel palazzo del Quirinale (1871).

Rimasto vedovo nel 1855, nel 1869 sposò morganaticamente – cioè privatamente e senza effetti sulla successione – una popolana, Rosa Vercellana, la «bella Rosina», che nominò contessa di Mirafiori. Negli ultimi anni si avvicinò alle potenze centrali (Austria e Germania), gettando le basi di una futura alleanza. Morì a Roma nel 1878.

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