9' di lettura 9' di lettura

Una storia di resistenza, di dedizione per il proprio lavoro ma anche di integrazione. Sta tutto qui ‘Un mondo a parte’, pellicola firmata da Riccardo Milani che vede protagonisti Antonio Albanese e Virginia Raffaele. Il regista questa volta ha confezionato una commedia che descrive con estrema precisione la routine dei piccoli borghi di montagna: quelli dove spesso lo Stato non riesce ad arrivare, quelli che si stanno spopolando ogni giorno sempre di più, senza un effettivo ricambio generazionale. 

Un mondo a parte
Fonte foto: Fosforo Press


 

Luoghi dove la scuola gioca un ruolo di primaria importanza e non solo dal punto di vista formativo.

Gli istituti di montagna sono infatti un presidio sociale, un punto di riferimento per la comunità: “Se chiude la scuola, chiude il paese”, per citare proprio il film di Milani. Tuttavia, il crollo demografico in questi luoghi trascina a fondo anche gli istituti scolastici, connessi a doppio filo a questa problematica. Perché dove mancano i giovani, le scuole che non riescono a raggiungere la soglia minima delle iscrizioni sono spesso costrette a chiudere i battenti. 

 

Altre volte, però, come nella pellicola di Riccardo Milani, scendono in campo i prof: l’ultimo baluardo rimasto contro le decisioni ‘calate dall’alto’. Spesso, la loro dedizione si trasforma in resistenza umana e culturale, proprio come in ‘Un mondo a parte’, dove Albanese e Raffaele - nei panni di due docenti - cercano in tutti i modi uno stratagemma per lasciare aperta la scuola ‘Junico’ di Castelromito. Il film apre le porte di una realtà che in pochi conoscono: per questo motivo, il portale Skuola.net ha intervistato il regista Riccardo Milani, nel tentativo di fare luce sulla situazione in cui versano queste scuole. 

Leggi anche:

 

  • Perché occuparsi, in "Un mondo a parte", della tematica delle piccole scuole dei borghi di montagna?

“Essendo cresciuto in quei territori, e avendo vissuto per molto tempo queste realtà, ho visto tutte le trasformazioni di quei luoghi: il fenomeno dello spopolamento, poi le pluriclassi, fino alla chiusura delle scuole. Ho vissuto molto tempo in quei territori e aver visto bambini adattarsi a fare moltissimi chilometri al giorno, in qualsiasi condizione atmosferica, per andare a scuola, spesso a bordo di una corriera: è un qualcosa che fa impressione”.

 

  • Cosa vuol dire, per uno studente, frequentare una piccola scuola? Che differenze ci sono con le scuole a cui molti di noi sono abituati? 

“Prima di tutto la dispersione. In una grande scuola di una grande città è molto più semplice che tutto sia ‘sfilacciato’, ‘sbriciolato’, che ci sia un rapporto con gli insegnanti a volte meno stretto. Poi devo dire che anche i fenomeni più violenti, come quello della messa in discussione di autorevolezza degli insegnanti, sono molto più accentuati. E non è un caso che proprio il protagonista maschile di quel film (Antonio Albanese, ndr) fugga dalla sua scuola perché minacciato da tutti, e impossibilitato nello svolgere il proprio lavoro come vorrebbe. Spera e cerca di farlo meglio in un piccolo centro”.

 

  • C'è qualche storia in cui si è imbattuto durante le riprese e che l'ha colpita particolarmente?  

“Mi ha colpito soprattutto la storia di quel ragazzo che fa l’agricoltore nel film. Mi sembrava un essere umano a cui aggrapparci tutti. Parliamo di un’inversione di tendenza importante: un ragazzo che non è scappato come gli altri ma che ha tentato di mettere in piedi la propria vita nel posto in cui è nato. Che sarebbe poi la cosa più normale del mondo. Nel suo caso, ha messo in piedi un’attività importante contro tutto e tutti, anche contro la diffidenza dei genitori. La sua era un’aspirazione alta - non campata per aria - che oggi lo ha portato a una rendita importante. E quando ciò avviene l’inversione di tendenza è completa: anche perché il motivo dei flussi spesso è proprio la mancanza di lavoro. Il territorio può dare tanto in termini di lavoro, ma anche di presente e futuro”.

 

  • Qual è il punto di forza di "Un mondo a parte"? 

“Il fatto che si riconosca il valore etico degli esseri umani. Il valore della comunità. C’è un qualcosa che sopravvive evidentemente in ognuno di noi nonostante il quotidiano spinga per cacciarlo indietro. C’è un senso etico che sopravvive in ognuno di noi, magari nascosto, magari è quello che nascondiamo per forza di cose. Lo spirito di adattamento che ci porta poi ad abituarci al peggio, come si dice anche nel film. Ecco, l’idea di alzare la testa e cominciare a imporre a se stessi una vita fatta di valori - che sarebbe normale in qualsiasi società civile - credo sia ciò che emoziona di più chi guarda il film. Anche l’idea che siano i bambini a riuscire laddove i grandi hanno fallito”.

 

  • "La montagna lo fa", è diventata la frase di rito di questo film, ma per lei cosa vuol dire? 

“So che in montagna alcune cose devi accettarle come sono. Può cambiare tempo da un momento all’altro, può arrivare un po’ di malinconia da un momento all’altro, così come può arrivare l’esaltazione del territorio attraverso la sorpresa di un animale selvatico che ti si presenta davanti.. E poi il piacere di stare insieme, la comunità. Insomma, la ‘montagna fa tutte queste cose’: è un modo di dire che mi piace e che ho adottato da sempre, a volte magari anche per sottolineare aspetti un po’ meno piacevoli. ‘La montagna lo fa’ e io sono contento che lo faccia!” 

 

  • Che rapporto aveva lei con la scuola: materia preferita, primo o ultimo banco ecc

“L’ultimo banco mi sapeva un po’ di sconfitta, ma anche un po’ di promozione. Quindi bivaccavo nella ‘terra di mezzo’, con una comprensione limitata di quanto la scuola avrebbe potuto offrirmi. Per me la scuola è stata soprattutto il sociale. E’ stata la conoscenza fino a un certo punto, poi dal liceo in poi è stata soprattutto amicizia. Quel calore non l’ho mai più provato in vita mia. Ogni tanto rivedo le mie vecchie proiezioni dei tempi della scuola: io e i miei compagni eravamo molto uniti e lo siamo rimasti”.