Domenica pomeriggio, poco prima della replica dello spettacolo “Il vedovo allegro” da lui scritto, diretto ed interpretato, dopo i fragorosi applausi della sera precedente, il noto attore partenopeo Carlo Buccirosso, ha incontrato il suo pubblico nel gremito Foyer del Teatro Marrucino di Chieti. Nell’occasione gli ho posto alcune domande.
“Signor Buccirosso, come sono stati gli inizi?”
“Diciamo che potrei definirmi tardivo. Per la mia epoca, dopo aver svolto il servizio militare obbligatorio e gli studi di giurisprudenza, mi sono affacciato piuttosto tardi nel mondo dello spettacolo ottenendo, dopo molto tempo, l’apprezzamento da parte del pubblico con il primo film nel quale ho recitato. Purtroppo debbo constatare che se non ti dedichi al cinema o alla televisione, la popolarità quasi non arriva. Ci sono tanti attori di teatro che pur essendo i migliori nel loro campo, risultano essere dei perfetti sconosciuti. Quindi ho cominciato un po’ come tutti con le compagnie amatoriali ed esibendomi nei cosiddetti teatri off. Poi, nel 1998 fu la terza pellicola alla quale presi parte, “L’amico del cuore” scritta e diretta da Vincenzo Salemme, che mi diede la fama. Oggi si tende ad intraprendere il percorso all’interno di questo ambiente già in giovanissima età, ad esempio a quindici, sedici o diciassette anni con l’arrivo quasi immediato del successo senza esserselo davvero guadagnato attraverso tanti sacrifici e soprattutto fatica. Non è giusto secondo me. Raggiungerlo è anche un po’ un colpo di fortuna.”
“Da dove nasce la sua passione per la recitazione?”
“Io credo si tratti di una vocazione. Questo mestiere non conviene assolutamente sceglierlo come ripiego. In tal caso sono guai perché non è possibile elemosinare una battuta.”
“Lei interpreta spesso personaggi meticolosi. Questo aspetto appartiene soltanto al suo lato professionale o è presente anche nel privato?”
“Sul lavoro riconosco di essere puntiglioso mentre nella vita sono più distratto e posso compiere degli errori. Certamente non sto dicendo che nel mio mestiere non mi capita mai di sbagliare ma cerco di evitarlo. Quindi subentra questa estrema pignoleria tanto che qualcuno potrebbe far riferimento a me quasi come ad uno scocciatore. L’importante è trattare bene i propri attori dal punto di vista umano. Io amo i miei compagni di scena con l’affetto di un padre. Li scelgo e pertanto voglio che diano il massimo, sforzandomi io stesso nella loro buona riuscita.”
“Quando la si vede calcare il palcoscenico con il gruppo storico costituito da Vincenzo Salemme, Nando Paone e Maurizio Casagrande, si percepisce che il vostro rapporto supera il semplice essere colleghi. È vero questo?”
“Mi dispiace deluderla ma non è così. In questo mondo l’amicizia lascia un po’ il tempo che trova. Ci provai all’inizio ma presto mi accorsi che era una causa persa. Durante la costruzione di uno spettacolo si viene inevitabilmente a creare una sorta di complicità che però svanisce una volta terminata la rappresentazione. Gli amici veri sono quelli sconosciuti che conosci da tutta la vita e che farebbero qualunque cosa per te come tu per loro senza la pretesa di ricevere nulla in cambio.”
“Nella grande tradizione napoletana, l’altro ieri abbiamo avuto Eduardo Scarpetta ed i fratelli De Filippo, ieri i fratelli Giuffrè e Luigi e Luca De Filippo, oggi lei, Maurizio Casagrande, Nando Paone, Vincenzo Salemme e Massimiliano Gallo. C’è un domani? Ci sono dei vostri successori?”
“Intanto io non so se per me esiste un domani. Tendo a mantenermi realista sull’argomento. Nonostante il bel complimento che mi ha rivolto non ritengo che chi di dovere mi utilizzi nella maniera corretta. È un piccolo rammarico perché purtroppo ci siamo ritrovati di fronte a parecchi esempi in cui anche in adattamenti televisivi dalle commedie di Eduardo De Filippo è stato interpellato un attore non campano snaturando così lo spirito originario dell’opera. Ecco il motivo per il quale ora come ora non so se c’è il domani giusto per me. Cerco di guadagnarmelo da solo grazie al teatro, scrivendo ed interpretando. Il mondo dello spettacolo è una realtà che ad un certo punto, improvvisamente dimentica chi vi appartiene e decide chi deve proseguire, spesso preferendo i medesimi individui a scapito di altri. La meritocrazia non è un concetto che si applica bene all’Italia come invece si adatta alla perfezione al sistema americano. La vedo un po’ dura anche perché si tende ad individuare alcuni cabarettisti, che non hanno nulla a che vedere con il teatro, come presunti comici.”
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