Iannantuoni: “Una stretta sulle università telematiche. Sono troppe e di basso livello” - la Repubblica

Cronaca

Iannantuoni: “Una stretta sulle università telematiche. Sono troppe e di basso livello”

Iannantuoni: “Una stretta sulle università telematiche. Sono troppe e di basso livello”

La presidente della Conferenza dei rettori: “Il nostro sistema è tra i meno finanziati nella Ue, il Fondo ordinario deve crescere del 5% l’anno”

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Giovanna Iannantuoni, 54 anni, rettrice dell’Università Bicocca di Milano, è la presidente della Confederazione dei rettori delle università italiane (Crui).

Presidente, ha concluso i conti sul sistema che guida?

“Li sto completando, ma già so che rischiano di tornare fuori controllo. Gli indicatori dell’indebitamento stanno salendo”.

Che cosa vi preoccupa?

“Il costo del personale, è una variabile che aumenta significativamente. Gli scatti in busta paga sono a carico degli atenei, le spese per i lavoratori sono cresciute del 4,6 per cento. Abbiamo aumentato il potere d’acquisto dei docenti, stabilizzato i ricercatori precari: tutte cose necessarie e virtuose. Ma se il Fondo di finanziamento ordinario in tempi di inflazione resta fermo, salterà il tavolo. Il sistema universitario italiano è tra i meno finanziati dell’Unione europea, da sempre. Spendiamo 12.000 euro per studente, in Francia 18.000, in Germania 20.000. In Italia ricerca e università pesano l’1,5 per cento della spesa pubblica, la media Ocse è quasi il doppio, 2,7 per cento. È il momento di avvicinarci all’Europa”.

Un’indicazione al governo?

“Serve un investimento nel lungo periodo, il Fondo Ffo dovrebbe crescere del 5 per cento l’anno per i prossimi dieci anni. Questo ci consentirebbe, peraltro, di abbassare le tasse agli studenti. Non è una spesa, ma un investimento sui giovani che, anche sul piano economico, riporterebbe al Paese più risorse di quelle impegnate. Facciamo gli Stati generali dell’università, calcoliamo il valore plus che un investimento su questo mondo possiede. Dobbiamo capire che cosa è il sistema universitario per il sistema democratico, quanto il Paese si riconosce nella missione di didattica e ricerca. E proviamo a capire, ancora, che cosa sarebbe l’Italia senza università”.

Nel mondo come siamo considerati?

“I ranking internazionali, tenuto conto delle nostre dimensioni e, appunto, dei finanziamenti limitati, sono tra i migliori a livello globale. Ho fatto dodici anni all’estero con una formazione realizzata in Italia e posso dire che i nostri ricercatori sono tra i più bravi. Hanno capacità uniche, in tutte le aree”.

Oltre all’innalzamento dei finanziamenti pubblici, che cosa serve a questa università?

“Uscire rapidamente dalle assunzioni fatte con i punti organico, dalla burocrazia sugli acquisti minimi. Dai lacci e lacciuoli per aprire nuovi corsi di laurea. Regole semplificate, già con questa legislatura”.

Anche perché le università telematiche vi portano via clienti.

“Mettiamo alcuni punti sull’argomento telematiche. Sono atenei, sì, ma sfruttano il fatto che siamo l’unico Paese al mondo in cui esiste il valore legale della laurea. Non avrebbero 240.000 studenti iscritti, altrimenti. Le telematiche in Italia sono undici, molto diverse tra loro, ma unite nel rivendicare la loro funzione sociale, il fatto che non costano allo Stato e che qualsiasi formazione offrano è comunque un di più. Questo argomento, però, è un falso. Non può bastare lo schermo di un pc per formare brillanti coscienze critiche. A un ragazzo che vive in una zona remota del Paese devi dare una borsa di studio e farlo studiare in un ateneo di grande qualità. Invece gli dici “stai a casa tua e ti faccio un favore se prendi una laurea digitale”. Le telematiche non sono un ascensore sociale, creano soltanto studenti di altro tipo”.

Di Serie B, intende. Le università telematiche sono di bassa qualità?

“Lo sostiene Anvur, i valutatori pubblici della qualità di tutto il nostro mondo”.

L’università tradizionale, chiuso il biennio Covid, si è ritratta dalle lezioni online.

“La formazione universitaria in un campus dà l’opportunità unica di stare con coetanei e professori. E anche noi facciamo formazione a distanza, corsi ibridi. Il ministero dell’Università e della Ricerca deve mettere paletti chiari alle telematiche, aumentare il rapporto tra professore e studenti, oggi oltre trecento. Non farlo vorrebbe dire condannare il sistema universitario italiano di qualità”.

La situazione è seria.

L’inverno demografico morde gli atenei pubblici. Nei prossimi tre anni potrebbero tornare a diminuire gli immatricolati, e già i laureati sono in decrescita. La questione vale in tutto il territorio, ma al Sud si sentirà prima. Regioni come Puglia e Calabria sono già in difficoltà. Nelle aree meno centrali le università hanno un ruolo di leadership, sono uno stimolo forte per il territorio: è impensabile privare quelle zone di un ateneo. La sfida da vincere è far rendere conto a tutti, a partire dalla pubblica amministrazione, che chi affronta la formazione universitaria impara a diventare una guida e quando lavorerà saprà cambiare ogni volta che sarà necessario. Chiedo agli adolescenti di cercare il talento che è in loro, di studiare e prendere coscienza del mondo che li circonda”.

Il mondo che li circonda è in guerra e molti studenti contestano le università che mantengono rapporti con Israele.

“Noi ascoltiamo le proteste universitarie, gli studenti radicali, invece, ascoltano poco noi. E’ sbagliato interrompere un rapporto universitario con Israele. Facciamo scienza, non politica, e negli atenei di quel Paese si sente una forte critica al governo Netanyahu. Noi non lavoriamo con lo Stato israeliano, ma con i ricercatori”.

Questo vale anche nel rapporto scientifico con la Russia, in guerra con l’Ucraina?

Sì, al di là delle scelte che fece il Governo Draghi. Devo dire che, eccetto il Cern, in molte piattaforme di ricerca si trovano ancora studiosi russi scambiare informazioni con quelli occidentali, con gli scienziati americani”.

Da donna di scienza, l’Italia è affetta da novaxismo?

"Sì, lo è. La grande polarizzazione dell’era social ha prodotto, da noi, più opinioni che fatti: non c’è accettazione della complessità del punto. E questa è una cosa ascientifica, la scienza si nutre di dubbio. Il novaxismo va superato: il 20 marzo è la giornata dell’università svelata e i cittadini, per avvicinarsi alla scienza, entreranno nelle nostre aule, nei laboratori”.

Il tronismo accademico di questi tempi, fase avanzata del baronismo, produce concorsi pubblici poco credibili.

"La mia esperienza dice che i concorsi universitari non sono fatti per favorire gli interni a scapito di chi ha un curriculum migliore. Servirebbero due binari, due forme diverse di reclutamento: un concorso in cui vinca il migliore, poi bandi per il personale interno. Chi, però, manipola i concorsi sbaglia, e non c’è altro da dire”.

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