Un romanzo insegna che per capire l’Italia bisogna guardarla da Trieste - HuffPost Italia

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Un romanzo insegna che per capire l’Italia bisogna guardarla da Trieste

Un romanzo insegna che per capire l’Italia bisogna guardarla da Trieste

Capita che un romanzo, una storia inventata, immaginaria, apra al lettore tante piccole e grandi finestre su questioni importanti, o se vogliamo, sul nostro stare al mondo e su come il mondo viene narrato, certamente nei giornali ma pure nelle nostre quotidiane conversazioni. È questo il caso di Alma, un libro scritto da Federica Manzon, un’autrice poco più che quarantenne e che racconta una vicenda con al centro le identità (al plurale) delle persone: protagoniste della storia, ma pure dei Paesi e luoghi dell’epifania della Storia. Storia che non è né tragedia né farsa ma una serie di eventi casuali, di contingenze, e che invece spesso rimandano all’errata idea di identità come destino cui gli umani non riescono a sfuggire, non per volontà o capriccio degli dèi ma per la convinzione che l’identità appunto sia legata al suolo e al sangue.

E poi, il libro demolisce la pigra credenza degli abitatori dei luoghi considerati “culla di civiltà” di essere la misura di ogni cosa. L’autrice è convinta invece che la Storia e le storie vanno viste dai territori considerati “periferia”, quindi anomali, incomprensibili, “non conformi” ai cliché che dominano il nostro immaginario. Ecco, per capire l’Italia è bene guardarla da Trieste; per raccontare l’Europa è utile la prospettiva di Sarajevo; e aggiungiamo noi – oggi – quella della scalinata Potëmkin di Odessa.

Alma dunque è ambientato a Trieste, una trentina di anni fa, durante la guerra nel Balcani, che non era una guerra fra “etnie” né una vicenda causata da “atavici” odi fra popolazioni di diverse fedi e denominazioni religiose, ma un conflitto in cui si erano scontrati i portatori di due concezioni di identità. L’una, come si diceva, “sangue e suolo”, mito della purezza delle origini; l’altra, urbana, aperta al dialogo, pluralista e conscia del fatto che la vita e il desiderio sono possibili solo grazie alle contaminazioni. Non riassumeremo la trama del romanzo, se non per dire che i protagonisti, anzi le protagoniste sono due. La prima è la città, Trieste appunto, con le sue stratificazioni linguistiche, storiche, architettoniche. La seconda è Alma.

Alma è una giovane, figlia di una psichiatra che lavora con Franco Basaglia. Il padre di Alma è un uomo misterioso che scompare e ricompare dai suoi viaggi oltre la frontiera (e la frontiera è una terza implicita protagonista); infine c’è Vili, un ragazzo arrivato dalla Jugoslavia. Alla fine del suo viaggio, nella storia e nella guerra, Alma scoprirà chi è Vili, e sarà la scoperta non della banalità, ma della spaventosa ambivalenza del Male.

Ora, ripetiamo, il romanzo è in questo caso un (ottimo) pretesto per parlare della percezione della realtà. E dunque Trieste, oltre al mito asburgico (che Manzon tratta giustamente con molta ironia) è forse una delle pochissime città italiane dove esisteva quella che Hannah Arendt aveva chiamato “la borghesia europea”, una borghesia plurilingue e, anche quando irredentista, di casa ovunque nel nostro continente. E poi, città portuale, e le città portuali sono aperte e desiderose di visitatori; luogo di frontiera, e i luoghi di frontiera hanno tante identità e quindi sono governati da una permanente dialettica fra conflitto e convivenza. E non è un caso che la “liberazione dei matti”, è cominciata da quella città, che come tutte o quasi tutte le città di frontiere linguistiche, anche interne all’agglomerato urbano, è già di per sé carica di follia. La presunta periferia non è quindi un paradiso perduto, ma un ottimo punto di osservazione perché è nella periferia che i fenomeni sociali si presentano in tutta la loro radicalità, nel bene come nel male. E del resto la guerra in ex Jugoslavia raccontava, che le questioni aperte con la dissoluzione dei tre grandi imperi: l’ottomano, l’asburgico e lo zarista, non erano risolte e non lo sono tuttora.

E Alma? Alma cerca la sua identità. E nella ricerca, scopre che le identità, appunto sono molteplici: in fondo, l’osservazione è nostra, siamo al contempo figli e figlie, madri e padri, tifosi di qualche squadra sportiva, ma anche delle nazionali dove gli avversari “atavici” (per esempio i calciatori dell’Inter e del Milan) giocano insieme. Ma siamo pure quello che scegliamo di essere perché ci piace, ci attrae, ci affascina ed entra nella nostra anima. E talvolta, perfino la lingua in cui scriviamo è una questione di scelta.

Ecco, è questo il mondo (doloroso ma l’unico davvero interessante) di Alma. E detto con l’intento del tutto polemico: Alma è un romanzo atipico nell’odierno panorama letterario di questo Paese, un romanzo periferico, nel migliore senso della parola.

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