La delega di funzioni nella tutela della sicurezza sul lavoro

30 Aprile 2021

La sempre più crescente complessità che caratterizza – sotto un profilo dimensionale o organizzativo – le realtà d’impresa impone una necessaria distribuzione dei poteri e delle responsabilità in capo ad una pluralità di soggetti. Dunque, al fine di assolvere correttamente gli obblighi gravanti sul datore di lavoro in materia di sicurezza, la delega di funzioni appare uno strumento indispensabile, anche quale mezzo di gestione del rischio penale in un’ottica preventiva.
In forza di tale consapevolezza, il legislatore ha tipizzato i presupposti e i requisiti della delega, recependo le indicazioni nel tempo elaborate dalla giurisprudenza. La chiarezza del dato normativo non ha tuttavia impedito che intorno alla disciplina dell’istituto si potessero creare numerosi fraintendimenti e dubbi, oggetto dell’analisi del nostro ultimo Focus, curato da Giuseppe Fornari, Enrico Di Fiorino e Chiara Biglieri.

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1. Quali sono le ragioni per cui si conferisce la delega?

Per ragioni strutturali e organizzative, il datore di lavoro non può svolgere in prima persona tutti gli obblighi imposti dalla normativa di settore. In aggiunta, l’organo amministrativo potrebbe volersi avvalere di competenze tecniche, di cui non è in possesso. Per tali ragioni, il datore di lavoro – ossia l’intero C.d.A. o il singolo componente del board da quest’ultimo appositamente delegato – può, a sua volta, formalizzare una delega ex art. 16 T.U.S. (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, D. Lgs. 81/2008) in favore di un soggetto terzo. In questo senso, la delega di funzioni rappresenta dunque non più un’eccezione all’esercizio dell’attività H&S (salute e sicurezza) del datore di lavoro, bensì un criterio generale di adempimento agli obblighi di prevenzione.

Muovendo da tali considerazioni, dottrina e giurisprudenza elaborarono l’istituto della delega di funzioni, che ebbe un suo indiretto riconoscimento normativo già nel previgente D. Lgs. n. 626/1994, il quale per la prima volta indicò espressamente le funzioni non delegabili, ammettendo dunque, a contrario, la possibilità di delegare i restanti obblighi.

Tramite la delega si ha la traslazione dal delegante al delegato di funzioni e responsabilità: “questi, per così dire, si libera di poteri e di responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. […] In breve la delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui attribuisce effettivamente i pertinenti poteri” (Cass. Pen., SS.UU., n. 38343/2014, Thyssenkrupp).

2. Chi può rilasciare la delega di funzioni?

La delega di funzioni viene conferita dal datore di lavoro. Nella nostra esperienza, si è reso spesso necessario individuare in complesse realtà d’impresa l’effettivo soggetto titolare della posizione di garanzia, tematica che precede – giuridicamente e logicamente – quella della delega di funzioni. Il datore di lavoro è infatti la principale figura garante della salute e della incolumità fisica dei lavoratori, e la sua individuazione nelle organizzazioni complesse è un tema certamente problematico.

Ai sensi dell’art. 2 T.U.S., il datore di lavoro è “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”. La norma definisce dunque il datore di lavoro secondo un criterio, alternativamente (i) formale (titolare del rapporto di lavoro) o (ii) sostanziale (responsabile con effettivi poteri decisionali e di spesa).

Con specifico riferimento alle società di capitali, in estrema sintesi, sono due gli indirizzi giurisprudenziali formatisi:

– secondo un orientamento più risalente, il datore di lavoro è da individuarsi nel rappresentante legale (“se il datore di lavoro è una persona giuridica, destinatario delle norme è il legale rappresentante dell’ente imprenditore, quale persona fisica attraverso la quale il soggetto collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive, così che la sua responsabilità penale, in assenza di valida delega, è indipendente dallo svolgimento o meno di mansioni tecniche, attesa la sua qualità di proposto alla gestione societaria”; Cass. Pen., Sez. III, n. 28358/2006);

– seguendo un indirizzo più recente, tale qualifica si estende invece a tutti i membri del Consiglio di Amministrazione (“gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni ed igiene sul lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione”; Cass. Pen., Sez. IV, n. 38991/2010).

3. Cosa accade in caso di “delega” conferita all’amministratore delegato?

Chiarito come si individua il datore di lavoro, si tenga presente che il Consiglio di Amministrazione può – ai sensi dell’art. 2381, comma 2, c.c. – delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo o ad uno o più dei suoi componenti. La Corte di Cassazione riconosce l’efficacia di tale redistribuzione interna, affermando che la responsabilità collegiale sussiste “solo quando il CDA non abbia trasferito poteri e responsabilità all’amministratore delegato o ad altri soggetti” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 55005/2017). Si dovrà trattare di una delega ampia, così da conferire al delegato il potere di autonoma decisione circa l’adozione delle misure necessarie a garantire il rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

In presenza di siffatta delega, permane tuttavia in capo ai restanti componenti dell’organo amministrativo l’obbligo, non delegabile, di vigilare e di intervenire qualora a conoscenza di circostanze che impongano un loro intervento. Si è infatti precisato che “anche di fronte alla presenza di una eventuale delega di gestione conferita ad uno o più amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa, tale situazione può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 38991/2010).

Un primo chiarimento, di centrale importanza: in caso di attribuzione, ad un unico soggetto, di specifiche competenze gestorie, proprie dell’organo collegiale non si tratterà di una delega di funzioni “verticale”, idonea a trasferire i poteri dal titolare ex lege (garante originario) ad un garante derivato, ma un mero riparto di competenze “orizzontale”, tra soggetti detentori di funzioni a titolo originario e di pari livello gerarchico.

4. Quale disciplina in caso di “delega” conferita al dirigente o al preposto?

È necessario chiarire che la mera organizzazione dell’attività di impresa – attraverso la formale investitura di soggetti in funzioni espressamente regolate da T.U.S. (come il dirigente o il preposto) – non è ipotesi riconducibile all’istituto della delega di funzioni. Ed infatti, non si è in presenza di un passaggio di responsabilità da un garante originario ad uno derivato, ma della semplice attribuzione di un incarico, da cui deriverà il conferimento dei poteri tipicamente previsti nella qualifica, per come disciplinata dalla legge.

Quindi il dirigente o il preposto non operano necessariamente quali delegati del datore di lavoro, facendosi carico di responsabilità che graverebbero in capo a quest’ultimo, ma assumono invece compiti in base all’intervenuta nomina o – in alternativa – in ragione dell’effettivo esercizio delle relative funzioni. Del resto, l’art. 299 T.U.S. prevede che le posizioni di garanzia gravanti sui vari soggetti “debitori di sicurezza” “gravano altresì su colui il quale, pur sprovveduto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”.

Sotto il profilo giurisprudenziale, la Suprema Corte ha correttamente statuito che “non è conforme agli indirizzi giurisprudenziali la tesi dell’imputato secondo cui la posizione di garanzia in ordine alla normativa antiinfortunistica sorgerebbe – pur rivestendosi la qualifica dirigenziale – solo in presenza di espressa e formale delega”. Al contrario, già in base alla legge il dirigente “si colloca in un livello di responsabilità intermedio tra datore di lavoro e preposto ed è chiamato ad attuare le direttive datoriali, nonché chiamato a cooperare con il datore di lavoro nell’assicurare l’osservanza della disciplina legale” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 22599/2017).

5. In caso di delega di funzioni, devono essere rispettati dei requisiti di forma e sostanza?

Per conferire validamente una delega, è necessario che siano presenti i requisiti – di natura formale e sostanziale – richiesti dall’art. 16 T.U.S.

Sotto il profilo formale, la delega:

 deve risultare da atto scritto recante data certa. Si evidenzia come non è necessario procedere attraverso procura notarile, risultando ad esempio sufficiente apporre sulla scrittura una marca temporale, idonea a conferire legalmente data e ora certa;

   deve essere accettata dal delegato per iscritto, così impedendo l’assunzione di deleghe non libere o non consapevoli. Stante la natura di atto bilaterale, in difetto di formale accettazione, continuerà ad essere garante solo il datore di lavoro;

   deve essere resa nota con adeguata e tempestiva pubblicità. La norma non indica le modalità di divulgazione. Nel silenzio della legge, si ritiene che il conferimento di funzioni debba essere pubblicizzato all’interno del luogo di lavoro e all’esterno dell’impresa (ad esempio, tramite iscrizione nel registro delle imprese). Si evidenzia, tuttavia, che l’eventuale omessa o carente pubblicità è priva di effetti giuridici.

Sotto il profilo sostanziale, si richiede che:

   il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

   la delega attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

   la delega attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.

6. È possibile operare una delega di funzioni in una realtà di piccole dimensioni?

Tra i presupposti e i requisiti tipizzati dall’art. 16 T.U.S., non compare quello della dimensione dell’impresa.

È stato correttamente sostenuto che con questa chiara scelta il legislatore ha mostrato di non condividere l’indirizzo giurisprudenziale precedente (Cass. Pen., Sez. IV, n. 11358/2005), che subordinava l’efficacia della delega all’esistenza di un’organizzazione aziendale complessa.

Sul criterio meramente quantitativo, deve quindi prevalere quello di natura qualitativa, volto a valorizzare la complessità delle attività e dei compiti da svolgere.

7. La delega può essere conferita ad un terzo?

In assenza di indicazioni legislative, si ritiene che la delega ex art. 16 T.U.S.  possa essere conferita anche ad un soggetto terzo rispetto all’organizzazione aziendale. Pur dovendosi rilevare che un soggetto interno sarebbe agevolato nello svolgimento dell’attività di valutazione dei fattori di rischio inerenti all’impresa, non può escludersi che un soggetto esterno possa essere effettivamente dotato della piattaforma conoscitiva necessaria all’autonoma estrinsecazione dei poteri decisori necessari allo svolgimento   degli adempimenti H&S a lui delegati.

La possibilità di delega ad un soggetto esterno all’azienda è stata riconosciuta anche a livello giurisprudenziale: “non vi è alcun impedimento normativo che il datore di lavoro possa delegare una persona esterna all’azienda le sue funzioni in materia di prevenzione e sicurezza” (tra le altre, Cass. Pen., Sez. IV, n. 6613/2009; Cass. Pen., Sez. IV, n. 8620/2008).

8. Il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione è un delegato del datore di lavoro?

No. Gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del RSPP, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di formazione ed informazione dei dipendenti. Il ricorso al RSPP, il quale rappresenta una sorta di consulente del datore di lavoro, non implica dunque alcuna possibilità di scaricare sullo stesso le responsabilità di cui il secondo è espressamente onerato ex lege. In tal senso, la Suprema Corte ha chiarito che “la delega non può ritenersi attribuita dal datore di lavoro all’addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione, considerato che tale carica attribuisce un mero ruolo di consulenza, tanto che gli obblighi di vigilanza e controllo non vengono meno con la nomina del RSPP” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 11819/2015; Cass. Pen., Sez. IV, 36234/2014).

9. Ci sono dei limiti al contenuto della delega?

Si. Sotto il profilo contenutistico, si ricorda che il datore di lavoro non può delegare a terzi l’attività di valutazione dei rischi H&S e la conseguente elaborazione del DVR (Documento di valutazione dei rischi), nonché la designazione del RSPP. Trattasi, quest’ultime, di attività non delegabili ai sensi dell’art. 17 T.U.S.: ne consegue che una delega avente ad oggetto tali adempimenti è da considerarsi nulla ed inefficace in parte qua.

10. Cosa accade in caso di invalidità della delega?

In caso di invalidità, il datore di lavoro non potrà ritenersi liberato dagli obblighi previsti ex lege. Dall’altra parte, il delegato potrà ciononostante diventare responsabile, laddove – agendo in conformità alla delega viziata – abbia posto in essere delle violazioni della normativa in materia H&S. La Suprema Corte ha ben chiarito che “l’invalidità della delega – in base al principio di effettività – impedisce che il delegante possa essere esonerato da responsabilità ma non esclude la responsabilità del delegato che, di fatto, abbia svolto le funzioni delegate” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 48295/2008).

11. Il delegato può ulteriormente delegare un altro soggetto?

L’art. 16, comma 3-bis, T.U.S. prevede la possibilità di una sub-delega, la quale deve possedere i medesimi requisiti di forma e di sostanza previsti per la delega di primo grado.

In aggiunta, quali ulteriori limitazioni alla libertà del delegato/delegante, si prevede la necessità di una previa autorizzazione del garante primario ed un limite della sub-delega a “specifiche funzioni”. È quindi impedito al delegato di liberarsi integralmente degli obblighi assegnati, nonché di trasferire ad un terzo compiti non sufficientemente dettagliati.

Al fine di evitare il rischio di un eccessivo scivolamento della responsabilità verso il basso, la legge vieta espressamente un ulteriore trasferimento delle funzioni.

12. Quali obblighi rimangono in capo al delegante?

Nonostante la delega di funzioni determini una “riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità” (Cass. Pen., SS.UU., n. 38343/2014, Thyssenkrupp), la stessa non consente al datore di lavoro di disinteressarsi in toto dell’attività svolta dal delegato. Ai sensi dell’art. 16, comma 3, T.U.S., “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”.

Al tempo stesso, è evidente come la pretesa di un controllo capillare e costante priverebbe di utilità il conferimento della delega. Quello che residua è dunque un dovere di controllo sull’operato del delegato (inteso come controllo sull’adeguatezza dell’organizzazione, da cui esula invece una verifica concreta e costante sugli specifici fattori di rischio). Tale obbligo riguarda dunque “la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 10702/2012). Infatti, “in tema di infortuni sul lavoro, la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite, pur non potendo avere detta vigilanza per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni – che la legge affida al garante – concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato.” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 44141/2019).

Ad esempio, l’esonero dalla responsabilità determinato dalla delega verrebbe meno laddove vi sia una segnalazione o una richiesta di intervento da parte del delegato, non presa in considerazione dal datore di lavoro, oppure qualora il delegante, dopo esserne venuto a conoscenza, non abbia posto rimedio ai comportamenti negligenti o inadeguati del delegato.

13. Quali rapporti vi sono tra il Modello Organizzativo e la delega di funzioni?

Come appena precisato, sul datore di lavoro delegante permane un obbligo di “vigilanza alta”. Ai sensi dell’art. 16, comma 2, T.U.S., tale obbligo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4, T.U.S. La norma, introducendo una presunzione relativa, desume dunque il corretto adempimento dell’obbligo di alta vigilanza ex art. 16, comma 3, T.U.S da parte del datore di lavoro, in virtù dell’adozione e corretta implementazione del modello di organizzazione e gestione previsto dal D. Lgs. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa da reato.

Ecco, dunque, che il modello di organizzazione e gestione, idoneo a prevenire la commissione di fatti di reato in ambito aziendale, non si limiterà ad avere efficacia esimente rispetto alla Società, ma potrà avere effetto anche rispetto alla posizione del datore di lavoro per l’evento verificatosi in ragione di una omessa vigilanza rispetto all’attività del delegato.

Affinché possa ritenersi adempiuto l’obbligo di vigilanza, non è ovviamente sufficiente la mera adozione di un modello organizzativo ai sensi del D. Lgs. 231/2001, occorrendo invece che le misure adottate siano idonee ad impedire la violazione della normativa in materia di sicurezza e che il modello sia efficacemente attuato all’interno dei luoghi di lavoro.

Anche la giurisprudenza ha correttamente enfatizzato l’importanza della previsione: “come il richiamato art. 16 chiarisce, si parla qui di una vigilanza ‘alta’, che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato; e che si attua anche attraverso i sistemi di verifica e controllo previsti dall’articolo 30, comma 4, che a sua volta disciplina il modello di organizzazione e gestione idoneo ad avere efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Tale rinvio costituisce una norma assai rilevante, che introduce nel sistema della responsabilità penale un importante frammento del sistema di responsabilità degli enti; e rende al contempo più chiara la reale natura dell’obbligo di vigilanza” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 10702/2012).