STORIA/ Zofia Kossak, la polacca antisemita che salvò migliaia di ebrei

- Silvana Rapposelli

Zofia Kossak (1890-1968), polacca, scrittrice, all'inizio fu antisemita, ma dopo l'occupazione nazista della Polonia cambiò idea

ebrei ghetto varsavia 1943wikipedia 640x300 Ebrei rastrellati dai tedeschi durante la rivolta del ghetto di Varsavia, 1943 (Wikipedia)

Ci fu una donna polacca, affermata scrittrice, cattolica, che divenne figura di spicco della resistenza antinazista quando aveva ormai 50 anni, che fu redattrice di giornali e autrice di opuscoli clandestini e fondò un movimento politico, il Fronte per la Rinascita della Polonia; che non aveva fatto mistero del suo antisemitismo, eppure creò un’organizzazione di soccorso sottraendo alla morte migliaia di ebrei, ragione per cui fu deportata ad Auschwitz; che fu costretta dopo la guerra dal nuovo potere comunista all’esilio, per essere infine riconosciuta nel 1982 come una dei “Giusti tra le nazioni” dello Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme.

Il suo nome è Zofia Kossak (1890-1968). Un libro ne ricostruisce le vicende, Il tempo dell’odio e il tempo della cura di Carla Tonini.

Quella dei Kossak era una famiglia dell’antica nobiltà,  che concepiva come un impegno morale tramandare la cultura, gli usi e lo stile di vita della Polonia difendendoli di volta in volta contro gli ucraini, i tedeschi e gli ebrei. Va ricordato che, essendo la Polonia un regno piuttosto debole, aveva subito in passato vari attacchi da parte delle potenze confinanti. Russia, Austria e Prussia, proprio quando in altre parti d’Europa la cultura illuministica difendeva e diffondeva i principi di libertà e di nazionalità, in tre momenti successivi giunsero a spartirsi tutti i suoi territori fino a cancellarla nel 1795 dalla carta geografica.                                      

Zofia era una scrittrice già conosciuta negli anni Venti soprattutto per i suoi romanzi storici che incontravano un notevole successo di pubblico. I temi centrali della sua produzione letteraria erano: un convinto nazionalismo soprattutto antitedesco, il mito della Polonia come “baluardo della cristianità”, la Chiesa cattolica vista come l’unica istituzione capace di garantire l’unità nazionale.

Nel biennio 1936-1937 Zofia Kossak pubblicò degli articoli sulla questione ebraica. Infatti in Polonia, oltre al secolare antigiudaismo di matrice cristiana che vedeva nel popolo ebraico il responsabile della morte di Cristo, si stava diffondendo l’idea che gli ebrei fossero i detentori del potere economico e ostacolassero l’ascesa dei polacchi in molti settori lavorativi. A metà degli anni Trenta si verificò un’ondata senza precedenti di aggressioni agli ebrei, soprattutto nelle università e a Varsavia, pur senza arrivare all’approvazione di leggi razziali.

La Kossak appoggiò pubblicamente l’idea di introdurre tali misure, sostenendo che non era tanto la religione che distingueva gli ebrei dai polacchi, ma proprio la razza. Tuttavia grandi cambiamenti stavano per verificarsi.

Il primo settembre 1939 gli eserciti tedeschi invasero la Polonia e conquistarono in due settimane metà del paese. Nel frattempo, da est arrivavano gli eserciti sovietici, colpendo di sorpresa i polacchi, all’oscuro dell’accordo russo-tedesco che prevedeva la spartizione del loro paese. Ancora una volta la Polonia come Stato indipendente cessò di esistere.   

I nazisti instaurarono un regime di terrore e di sfruttamento che non aveva uguali negli altri territori occupati, destinato a durare cinque anni.

Per la Kossak, come per molti altri polacchi, l’unica reazione possibile fu la partecipazione alla resistenza, da lei stessa definita “il sacro dovere di ogni polacco”. Una resistenza civile, consistente in attività di informazione, di propaganda, volta al boicottaggio dell’invasore, una vita fatta di nomi e documenti falsi, di fughe e nascondigli. Nell’estate del 1941 fu lei a fondare il Fronte per la rinascita della Polonia (Fop), che, basandosi sulla dottrina sociale della Chiesa, si poneva come obiettivo la rinascita morale della nazione e fu capace di attirare subito molti aderenti, cattolici e non solo. Grazie al Fop venivano stampati tre giornali e numerosi opuscoli, di cui gran parte redatti dalla scrittrice.

Per quanto riguarda gli ebrei, i tedeschi crearono a Varsavia il più grande ghetto del paese, nel quale vivevano stipati fino a mezzo milione di persone, molte provenienti da altre città. Fu sempre il senso del dovere a spingere Zofia ad intervenire in favore degli ebrei che, quando nel luglio 1942 iniziarono le deportazioni verso il campo di sterminio di Treblinka, fuggivano dal ghetto in migliaia. Ospitò ebrei in casa propria, si prodigò per permettere loro di vivere nella parte ariana della città, procurando loro documenti falsi, viveri, alloggi, sistemò molti bambini – a volte cacciati dal ghetto dalle loro stesse madri per evitarne la deportazione – nei conventi di suore o presso famiglie ariane.

Agli inizi di agosto del 1942 Zofia scrisse e fece distribuire Protest, un volantino in cui descriveva in modo indignato e commosso le atrocità che avvenivano nel ghetto, denunciava la colpevole indifferenza del mondo di fronte all’Olocausto e chiamava i polacchi, i cattolici polacchi, a protestare.

La pubblicazione di Protest mise in moto un processo che ben presto avrebbe portato ad una organizzazione per l’aiuto agli ebrei, la cui formazione fu affidata dai capi della resistenza proprio alla Kossak.

Tale organizzazione, chiamata Zegota, permise di aiutare, grazie a contatti e iniziative personali, circa la metà degli ebrei che si nascondevano nella capitale. Zegota è stato il più grande atto di resistenza contro il progetto di sterminio di un intero popolo. Molti dei suoi

appartenenti rischiarono la vita. La stessa Zofia nell’ottobre 1943 fu arrestata dalla Gestapo e deportata ad Auschwitz dove lavorò come guardiana notturna e si ammalò di tifo. Fu salvata dalla resistenza che ottenne la sua liberazione corrompendo i nazisti.

Alla fine della guerra non ebbe alcun riconoscimento, anzi il nuovo potere, di stampo comunista e sovietico, la invitò a lasciare la Polonia, cosa che la Kossak a malincuore fu costretta a fare nel 1945. Poté tornare nella sua patria tanto amata solo dopo 12 anni di esilio forzato. Morì il 9 aprile 1968.





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