Maggio Musicale Fiorentino, nell’anno del centenario di Giacomo Puccini torna sulle scene “Turandot” - Il Giornale d'Italia

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Maggio Musicale Fiorentino, nell’anno del centenario di Giacomo Puccini torna sulle scene “Turandot”

Domenica 21 aprile 2024 alle ore 20, in diretta su Rai Radio 3, torna sulle scene del Teatro del Maggio “Turandot”, con la direzione di Zubin Mehta e nell’allestimento firmato dalla regia di Zhang Yimou

19 Aprile 2024

Zubin Mehta (direttore) © Simone Donati - TerraProject - Contrasto

Zubin Mehta (direttore) © Simone Donati - TerraProject - Contrasto

Dopo il grande successo del concerto inaugurale del 13 aprile, che ha visto alzarsi il sipario sull’86ºFestival del Maggio Musicale Fiorentino, prende avvio la programmazione lirica del Festival, che – nell’anno che segna i 100 anni dalla morte del grande Giacomo Puccini – presenta una delle più amate opere del compositore lucchese, Turandot. L’opera trova sul podio della Sala Grandedomenica 21 aprile alle ore 20, alla guida dell’Orchestra, del Coro e del Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Maggioil direttore emerito a vita Zubin Mehta.  L’allestimento è firmato dalla regia di Zhang Yimou, per tre volte candidato ai Premi Oscar. Sul palcoscenico, a formare il cast vocale dello spettacolo, Olga Maslova e Eunhee Maggio (recita del 3 maggio) nella parte della principessa Turandot; SeokJong Baek e Ivan Magrì (recite del 27 e 30 aprile) interpretano Calaf; Valeria Sepe è Liù; Simon Lim è Timur mentre Carlo Bosi interpreta Altoum. Lodovico Filippo RavizzaLorenzo Martelli e Oronzo D’Urso sono rispettivamente Ping, Pang e Pong mentre Qianming Dou interpreta Un Mandarino. Chiudono il cast tre artisti del Coro del Maggio: Davide Ciarrocchi nel ruolo de Il principino di Persia, Thalida Marina Fogarasi Anastassiya Kozhukharova come le due Ancelle di Turandot. Protagonista inoltre in scena il Nuovo BallettO di ToscanA. Il maestro del Coro del Maggio è Lorenzo Fratini. La maestra del Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Maggio è Sara Matteucci.  Fra i più amati e proposti titoli pucciniani di sempre, Turandot - a partire dal 1929 -  è andata in scena per undici volte durante la storia del Teatro, tra cui l’allestimento (sempre basato sulla regia di Zhang Yimou) in forma semi-scenica dell’autunno del 2012 che dunque rende queste recite il vero e proprio ‘debutto’ nella Sala Grande della magnificente regia firmata dal grande cineasta cinese, proposta per un totale di quattro volte nel corso delle stagioni del Maggio. L’opera – che si basa sulla fiaba scenica Turandotte di Carlo Gozzi, a suo volta ispirata dalla raccolta arabo-persiana Les Milles et un jour – come detto, non venne portata a termine da Puccini che stava ancora lavorando al finale quando morì a Bruxelles il 29 novembre del 1924, le ultime scene di Turandot furono dunque completate da Franco Alfano; poco più di un anno dopo, il 25 aprile del 1926, si tenne al Teatro alla Scala la prima dell’opera diretta da Arturo Toscanini che proprio di concerto ad Alfano aveva contribuito a completare il finale. Protagonista della vicenda, naturalmente, la principessa Turandot, che – come sottolineato dal sovrintendente Carlo Fuortes – è una delle tre grandi eroine intorno alle quali si concentrerà la programmazione lirica dell’86ºFestival del Maggio: “Protagoniste assolute della programmazione operistica del Festival saranno tre donne e – proprio in occasione dei cento anni dalla morte di Giacomo Puccini –avremo due grandi eroine pucciniane, Tosca e Turandot, in mezzo a loro ci sarà Jeanne Dark in una nuova opera contemporanea di Fabio Vacchi”. Queste tre grandi donne sono inoltre le figure centrali del manifesto del Festival, realizzato da Francesca Banchelli in collaborazione con il Museo Novecento  nel quale Turandot, Giovanna d’Arco e Tosca sono rappresentate come un’immagine trinitaria degli archetipi femminili, con una forte predominanza di colori accesi e luci forti, come per una vera e propria scena teatrale. Sul podio, a dare il via alla programmazione lirica dell’86ª edizione del Festival del Maggio, il suo direttore emerito a vita Zubin Mehta, il quale ha fatto dell’opera di Puccini una delle punte di diamante del suo repertorio, affrontandola innumerevoli volte dal vivo e registrandola in disco a più riprese, a partire dalla sua prima incisione dell’opera, avvenuta nel 1966, sino ad arrivare pochi anni dopo a quella che da molti critici è considerato il disco di riferimento, ossia l’edizione del 1972 con protagonisti Joan Sutherland, Luciano Pavarotti e Montserrat Caballé. Fu proprio il maestro Mehta a volere Zhang Yimou per l’edizione fiorentina del 1997 di Turandot, la prima da lui diretta al Maggio e che ebbe fin da subito, come detto, uno straordinario successo. Sul palcoscenico, nel ruolo della glaciale principessa Turandot, Olga Maslova, al suo debutto assoluto sulle scene del Maggio e che da poco ha interpretato il ruolo della protagonista al Mariinsky Theatre di San Pietroburgo: parlando del personaggio e di quelli che sono i tratti che lo caratterizzano, Olga Maslova ha inoltre sottolineato la sua gioia nel prendere parte a questa storica produzione: “È per me motivo di grande orgoglio essere qui a inaugurare l’86ºFestival del Maggio Musicale Fiorentino con questa splendida ripresa dello spettacolo di Zhang Yimou, insieme al maestro Mehta e agli splendidi Orchestra e Coro del Maggio. La produzione è meravigliosa, dalle scene ai costumi, che sono magnifici in ogni loro aspetto. Il mio personaggio è senz’altro marcato da grosse sfumature di rabbia: un cuore ricoperto di ghiaccio che però attende qualcuno che possa davvero scioglierlo. Vista da un’altra prospettiva, la principessa Turandot è una donna che soffre, non riuscendo a vivere realmente la sua vita ed è stato per me molto intrigante esplorare questo aspetto, per poter capire in quale momento essa smette di essere gelida per entrare più a contatto con il suo lato emotivo”. Calaf è invece interpretato da SeokJong Baek (Ivan Magrì nelle recite del 27 e 30 aprile), anche lui da poco protagonista nel medesimo ruolo, con grande successo di pubblico e critica, nelle recite di Turandot delle scorse settimane andate in scena al Metropolitan di New York. Liù, la giovane schiava di Timur – l’anziano e cieco padre di Calaf, interpretato da Simon Lim – è interpretata da Valeria Sepe, che torna sulle scene del Maggio dopo le recite di Pagliacci del settembre 2019 e che nel corso della sua carriera ha interpretato la parte numerose volte, sempre raccogliendo entusiastici consensi di pubblico e critica, dalle recite al Massimo di Palermo del 2019 fino alle più recenti produzioni a Tokyo e Hong Kong. Carlo Bosi, che nelle recite in forma semi-scenica del 2012 aveva interpretato Pang, da voce all’Imperatore Altoum, il padre di Turandot. Importante anche la partecipazione degli artisti dell’Accademia del Maggio, con Eunhee Maggio che vestirà i panni della protagonista nella recita del 3 maggio; Lodovico Filippo RavizzaLorenzo Martelli e Oronzo D’Urso che danno voce rispettivamente al Gran Cancelliere Ping, al Gran Provveditore Pang e al Gran Cuciniere Pong e Qianming Dou, da poco fra i protagonisti de La bohéme andata in scena lo scorso novembre e che veste i panni di Un Mandarino.  Completano il cast vocale tre artisti del Coro del Maggio: Davide Ciarrocchi nel ruolo de Il principino di Persia e Thalida Marina Fogarasi Anastassiya Kozhukharova come le due Ancelle di Turandot.

La Turandot di Zhang Yimou

Protagonista di assoluto rilievo nella storia del cinema orientale e internazionale negli ultimi decenni, Zhang Yimou è fra i più importanti cineasti della cosiddetta quinta generazione del cinema cinese, ossia quel gruppo di registi che fra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta permise, in pochi anni, l'affermazione del cinema del loro paese sul piano internazionale. Il suo straordinario allestimento di Turandot – che segnò inoltre il suo esordio nel mondo dell’opera – debuttò al Teatro Comunale, con la direzione di Zubin Mehta, il 5 giugno del 1997 raccogliendo fin da subito un enorme successo di pubblico e di critica; anche le scene e i costumi ideati da Gao Guangjian, Zeng Li, Huang Haiwei, Wang Yin furono al centro degli elogi; i costumi in particolare hanno numeri quasi da produzione hollywoodiana, essendo formati da 1892 pezzi complessivi. Parlando del lavoro svolto e del suo impatto con l’opera di Puccini nell’intervista rilasciata per il libretto di sala del 1997, Zhang Yimou ha sottolineato di come il libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni sia veramente marcato da tratti profondamente cinesi: “Quando ho accettato di mettere in scena quest'opera al Maggio ho adottato un approccio multiplo: mi sono immerso nell’ascolto della musica pucciniana, ho studiato il libretto, ho visto in video molte edizioni di Turandot e ho assistito alla produzione andata in scena a Pechino nel '96. Proprio in riferimento al libretto, se ad un primo approccio mi è sembrato che l’ambientazione cinese fosse solo uno sfondo esteriore, in seguito, approfondendo lo studio, mi sono accorto che c’è una base reale; prendiamo, ad esempio, il personaggio di Liù: nella letteratura cinese, una donna che si sacrifica per amore, che subisce violenze dal "potere" è un elemento ricorrente e tradizionale, una figura comune. Un tipo di donna che si avvicina ad alcune protagoniste anche dei miei film. Questo dimostra che il libretto di Turandot ha dei tratti profondamente cinesi. Per quello che riguardi i personaggi, ad esempio il dualismo che si crea fra la principessa Turandot e la schiava Liù, io ho tentato di riequilibrare questo rapporto, per cui non c'è una sola protagonista. C'è questo antagonismo fra una vincitrice ed una perdente, fra una donna di potere e una schiava, ma c'è anche un legame significativo: la domanda d'amore di Turandot trova risposta nel sacrificio di Liù. Per questo motivo la principessa, nella mia visione, è molto turbata dal suicidio della giovane schiava ed ho risolto questa scena con un gesto teatrale, che non voglio rivelare, ma che avvicina le due donne, così da riequilibrare, appunto, il loro rapporto. Nel mettere in scena questa produzione, ho studiato per otto mesi, cercando quasi un centinaio di soluzioni diverse. Poi ho deciso, insieme ai miei collaboratori, di realizzare questa Turandot come una ‘vera’ opera cinese, diversa dunque dalla tradizione interpretativa cui è abituato il pubblico italiano. Ma poiché l'opera cinese ha un'antica tradizione, adottando questa soluzioni tutto per me è divenuto più chiaro, più facile e pieno di significato: per noi non è tanto importante ciò che vediamo, ma esprimere l'essenza e la poesia che è propria di ogni vera arte, in Oriente come in Occidente, e dunque superare il dato oggettivo. Così ho immaginato il finale dell'opera: come un momento di unione fra cultura occidentale ed orientale, attraverso una sorta di teatro nel teatro, che vedrà svolgersi contemporaneamente alla scena conclusiva di Turandot la rappresentazione di altre otto opere cinesi. Ed il punto di contatto è dato proprio dall'universalità dei sentimenti, mentre il messaggio che vorrei lanciare è un messaggio di speranza in un mondo migliore, in una cultura comune”.

 

 

 

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