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Apertuna straordinaria del complesso di San Sigismondo

Saranno accessibili gli ambienti normalmente non fruibili per le regole della clausura

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29 Aprile 2024 - 14:24

Apertuna straordinaria del complesso di San Sigismondo

L'interno della chiesa di San Sigismodo

Anche quest’anno, come ormai tradizione, la giornata del 1° maggio segna a Cremona l’apertura ai visitatori del monastero di S. Sigismondo, in cui risiede la comunità claustrale domenicana.

Nella memoria liturgica di san Sigismondo il complesso situato in piazza Bianca Maria Visconti apre le porte ai cremonesi e ai turisti anche per quanto riguarda il monastero e quelle parti della chiesa che solitamente sono soggette alla clausura.

L’associazione “Amici del Monastero di S. Sigismondo” metterà a disposizione le guide per la visita al complesso monastico, mentre i volontari offriranno il loro servizio di accoglienza e vigilanza.

Un’occasione offerta ai cremonesi e non solo per conoscere uno dei gioielli dell’arte sacra del territorio: sarà infatti possibile accedere, accompagnati da un gruppo di guide, ad alcune zone della clausura come il suggestivo presbiterio con la pala del Campi, gli affreschi del Boccaccino e il grande coro ligneo, o il refettorio delle monache, con la riproduzione fedele dell’Ultima cena di Leonardo.

Al mattino le visite saranno possibili dalle 9 alle 10.30, lasciando poi spazio alle 11 alla Messa.

Il pomeriggio le porte del Monastero apriranno nuovamente a partire dalle 14 e sino alle 17.30.

La giornata si concluderà alle 18 in chiesa con il canto del Vespro.

L'accesso è senza prenotazione, con possibilità di lasciare un’offerta a supporto della comunità monastica domenicana femminile di San Giuseppe e del completamento del nuovo impianto di illuminazione.

 

Oltre ai capolavori del manierismo cremonese, il complesso di San Sigismondo custodisce importanti testimonianze pittoriche tardo-barocche, poco note ma non per questo meno importanti, tra cui le sorprendenti decorazioni di Robert de Longe, pittore nato a Bruxelles nel 1646 ma principalmente attivo in Italia e recentemente recuperato nella divulgazione culturale cittadina attraverso le visite guidate organizzate dal FAI-Fondo per l’Ambiente Italiano ETS presso il Campus Santa Monica e le conferenze della Società Storica Cremonese (nello specifico l’intervento di Raffaella Colace, che ha dedicato tempo ed energie al recupero dell’artista fiammingo).

Dopo una prima formazione in patria, Robert de Longe intraprende lungo viaggio di studi in Italia, che lo porterà a visitare molte città confrontandosi con un contesto culturale variegato e vivace. Come è stato unanimemente riconosciuto dalla critica, l’esperienza romana rappresenta una linea spartiacque nella definizione di un proprio linguaggio peculiare: nella città dei Papi, l’artista vede in presa diretta i capolavori di Bernini e Borromini, le decorazioni pittoriche di Pietro da Cortona e dei cortoneschi, frequenta la bottega di Giacinto Brandi ed entra in contatto con la compostezza formale di Carlo Maratta e dei suoi seguaci. Lo studio della contemporaneità è affiancato dall’indagine sulla statuaria classica e sulle prove del Rinascimento, che contribuiscono a definire una sintassi pittorica in cui l’esuberanza barocca si combina con suggestioni naturalistiche e classiciste.

L’esordio cremonese si fa coincidere con il cantiere artistico di San Sigismondo, che lo vede impegnato in prima battuta nella decorazione della cappella dedicata a Santa Teresa d’Avila a partire dal 1673, come suggerisce la presenza dello stemma di Desiderio Ambrogini, abate di San Sigismondo dal 1673 al 1698, dipinto tra i girali di foglie d’acanto che ornano le lesene. Verso la fine del secolo, si collocano gli interventi nelle cappelle di San Filippo Neri, dell’Angelo custode e nella controfacciata della chiesa, con le raffigurazioni della Fama e della Giustizia che incorniciano lo stemma di Carlo II d’Asburgo, ultimo degli Asburgo di Spagna e morto nel 1700.

Come ha sottolineato Raffaella Colace, se nella decorazione delle pareti laterali delle cappelle l’artista sembra sentirsi meno a suo agio nell’impaginazione delle scene, tradendo una leggera fatica nella distribuzione dei personaggi, tutto cambia nell’esecuzione delle pale d’altare e nell’impostazione degli affreschi delle volte, dove emerge con chiarezza la conoscenza dei principali modelli culturali romani, che si combinano perfettamente con la “robustezza del tratto”, affinata meditando sulle suggestioni emiliane e cremonesi. Ne è una prova l’Estasi di Santa Teresa d’Avila, dove l’eloquente trasporto emotivo della santa si bilancia nel contegno dei due angeli che la sorreggono tra le braccia. L’osservatore attento rileverà certamente alcuni celebri “citazioni” romane, dalle più immediate di Gianlorenzo Bernini in Santa Maria della Vittoria e in San Francesco a Ripa (Estasi di Santa Teresa e Beata Ludovica Albertoni), a quelle meno scontate di Giacinto Brandi, anch’egli impegnato come il De Longe nella ricerca di un compromesso tra le istanze barocche e le inclinazioni classiciste.  Nella Gloria di San Filippo Neri, avvalendosi del prezioso contributo del fedele collega e quadraturista casalasco Giuseppe Natali, l’artista dilata lo spazio della volta proiettando la figura del santo in un’aura di luce incandescente, sorretta da nubi vaporose e da putti. In quest’opera, come anche nella scena con l’Angelo custode trasporta un’anima in Paradiso, è tangibile la lezione delle committenze gesuitiche dell’Urbe, che circolavano con facilità nei principali centri italiani: dagli interventi di Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio, nella Chiesa del Gesù alle decorazioni del Padre Andrea Pozzo nella Chiesa di Sant’Ignazio da Loyola. In queste prove di fine secolo l’artista fiammingo schiarisce la sua tavolozza, aumenta notevolmente lo spazio dedicato alle ampie campiture di cielo e affievolisce i volumi: sembrerebbe aderire progressivamente alla virata “barocchetta” e alla conversione al gusto rococò, che il pittore non potrà portare a compimento a causa della morte avvenuta a Piacenza nel 1709. Ciò che resta in San Sigismondo, come in altri importanti contesti cittadini e non solo, esprime la genialità di un artista aggiornato, colto, attento alle principali proposte del suo tempo senza dimenticare la lezione del passato, definendo un linguaggio di grande impatto che lo pone sullo stesso livello dei grandi maestri tra Sei e Settecento.

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