Sacco e Vanzetti, a quasi cent'anni dalla morte un libro cerca di far luce sulla vicenda - la Repubblica

Il Venerdì

Sacco e Vanzetti, anatomia di un’ingiustizia

Da sinistra, Bartolomeo Vanzetti e Ferdinando Nicola Sacco (1897). Getty Images

Da sinistra, Bartolomeo Vanzetti e Ferdinando Nicola Sacco (1897). Getty Images

 

A quasi cent’anni di distanza, il processo e la condanna a morte dei due anarchici italiani non smettono di far discutere. Un libro prova a mettere ordine in un caso che sconvolse l’America e la lasciò divisa in due. Proprio come oggi

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Il 23 agosto 1977 il governatore del Massachusetts Michael Dukakis dichiarava ufficialmente che Sacco e Vanzetti non avevano goduto di un giusto processo e che «ogni onta deve essere cancellata dai loro nomi». Dukakis non concedeva la grazia ai due anarchici (avrebbe significato riconoscere la loro colpevolezza), né tanto meno prendeva posizione a favore della loro innocenza. Semplicemente, il governatore ammetteva che il processo a Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti era stato un abuso, inficiato da prove debolissime, testimonianze dubbie, pregiudizi etnici. La decisione di Dukakis creò scompiglio, tanto che il Senato dello Stato cercò di censurarla. A distanza di cinquant’anni, la ferita che quella storia aveva prodotto nella coscienza americana non si era ancora chiusa.

Sono passati ormai quasi cento anni da quando Sacco e Vanzetti furono uccisi «attraverso il passaggio della corrente elettrica nei loro corpi» – sono le parole usate nell’annunciare la sentenza di morte dal giudice Webster Thayer, scatenato reazionario che con un amico si vantò di quanto fatto «a quegli anarchici bastardi». Eppure quel processo continua a indignare e appassionare. Conta, probabilmente, l’impossibilità di arrivare a una verità giudiziaria definitiva. E conta quanto questa storia ancora svela su storture e paranoie americane. Negli Stati Uniti non si è fermato il lavoro di scavo e analisi. In questi decenni sono emersi nuovi elementi: dalle rivelazioni del Boston Globe sull’arma del delitto di Sacco (che sarebbe stata scambiata dall’accusa per corroborare la tesi della colpevolezza dell’anarchico) alla lettera inedita di Upton Sinclair pubblicata dal Los Angeles Times, in cui lo scrittore raccontava che l’avvocato della difesa, Fred Moore, gli aveva confessato di aver sempre saputo della colpevolezza di Sacco e Vanzetti. Alcuni anni fa, sempre negli Stati Uniti, è uscito il volume di uno storico, Bruce Watson, che ha fatto un ottimo lavoro per ristabilire i fatti, sganciandoli da simboli e leggende (per quanto personalmente convinto che i due non fossero colpevoli, Watson scrive anche: «non importa quanto uno voglia gridare la loro innocenza, delle domande rimangono»). E nel 2023 un libro di John Florio e Ouisie Shapiro, Doomed, ha ricostruito la storia a favore delle generazioni più giovani. Il sottotitolo, “la fine del sogno americano”, non avrebbe potuto essere più esplicito.

Come un romanzo

Ora anche Elèuthera, prezioso marchio dell’editoria libertaria, esce con un nuovo volume, Sacco e Vanzetti. La salvezza è altrove, del giornalista e scrittore Paolo Pasi con le illustrazioni di Fabio Santin. Attraverso lettere, fonti d’archivio, documenti, incontri (per esempio quello con Giovanni Vanzetti, nipote di Bartolomeo), Pasi compone un appassionato “romanzo di Sacco e Vanzetti”. Il punto di vista è tutto interno a pensieri e sentimenti dei due anarchici; in particolare quelli di Vanzetti, spirito più libero, combattivo, colto, rispetto all’ombroso e introverso Sacco. Pasi li segue sin dall’arrivo negli Stati Uniti: Vanzetti da Villafalletto, sulle colline di Cuneo, Sacco da Torremaggiore, un piccolo paese della provincia di Foggia. Il primo fugge soprattutto il dolore per la morte della madre. Finisce, dopo lungo girovagare e diversi lavori, a vendere pesce e a coltivare la sua passione per la lettura e la cultura. Il secondo si sposa con Rosina, ha un figlio, diventa operaio qualificato in una fabbrica di calzature.

Scioperi e bombe

Sono anni difficili per l’America. Sono gli anni in cui dilaga una profonda xenofobia – il secondo Ku Klux Klan è del 1915 – che si accanisce contro afroamericani, ispanici, ebrei, irlandesi, italiani. Sono gli anni dell’isteria anticomunista e dei Palmer Raids, con arresti di massa e deportazioni per migliaia di militanti sindacali e della sinistra. Sono gli anni dei vari Espionage Act, Sediction Act, Immigration Act, le leggi che nutrono la macchina della repressione. Sono gli anni in cui il conflitto sociale si inasprisce. Dallo sciopero “del pane e delle rose” dei tessili di Lawrence alla protesta dei minatori del Minnesota, i lavoratori chiedono salari più alti e migliori condizioni di lavoro. Padroni e polizia rispondono con gruppi paramilitari, cariche, arresti di massa. Tra aprile e giugno 1919 una serie di bombe prende di mira politici, imprenditori, giornalisti. La bomba che esplode a Wall Street nel 1920 fa trenta morti. Degli attentati è incolpato il gruppo anarchico dell’italiano Luigi Galleani. Gli anarchici sono vittime di arresti e pestaggi. Uno di loro, Andrea Salsedo, si sfracella precipitando dagli uffici della polizia di Manhattan. La versione ufficiale è suicidio. In molti sospettano che l’abbiano torturato e poi scaraventato fuori della finestra.

L’America nel caos, l’America scossa da crisi, rivolta, disoccupazione è molto diversa dal Paese che aveva attirato Sacco e Vanzetti con le lusinghe di libertà e prosperità. I due si conoscono a una riunione di anarchici di East Boston, fanno capo al gruppo di Cronaca sovversiva di Galleani, fuggono in Messico per evitare la guerra. Li arrestano la notte del 5 maggio 1920, mentre vanno a ritirare da un meccanico un’auto che la polizia ritiene essere stata usata per una rapina a South Braintree, sobborgo di Boston. L’assalto al portavalori che trasportava le paghe dei lavoratori di un calzaturificio era costato la vita al cassiere della ditta e a una guardia armata. Non si saprà davvero mai perché Sacco e Vanzetti quella notte fossero lì. Forse l’auto gli serviva per disfarsi di opuscoli compromettenti. Forse dovevano nascondere della dinamite. Fatto sta che erano armati. Erano anarchici ed erano italiani, che nel clima di terrorizzata caccia a radicali e immigrati equivaleva a prova certa di colpevolezza. “Presunta letteratura rossa nella stanza di Vanzetti”, titolava il Boston Globe. Non c’erano dubbi. I colpevoli erano loro.

Il mondo in fiamme

Da quel momento, e fino alla loro esecuzione nell’agosto 1927, Sacco e Vanzetti assisteranno prima dalla prigione e poi dal braccio della morte a uno dei più incredibili sommovimenti del Novecento: un seguito di processi, appelli, scioperi, proteste a Buenos Aires, Londra, Tokyo, Parigi, Rio de Janeiro, Dubai, Johannesburg, mobilitazioni di intellettuali – da John Dos Passos ad Anatole France a Dorothy Parker – richieste di grazia. Mentre il mondo andava in fiamme, nelle aule americane di tribunale si svolgeva uno spettacolo di brutale violazione dei diritti degli imputati. «Si crede con difficoltà che questo processo abbia davvero avuto luogo negli Stati Uniti», scriverà nel 1969 William O. Douglas, giudice della Corte Suprema.

È qui, in questa discesa assurda verso la sedia elettrica, che il libro di Pasi offre il meglio. I testimoni dell’accusa finirono per contraddirsi o ritrattare. Un incredibile girotondo si scatenò attorno all’arma usata per l’assalto, tra pezzi di revolver sostituiti e pallottole che non coincidevano. A Sacco venne chiesto in aula di indossare un cappello trovato sulla scena del crimine, e che si riteneva fosse suo. Il fatto che il cappello non gli calzasse fu considerato un dettaglio trascurabile. I sedici testimoni che la difesa presentò, tutti italiani, vennero ridicolizzati e umiliati per il loro inglese stentato. Come disse il governatore del Massachusetts Alvan T. Fuller: «sono italiani, non si può credere alle loro parole».

Un detenuto incriminato per un altro omicidio confessò di aver partecipato alla rapina di Braintree e che Sacco e Vanzetti non c’entravano, ma non venne creduto. Il portavoce della giuria, tutta composta di maschi anglosassoni, disse prima del processo che gli imputati «anche se fossero innocenti, dovrebbero essere impiccati». E il giudice Thayer si impegnò in un furibondo corpo a corpo con l’avvocato della difesa, che accusò di essere «un anarchico capellone della California».

«Due nazioni»

Non ci fu niente da fare. Violazione delle regole del due process, richiesta di rivedere il verdetto da parte di mezzo mondo: nulla riuscì a scalfire la furia con cui una parte d’America reclamò le vite di Sacco e Vanzetti. Ed è questa forse la ragione dell’interesse che la tragedia dei due anarchici solleva ancor oggi. Quella storia mostra, nel modo più chiaro e terribile, quanto i diritti siano fragili in tempi di crisi. In particolare, quella storia mostra come l’America scossa dalla paura per il futuro sia pronta a spaccarsi e a precipitare in un buco nero di violenza e voglia di rivincita. Proprio John Dos Passos scrisse alla vigilia dell’esecuzione: «D’accordo, siamo due nazioni». L’immagine delle due nazioni inquiete, incapaci di trovare un equilibrio, arriva sino a noi e si allunga su questo 2024 di elezioni e di probabili nuovi scontri, sussulti, divisioni.

Sul Venerdì del 12 gennaio 2024

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