Rupert Everett ha ricevuto la Stella della Mole al Lovers Film Festival - La Stampa

«Un po ’per indolenza, un po’ per quel suo carattere che lui stesso definisce difficile, di treni in carriera Rupert Everett ne ha persi tanti. «Una quantità incredibile, meglio non pensarci», sorride lui. L’ultimo, non metaforico, ieri lo portava da Venezia a Torino, ospite d’onore del festival Lovers. Preso quello successivo, senza più il tempo di passare in hotel, la star inglese si è presentata alla Mole Antonelliana con un’ora di ritardo, i vestiti del viaggio ancora indosso. Felpona con cappuccio, pantaloni della tuta, scarpe da ginnastica, cappotto corto, tutto nero. Si è scusato con i presenti per la mise informale, poi ha ricevuto il premio Stella della Mole dalle mani della direttrice del festival Vladimir Luxuria, del presidente del Museo del Cinema Enzo Ghigo e del direttore Domenico De Gaetano. Oggi verrà riproposto il suo film d’esordio, Another Country – La scelta.

Che effetto le farà rivederlo, quarant’anni dopo?
«Sono certo che mi si riapriranno i cassetti della memoria. È un film fantastico, l’unico a tematica omosessuale diretto da Marek Kanievska. Esserne il protagonista è stata una fortuna. Mi scelse il produttore Robert Fox, di cui ero molto amico. Da allora sono rimasto in contatto con tutti quelli che l’hanno girato».

Mike Newell, Andrej Končalovskij, Paul Schrader, Tim Burton, Ridley Scott. Da chi vorrebbe essere richiamato per girare un secondo film?
«Senza dubbio Scott. Napoleon è stata un’esperienza bellissima, anche se difficile. Lui dirige film enormi, nei quali tutto avviene molto velocemente, per stargli dietro un attore dev’essere molto reattivo. Mi sono trovato alla grande anche con Burton, Končalovskij e Schrader».

Manca Newell.
«Con lui ho girato Ballando con uno sconosciuto, ma ci odiavamo. Alla fine ci siamo mandati a quel paese. Lui ha in parte distrutto la mia carriera, andava in giro a dire che lavorare con me era impossibile. La cosa triste è che poco dopo ha girato Quattro matrimoni e un funerale, e io sono rimasto fuori».

Che effetto le fa vedere il suo viso su uno dei più importanti personaggi del fumetto italiano, Dylan Dog?
«Lo trovo divertente, è qualcosa che mi ha sempre fatto molto piacere. Mi dispiace solo di non essere mai riuscito a incontrare il suo creatore, Tiziano Sclavi. Quel fumetto mi ha portato anche Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, uno dei film che amo di più di tutta la mia carriera. Avrei voluto interpretare Dylan Dog o Francesco Dellamorte altre volte, purtroppo non è successo».

Lei discende dalla dinastia Stuart, dai re Carlo I e II. Che cosa ne pensa del III?
«Mi piace molto, così come Camilla. Resto un roialista, ma percepisco in giro una certa ostilità rispetto alla Corona d’Inghilterra. Però non è che un presidente sia per forza meglio di un re, basta guardare cos’ha combinato da voi Berlusconi. E in America la scena politica è ormai da tempo in balia di due clan».

Che ne dice della Brexit?
«È un disastro. Tutto è diventato difficile. Cito la cosa più banale, il trasporto degli animali. Per portare nell’Unione Europea i miei due cani, ogni volta devo pagare 250 sterline per i documenti d’ingresso. Da amante dell’Europa, la trovo un’assurdità».

In Englishman in New York, Sting canta: «Sono un alieno, un alieno legale, sono un inglese a New York». Si è sentito così quando ha lasciato Londra per andare nella Grande Mela?
«Essere un alieno legale è la cosa migliore che ti possa capitare, ed essere un inglese a New York è bellissimo. Lì ho lasciato splendidi ricordi e ho ancora casa, nel West Village».

Oggi dove vive?
«Nel Wiltshire, in una cittadina vicino a Salisbury. Ci sto bene, anche se gli inverni da quelle parti sono freddi e piovosi. Vivo con mia madre, che ha 92 anni e la demenza senile, e con Pluto e Harry, un labrador e uno spaniel. Lavoro quando posso, faccio teatro, scrivo».

Che rapporto ha con l’età?
«Da giovane ero ossessionato dal mio aspetto fisico. In effetti sono stato fortunato, la bellezza, la delicatezza dei lineamenti, i capelli folti mi hanno molto aiutato. Però tutto sfiorisce. Da un certo momento ho smesso di pensarci, oggi non mi guardo nemmeno più allo specchio».

In passato ha detto più volte di essere timido. Lo è ancora?
«A 65 anni si è troppo vecchi per essere timidi».

Cosa sta girando adesso?
«The Death of Wagner, diretto da Daniel Graham. Sono sul set a Venezia, nei panni del musicista nei suoi ultimi anni di vita in Laguna. È un ruolo stimolante, ma davvero difficile»

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