La “Bela Rosin”: la Sposa Morganatica del 1° Re d’Italia che non divenne mai Regina – Vanilla Magazine

La “Bela Rosin”: la Sposa Morganatica del 1° Re d’Italia che non divenne mai Regina

Rosa Vercellana – colei che era destinata a diventare la moglie morganatica del primo re d’Italia – inizialmente parve solo una delle tante bellezze del popolo che Vittorio Emanuele II era solito incontrare, magari al rientro da una battuta di caccia, nel corso di una sosta nei borghi del natio Piemonte. In occasioni del genere, al futuro sovrano piaceva mescolarsi alla gente e distribuire sigari e complimenti alle giovinette del luogo, vestite a festa con l’abito elegante riservato alla messa domenicale.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Sotto, Vittorio Emanuele II:

La “bela Rosin”, come verrà poi chiamata dai piemontesi, aveva solo 14 anni quando, nel 1847, attirò l’attenzione del principe ereditario del Regno di Sardegna, e la sua rigogliosa, precoce bellezza mediterranea, dai bei tratti regolari e dalla folta, superba capigliatura bruna, non passava di certo inosservata nelle zone vicine al castello di Racconigi dove si era trasferita al seguito del padre, che dirigeva il presidio militare della tenuta di caccia sabauda.

Ritratto della Bela Rosin:

Le circostanze dell’incontro con Vittorio Emanuele risultano controverse, ciò che è certo però è che Rosa conquistò subito il cuore del Savoia, cui diede una figlia, Vittoria, l’anno seguente.

Nel Regno di Sardegna, l’intrattenere rapporti sessuali con ragazze di età inferiore ai 16 anni era un reato sanzionato con durezza; inoltre l’erede al trono, che aveva 27 anni al momento dell’incontro con la Rosin, era già sposato con l’austriaca Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena ed era padre di quattro figli.

Sotto, Rosa Vercellana in una fotografia d’epoca, fonte Wikipedia:

Ciononostante l’unione dei due, basata evidentemente su di un sentimento autentico, durò tutta la vita, sfidando le differenze di rango sociale, le ostilità della corte e la frequenza delle avventure sentimentali allacciate da Vittorio Emanuele, avventure occasionali coronate da un numero davvero impressionante di figli illegittimi.

Con i suoi modi schietti e con la sua rustica bellezza, infatti, la giovane era probabilmente molto più affine di quanto potesse a prima vista apparire alla sensibilità del sovrano, cresciuto in un ambiente affettivamente distaccato, le cui maniere spicce ed i modi bruschi e militareschi, uniti alla galanteria, avevano guadagnato da sempre le simpatie popolari.

Se i rampolli delle antiche famiglie imperiali dilapidavano infatti intere fortune nelle stazioni termali di mezza Europa con avventuriere che comparivano puntualmente nelle cronache scandalistiche della seconda metà dell’Ottocento, Vittorio Emanuele mantenne invece sempre un improbabile felice equilibrio tra la sua famiglia ufficiale e quella ufficiosa con la Vercellana, per i cui figli risultò sempre un padre affettuoso, presente e premuroso.

Il precario equilibrio parve venir meno in due occasioni: la prima fu quando la famiglia di lei sollecitò il sovrano ad assegnarle una liquidazione, affinchè potesse rifarsi una vita sposando un militare di carriera. La risposta non si fece attendere ed il malcapitato potenziale pretendente fu spedito in Sardegna, mentre la bela Rosin fu sistemata in fretta e furia a Torino, in modo che Vittorio Emanuele potesse farle visita non appena gli impegni glielo consentissero.

La seconda occasione si presentò quando la consorte morì, nel 1855, ed il sovrano si ritrovò a rivestire il ruolo di partito matrimoniale appetibile a molte dinastie europee.

Sotto, il letto a baldacchino di Villa Petraia, fonte immagine Wikipedia:

Fonte immagine Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 3.0

Vittorio Emanuele era infatti ormai a capo di un piccolo stato, che tuttavia stava acquisendo un sempre maggiore prestigio internazionale a seguito del vittorioso coinvolgimento del Piemonte nella guerra di Crimea voluta dal Cavour.

Malgrado gli allettanti vantaggi di un’alleanza dinastica, il sabaudo si mostrò tuttavia sempre insensibile ad ogni proposta di contrarre nuove nozze, resistendo anche alle insistenze dei suoi consiglieri.

Nel 1858 il sovrano, nominò Rosina contessa di Mirafiori e di Fontanafredda, titolo che ella trasmise ai figli Vittoria ed Emanuele Alberto.

Nel 1863 la Rosin si trasferì in quella che fu sempre la residenza preferita dalla coppia, ovvero negli Appartamenti Reali di Borgo Castello, nell’attuale Parco regionale La Mandria, in cui Vittorio Emanuele, che aveva sempre preferito la caccia ed il rigore della vita militare alla vita di corte, trascorreva lunghi periodi in compagnia della Vercellana che era, peraltro, un’ottima cuoca, che sapeva prendere il compagno “per la gola” preparando gustosi manicaretti innaffiati dai corposi e nobili vini locali.

Solo qualche anno dopo, nel 1864, la Rosin seguì il re a Firenze, stabilendosi nella villa La Petraia. Nel 1869 il re si ammalò e, temendo di morire, la sposò con un matrimonio morganatico, ovvero con un’unione legale in cui né la sposa, né i figli nati dal matrimonio possono avanzare alcuna pretesa sui titoli e sulle proprietà del consorte. Il rito religioso si tenne il 18 ottobre di quell’anno, seguito anche dal rito civile, celebrato successivamente

Vittorio Emanuele spirò a 58 anni, nel 1878. La bela Rosina non divenne pertanto mai regina d’Italia

Nella seconda metà del XIX secolo, i Savoia erano diventati infatti l’unica dinastia ad imporsi nella penisola, attirandosi àsti ed inimicizie sia dagli ambienti romani – Vittorio Emanuele II aveva ricevuto la scomunica da Pio IX per la presa di Roma – sia da quelli aristocratici e repubblicani, pertanto un matrimonio “irregolare”, come quello con la Vercellana, avrebbe prestato il fianco ad acerrime critiche.

La contessa di Mirafiori, al secolo la bela Rosin, dovette quindi accontentarsi di trascorrere gli ultimi, pochi anni di vita in maniera defilata, a Pisa, dove morì nel 1885. Quegli anni d’altronde furono considerati da lei solo come un’inutile attesa della morte, dopo la perdita del proprio compagno di vita.

I Savoia vietarono che la Rosin fosse seppellita nel Pantheon, non essendo mai stata proclamata regina; per questo motivo, provocatoriamente, i figli fecero edificare a Torino Mirafiori Sud una copia del Pantheon in scala ridotta, quello che poi divenne famoso come il “Mausoleo della Bela Rosin”, che fu profanato nel 1943 da malviventi in cerca di preziosi.

Sotto, il “Mausoleo della Bela Rosin”, fonte immagine: Wikipedia

Le spoglie della bela Rosin, mancata regina, ma certamente più cara e vicina al popolo di una vera sovrana, furono successivamente traslate nel 1972 nel Cimitero monumentale di Torino.

La sua popolarità tra la gente è testimoniata dalla canzone risorgimentale, forse a lei dedicata, dal titolo “La bella Gigogin”.

Nel 1877 la bela Rosin, come sarà sempre ricordata, aveva avuto una bella rivincita morale, vedendo pubblicata la notizia delle sue nozze morganatiche col primo re d’Italia sul prestigioso Almanacco di Gotha, che divulgava le notizie più rilevanti ed alla moda di quegli anni, segno che l’Europa era forse più pronta ad accogliere il crollo delle barriere sociali di quanto non lo fosse il suo paese di origine.


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