Riccardo Milani: “Nel cinema la mia regola è la condivisione. Il prossimo film una storia di resistenza culturale. Cortellesi? Un talento, ma con i piedi per terra” - la Repubblica

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Riccardo Milani: “Nel cinema la mia regola è la condivisione. Il prossimo film una storia di resistenza culturale. Cortellesi? Un talento, ma con i piedi per terra”

Riccardo MIlani con Antonio Albanese e Fabrizio Bentivoglio sul set di 'Grazie ragazzi'

Riccardo MIlani con Antonio Albanese e Fabrizio Bentivoglio sul set di 'Grazie ragazzi'

 

Il regista, reduce dal successo del documentario ‘Io, noi e Gaber’, è al lavoro sul nuovo progetto ‘Un mondo a parte’, con Antonio Albanese, e il suo ‘Grazie ragazzi’ è stato scelto per la copertina del dizionario Morandini. E su ‘C’è ancora domani’: “Una storia per i giovani che non conoscono le loro radici”

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Riccardo Milani ha molto da festeggiare. Il suo Io, noi e Gaber è stato il film evento più visto dell’anno ed è appena tornato in sala (da non perdere). Grazie, ragazzi è stato scelto per la copertina della nuova edizione del prestigioso Dizionario dei film e delle serie televisive Morandini e il primo assaggio del nuovo film, Un mondo a parte, ancora con Antonio Albanese, affiancato stavolta da Virginia Raffaele, è stato accolto da una standing ovation dagli esercenti alle scorse Giornate professionali di Sorrento. Ne parliamo al telefono con il regista mentre è zavattinianamente in viaggio, tra metropolitana e trenino, per Roma: “Mi piace prendere i mezzi pubblici, lo faccio da sempre e, malgrado qualche disservizio, funzionano”.

La copertina del nuovo "Morandini" con la foto di 'Grazie ragazzi' di Riccardo Milani

La copertina del nuovo "Morandini" con la foto di 'Grazie ragazzi' di Riccardo Milani

 

Che significa essere sulla cover del Morandini?

“Sono orgoglioso della copertina, anche se il mio primo referente è sempre il pubblico, faccio questo mestiere per parlare alle persone. L’ho sempre pensato. Quale autore, anche il più colto, esclusivo, intimista, non è contento che in sala vadano in tanti a vederlo? Poi i parametri della qualità non li stabilisce nessuno, ognuno ha i suoi. Il cinema è meraviglioso, è la mia vita, ma appartiene a tutti noi. Ciascuno ha la propria visione delle cose”.

Sfogliando questi volumi rileggi e riscopri anche film apparentemente dimenticati, oltre al giudizio sull’immediato.

“Sì, ed è anche bello vederli anno per anno. Il Morandini, come il Mereghetti, con i loro volumi danno il senso della storia che passa, anche di come i decenni sono stati caratterizzati da alcuni film, da una certa cinematografia, tendenza. Ci sono pellicole che raccontano bene alcuni anni della nostra vita”.

Antonio Albanese e Paola Cortellesi in 'Come un gatto in tangenziale'

Antonio Albanese e Paola Cortellesi in 'Come un gatto in tangenziale'

 

Il suo rapporto con i critici? Capita che un film non sia accolto bene.

“Capita, certo. Ma io voglio fare il cinema che piace a me, non mi posso preoccupare di altro. Ho il mio modo di affrontare le cose, non è detto che ci sono regole scritte che fanno un film migliore di altri. Io seguo la mia strada, che spesso è legata al pubblico e voglio che sia così. Mi piace guardarmi dentro, ma solo per parlare agli altri, non per far vedere quanto sono bravo, Cerco di raccontare una storia nel modo più emotivo, divertente, completo. Da spettatore non ho mai diviso il cinema in commedia o dramma o generi. I film sono belli o brutti, in modo molto elementare. Ci sono film che restano, altri che non lasciano nulla. Mii piace vedere la sincerità, la passione, capire che c’è una motivazione forte nell’affrontare le cose. Penso che sia una cosa bella avere passione, conservarla nella vita, esprimerla attraverso film o libri. Quello è un parametro che mi fa apprezzare le cose”.

A proposito di passioni, il Gaber che lei porta sullo schermo è un artista che ha seguito la sua fino alla fine, con la voglia di dire cose scomode. “Io, noi e Gaber” è un film che racconta questo, e consegna un finale che ci racconta come un artista sconfigga il tempo.

“Questo è il senso del film, Gaber è ancora con noi, ci parla ancora. Ha sempre scritto, detto, cantato delle cose in cui credeva. A volte anche pagando prezzi alti. Se un conduttore tv popolarissimo abbandona tutto perché vuole fare altro, già lì si intravede qualcosa di condivisibile, apprezzabile. E poi io ero tra quelli che seguivano ogni anno i suoi spettacoli, parliamo degli anni Settanta. Era un uomo di grande carisma, passione, sincerità. Ne apprezzavi l’onestà, anche quando le parole erano schiaffoni, motivo di divisioni e spaccature, in quegli anni. Perché ci ha detto con chiarezza e lucidità “siete moda, non siete più la passione che eravate prima, siete diventati un’altra cosa”.

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Questo ha creato un problema, io ero al Trianon di Roma quando fu contestato duramente. Ricordo che uscì fuori – fu l’unica volta in cui lo vidi non sul palco, aprì una tenda nel foyer del teatro per capire cosa stesse succedendo. C’era la polizia fuori. E invece lui aveva ben chiaro cosa fosse il potere, era un momento di contraddizione lacerante, ma seppe mantenere la sua coerenza. Aveva cose da dirci e ce le ha dette. Sapeva indignarsi, cosa che oggi abbiamo totalmente sopito. Ci siamo abituati al peggio, lui no. Ha sempre detto le cose quand’era il momento dirle, con rabbia, mai con violenza, con un urlo che era passione civile. Un uomo di un carisma così non si trova adesso, anche cercando tra i leader. Non c’è nessuno che abbia il coraggio di dire le cose come stanno, si fanno molti calcoli, si cercano soluzioni che ti lascino larghi spazi. Si ha meno la voglia di indignarsi per le cose del mondo. I ragazzi alle proiezioni ci hanno detto “noi non abbiamo riferimenti così, siete stati fortunati”. È vero anche che l’abbiamo sottovalutato: allora, forse, essere gaberiani significava qualcosa di più che apprezzare un cantante. Lui per me era un intellettuale di grande apertura, una testa alta ma capace di parlare a tutti. Come forse dovrebbero essere gli intellettuali veri. Uno che rischia sulla propria pelle, come faceva lui, un gigante. A vent’anni dalla sua morte uno lo ascolta e dice “senti quanto è vivo”, Sono stati pochissimi a farlo, lui nella musica e Pasolini nella letteratura, nella poesia”.

Giorgio Gaber

Giorgio Gaber

 

A Sorrento c’è stata una standing ovation per i minuti presentati di “Un mondo a parte”, con due maestri in lotta per una classe di bambini in una scuola nel Parco Nazionale d’Abruzzo che rischia la chiusura per mancanza di iscrizioni.

“Abbiamo portato un blocco di pochi minuti che però rappresentasse il cuore del film. Due maestri elementari che cercano di salvare una scuola con sette alunni. Una storia che conosco bene, conosco il territorio e so la fatica che fanno quei maestri. Centinaia di migliaia di chilometri macinati ogni giorno per andare a insegnare in più scuole. So quanto quelle comunità tengano a loro stesse, cercando di proteggersi e quindi anche superando difficoltà, barriere ideologiche, appartenenza. Eticamente è una cosa enorme: riescono a fare quello che in via ufficiale non sarebbe possibile. Ci sono regole non scritte, che fanno in modo che le comunità restino in piedi. Ma poi negli anni vedi queste comunità svuotarsi, assisti con dolore al pericolo in cui versa un pezzo di cultura del nostro Paese, schiacciata e omologata. Ho fatto un sopralluogo in una scuola abbandonata da dieci anni, e lì è scoccata la scintilla. C’è molto da imparare da questa gente. È un film che ho fatto con rispetto e sincerità, forse da quei minuti a Sorrento è uscito questo. Quell’applauso che non finiva mai ci ha imbarazzato. Ma con Antonio Albanese e Virginia Raffaele sappiamo con quanta fatica abbiamo lavorato quei tre mesi, nella neve, nel gelo. Abbiamo anche raccontato la fatica e la scomodità di vivere in un posto così. È un film che in qualche modo esalta quella scomodità. Che fa mantenere viva anche la cultura di una quotidianità che può essere faticosa, ma che appartiene a tutti noi”.

La scuola, con la sanità pubblica affrontano tagli e rischi. Eppure, sono i pilastri della società.

“Aggiungerei anche un terzo elemento, la cultura. Però le posso dire che c’è un segnale. Il gradimento rispetto al mio Gaber e il successo enorme di Paola con C’è ancora domani, ci raccontano, con le loro tematiche che riconducono alla passione civile, che dentro di noi - anche se sopiti - passione civile e senso etico ci sono ancora. E ogni volta in cui c’è una scintilla a cui aggrapparsi, questo sentimento esce fuori in modo vitale, prepotente. Senti che c’è una partecipazione, lo vedi in sala: i numeri di Paola sono straordinari. La gente ha necessità di vedere che c’è un segnale, intercettarlo è un dovere di tutti, in questo momento. Esiste un Paese che ha voglia di una normalità fatta di regole, etica, rispetto per le persone. Sono segnali importanti che vanno colti”.

“C’è ancora domani” sfiora i 30 milioni, il prossimo traguardo è arrivare agli incassi di “Barbie”. Lei il film di Gerwig lo ha visto?

“Si e mi è piaciuto molto. È un film sui cui nostra figlia, ma anche le mie più grandi, hanno riflettuto. Dà spazio alla riflessione alta, non è solo marketing. È incoraggiante che ci siano due operazioni così diverse ma con un dato comune: affrontare temi importanti, vale per il nostro Paese e per il mondo”.

Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea in 'C'è ancora domani'

Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea in 'C'è ancora domani'

 

Anche la reazione americana a “C’è ancora domani” ci racconta qualcosa.

“E’ un segnale importante. Perché il film di Paola racconta un pezzo di Storia, in cui gli americani son anche coinvolti, e la rivitalizza. Racconta le radici, che spesso non conosciamo, non le conoscono i nostri ragazzi. E’ un film che vanno a vedere i ragazzini e scoprono un Paese che non conoscono. Forse anche noi genitori abbiamo fatto come faceva mio padre, cercare di evitarmi il dolore. Perciò non mi raccontava le cose che avevano passato sotto la guerra, lui e mamma, i sacrifici che avevano fatto. A un certo punto ho iniziato a chiedere. E ora succede la stessa cosa, i ragazzi vedono, chiedono: credo che sia una grande operazione culturale da questo punto di vista”.

Paola Cortellesi e Riccardo Milani

Paola Cortellesi e Riccardo Milani

 (fotogramma)

Con Paola Cortellesi, da “Il posto dell’anima”, a “Come un gatto in tangenziale” e “Cosa ci dice il cervello”, avete lavorato molto insieme. Farete un altro film? O comunque condividete tutto anche quando i vostri progetti sono separati?

“Del suo film non sapevo nulla, non avevo letto la sceneggiatura, sapevo che era un film d’epoca e conosco la passione di Paola per le storie delle nostre madri e nonne, che sono state consulenti per quegli anni. E’ stato emozionarlo vedere il montaggio del film, lo scorso giugno. Ho avuto subito la percezione che fosse un grande film, anche se nessuno avrebbe potuto prevedere l’entità del successo. Paola, con le sue radici periferiche, Casal Lumbroso, è un talento vero, ma con i piedi per terra. Ha fatto un film importante, che resterà come riferimento. Quanto a un progetto insieme…bisogna chiedere alla nostra ‘Garbo dell’Aurelia’...”.

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