FRANCHETTI, Raimondo in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

FRANCHETTI, Raimondo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRANCHETTI, Raimondo

Francesco Surdich

Nacque a Firenze il 31 genn. 1889 dal barone Alberto, compositore, e da Margherita Levi, figlia di Arnoldo, costruttore dell'acquedotto di Reggio Emilia, dove il F. trascorse l'infanzia insieme con i fratelli Guido e Maria. Compì i suoi studi prima a Firenze, poi al collegio "Longoni" di Milano e, infine, in un collegio militare. Nel 1907 si recò nell'America settentrionale, per la caccia all'orso bruno nelle Montagne Rocciose.

Dopo essere rientrato in Italia, per compiere il servizio militare, riprese a viaggiare nel 1910, recandosi a novembre in Malesia.

Qui, mentre su una giunca manovrata da marinai cinesi si stava recando da Singapore a un'isola dell'arcipelago della Sonda, avendo dato ordine di gettare in mare tutti quelli che erano stati colpiti da un'epidemia provocata dai suini presenti a bordo, fu abbandonato dall'equipaggio presso una tribù di pigmei, con cui visse undici mesi. Rientrato nel maggio 1911 a Singapore, nello stesso anno si recò nella Cina, ove era in atto la rivolta nazionalista di Sun-Yat-sen.

Tra il 1912 e il 1914 fu in Africa, dove percorse il Sudan sino al Nilo Superiore, esplorando accuratamente il territorio del Bahr el-Ghazal.

In questo periodo prese parte a numerosi safari, dai quali riportò in patria svariati trofei d'animali, in seguito donati al Museo civico di Reggio Emilia, dove furono poi allestite due sale a lui dedicate: una riguardante i materiali di interesse zoologico, l'altra quelli d'interesse etnografico (questi ultimi relativi ai Moï dell'Annam, ai Meru-Kikuiu dell'Africa orientale e agli Scilluk del Sudan).

Allo scoppio della prima guerra mondiale il F. partì volontario; inserito nel reparto degli addetti alle automitragliatrici blindate, nel 1915 fu inviato al fronte ove si segnalò in alcune coraggiose azioni: tra le altre quella compiuta a Rubbio dove, nell'agosto del 1916, ruppe con la sua automitragliatrice un accerchiamento austriaco, portando in salvo il generale R.A. Bonaini. Alla conclusione del conflitto rimase in attività di servizio a Innsbruck fino al giugno 1919.

Nel 1920 sposò la contessa Bianca Rocca di Venezia da cui ebbe quattro figli, chiamati con i nomi legati alle sue esplorazioni in Africa: Simba, Lorian, Nanucki e Afdera.

Nel 1921 il F. visitò il Kenia, dove conobbe il duca Amedeo d'Aosta, l'Uganda e l'Etiopia meridionale, da dove si recò a piedi in Somalia, riportando in patria una serie di dati e informazioni relativi a quelle terre che gli valsero la nomina a socio d'onore della Società geografica italiana. Presentò pure un rapporto al ministero delle Colonie, sostenendo che non sarebbe stato opportuno accettare, col trattato di Versailles, la parte dell'Oltre Giuba che era stata offerta come compenso dagli Inglesi dal momento che si trattava di un territorio completamente arido.

Come ha sottolineato Del Boca (p. 148), il F. cominciò a porre in questo modo le premesse di una sua "esclusiva, spericolata e brutale" azione politica nei confronti dell'Etiopia, "che infastidisce il personale degli Esteri, non coincide sempre con quello delle Colonie, ma trova l'appoggio costante e la preziosa copertura di chi in Italia dice l'ultima parola, cioè Mussolini", il quale "lo utilizza in un gioco al di fuori di ogni regola, qualche volta all'insaputa dei ministeri competenti o addirittura contro di essi, per far esplodere contraddizioni, esercitare stimoli, mettere tutti davanti ai fatti compiuti".

Prese allora a interessarsi al progetto di acquisire all'Italia una parte del territorio etiopico che permettesse di collegare la Somalia all'Eritrea, progetto che iniziò a concretizzarsi nel 1927, quando il F. espose all'allora reggente negus Tafari Makonnen la sua idea di esplorare la Dancalia etiopica con l'obiettivo dichiarato di accertarne le risorse minerarie, riuscendo a ottenere la promessa verbale che il permesso di esplorazione sarebbe stato concesso a condizione che il negus venisse esonerato da qualsiasi responsabilità per le condizioni di precaria sicurezza della regione. Il F. veniva però autorizzato a premunirsi direttamente contro i rischi e a farsi scortare da un'adeguata forza armata da lui arruolata; si assicurava inoltre che sarebbero stati impartiti ordini precisi a tutti i capi interessati a questo territorio perché facilitassero il compito della missione.

Per preparare la spedizione il F., all'inizio del 1928, compì, insieme con la moglie, un viaggio attraverso l'Etiopia, risalendo il Goggiam verso il Nord fino all'Eritrea, dove a Debra Marcos incontrò il ras Hailù, figlio naturale del negus Tecla Haimanot, allora in competizione col reggente Tafari Makonnen, cui assicurò l'appoggio del governo italiano. Ottenuto il permesso di recarsi in Dancalia, limitato però a tre anni di permanenza e soltanto per la ricerca del petrolio, il F. partì da Napoli il 7 ott. 1928 sul piroscafo "Mazzini" alla volta di Gibuti, per raggiungere poi in ferrovia Addis Abeba e consegnare un'alta onorificenza al negus, da cui ricevette tre lettere per i capi abissini dell'altopiano e una per il sultano dell'Aussa.

Composta da una dozzina di italiani, coadiuvati da un centinaio di indigeni e da due guide dancale e dotati di trenta cammelli da trasporto e sedici muletti da sella, il 24 novembre la spedizione poteva mettersi in marcia da Assab alla volta di Gaharrè, situata sull'omonimo torrente a circa 100 km a nordovest di Assab, passando attraverso una zona in gran parte desertica. A Gaharrè fu però costretta a sostare a lungo per l'ostilità dei sultani dell'Aussa e del Birù; per assicurarsi i rifornimenti, fu costruita una pista camionabile di circa 60 km, da Gaharrè ad Assab, che venne aperta ufficialmente in febbraio, assicurando così all'Etiopia uno sbocco al mare verso Assab.

Ripresa finalmente la marcia il 3 marzo 1929, la carovana giunse lo stesso giorno alle sorgenti dell'Uacarì; il 4 a Siak, località situata tra il monte Godou e il monte Arelita; il 7 al passo di Abulà, che divide il monte Nabrò dal vulcano Dubbi; l'8 ai pozzi di Afammò, per toccare poi i monti Derrab, Aura, Fura e le propaggini del Gali Coma, presso il limite della depressione dove si distende il lago Afrera, che venne chiamato lago Giulietti e di cui venne esplorato il contorno.

Il 6 aprile la spedizione ripartì verso uno dei tratti della Dancalia più carenti di acqua e di vegetazione, dove il termometro arrivava talvolta a superare i 65° al sole, per raggiungere i pozzi di Mocolè e poi il torrente Erertè. A questo punto, il F. proseguì, accompagnato soltanto da un manipolo di ascari scelti, alla volta di Corbetà, importante mercato per gli scambi tra il bassopiano dancalo e l'altopiano etiopico, dove giunse il 22 aprile. Quattro giorni dopo era a Mau Ceu, dove si fermò fino al 9 maggio sia per incontrare i principali capi abissini sia per raccogliere informazioni sulle popolazioni Uoggerat-Azebò e Raia Galla.

Tornato a Corbetà, nonostante gli fosse giunto da parte del governatore dell'Eritrea, C. Zoli, l'ordine di rientrare in colonia, ripartì il 12 maggio per Al Ala, da dove la carovana piegò a sud verso il piano di Macallè per volgersi prima a levante e poi a sudest fino a Moina Agorchi, località raggiunta il 20 maggio. Da Cabele si diresse di nuovo verso sudest fino a Egreri, luogo dove nel 1881 era stata massacrata la spedizione Giulietti - Biglieri, alla cui memoria il F. fece incidere una grande lapide datata 24 maggio 1929.

Ripresa la marcia, dopo aver toccato Anderley, Orloff, Bahu, Garbu, il F. proseguì a dorso di cammello in direzione nordovest, passando a nord del parallelo di Assab, fino a Mussallé, da dove, a bordo di un autocarro, riuscì a raggiungere prima Gaharrè e poi Beylul e Assab.

Il F. era riuscito a raggiungere indenne la sua destinazione: se da questo punto di vista, quindi, la sua spedizione era stata coronata dal successo, non altrettanto può dirsi dei reiterati tentativi di contattare le forze feudali ostili al potere centrale, se si eccettuano i contatti avuti con gli Azebò e i Raia Galla, popolazione di razziatori che l'imperatore non era mai riuscito a sottomettere. Questi contatti avrebbero dato i loro frutti un anno dopo, durante la rivolta del ras Gugsa Olié, ma soprattutto agli inizi del 1936, quando quelle popolazioni si sarebbero schierate con le truppe italiane dopo la battaglia dell'Endertà, molestando le armate etiopiche in ritirata.

Una linea politica mirante a sostenere le istanze di quelle forze locali che aspiravano a mantenere una certa autonomia dal potere centrale fu perseguita dal F. anche dopo il suo ritorno in Italia, con l'appoggio del nuovo ministro delle Colonie, E. De Bono, che lo incaricò di porla subito in esecuzione sollevando malumori e dissensi soprattutto dello Zoli, governatore dell'Eritrea, il quale accusò esplicitamente il F. di superficialità e dilettantismo, e del ministro italiano ad Addis Abeba, G. Cora.

Nel febbraio del 1931 il F. presentò pertanto ai ministeri competenti un progetto col quale proponeva la costituzione di un gruppo di giovani (possibilmente ex ufficiali) da utilizzare in Etiopia per "missioni speciali", ma "in realtà per assolvere delicate missioni di indole politica" (Arch. stor. del Ministero degli Affari esteri, Etiopia, b. 5, f. 10, pos. 84), e, quattro mesi dopo pubblicò sul Popolo d'Italia, rispettivamente il 6 e il 9 giugno 1931, due violenti articoli anonimi contro l'incerta e troppo cauta politica perseguita a suo parere dall'amministratore coloniale e dal ministero degli Affari esteri.

In questa direzione si colloca anche la missione che gli venne affidata nel gennaio del 1932, con l'incarico ufficiale di dar vita in Etiopia a un ente in grado di avviare un programma di penetrazione e collaborazione economica, ma con l'obiettivo reale di favorire e appoggiare una congiura contro Haile Selassiè: preparata da ras Hailù, si concluse però con l'arresto e la condanna a morte, commutata poi nella detenzione a vita e nella confisca dei beni, dei cospiratori.

Sempre per questi motivi il F. compì negli anni successivi altre missioni ufficiali in Africa; proprio nell'adempimento di una di queste morì, il 7 ag. 1935, a pochi chilometri dall'aerodromo di Almassa, nei pressi del Cairo, insieme col ministro dei Lavori pubblici, L. Razza, e cinque membri dell'equipaggio, in seguito all'esplosione in volo in circostanze mai chiarite del loro aereo, un trimotore militare italiano "S 81" diretto all'Asmara.

Le sue spoglie, tumulate per sua volontà nel cimitero di Assab, quando questo fu dismesso per ragioni urbanistiche furono traslate nel cimitero italiano di Massaua (1971).

All'inizio del 1930 il F. aveva pubblicato, sotto gli auspici della Società geografica italiana, nella collana "Viaggi" della casa editrice Mondadori, il resoconto della sua spedizione al quale avrebbe dovuto far seguito una pubblicazione, che non vide mai la luce, contenente i principali risultati scientifici. Questo testo, corredato da 200 fotografie e da una carta a scala 1:400.000 che illustrava con precisione anche zone fino ad allora inesplorate o note solo in maniera approssimativa, era stato redatto per la prima parte (i primi sedici capitoli) utilizzando i diari dei diversi membri della spedizione, mentre la seconda parte comprendeva il testo integrale del diario tenuto dal F. durante la fase conclusiva dell'impresa. Di quest'opera, dopo la morte del F., apparve una seconda edizione con una prefazione di C. Zoli (Milano 1935).

Altri scritti del F. sono: Viaggio d'esplorazione della Dancalia, in Boll. della Soc. geogr. italiana, s. 6, VII (1930), pp. 104-112; L'Abissinia, in Realtà. Riv. rotariana, 1° ott. 1930, pp. 356 ss.; Possibilità di espansione economica della nostra colonia Eritrea…, Treviso 1931. Una sua lettera, inviata a Leopoldo Traversi il 17 genn. 1930, è pubblicata nella prefazione al libro di L. Traversi, Let-Marefià, Milano 1931, pp. XIII-XV.

Fonti e Bibl.: Documenti relativi al F. sono reperibili a Roma nell'Archivio del ministero degli Affari esteri e nell'Archivio della Società geografica italiana (fondo Archivio amministrativo, busta 76, fasc. 5; busta 88, fasc. 7/b; busta 124, riservato N bis, fascc. 1-2). Nella Biblioteca comunale di Reggio Emilia si conservano due lettere del F. indirizzate rispettivamente a Virginia Guicciardi e a Naborre Campanini, mentre nelle filze dedicate ai Musei civici dell'Arch. comunale di Reggio Emilia (cl. 13.7.5.2) sono reperibili documenti relativi alle collezioni etnografiche donate dal F. al Museo civico. Vedi anche: necr. in Boll. della Soc. geogr. italiana, s. 6, XII (1935), pp. 646-648; Il Lavoro, 20 ag. 1935; e inoltre C. Giardini, Italiani in Africa Orientale. Pagine di pionieri, Varese-Milano 1936, pp. 401-426; P. Gribaudi, Il barone esploratore della Dancalia, Torino 1936; P.M. Bardi, Pionieri e soldati in Africa Orientale…, Milano 1936, pp. 545-549; C. Cesari, Gli italiani nella conoscenza dell'Africa…, Roma 1938, pp. 185-189; O. Laguzzi, Pionieri dell'Impero fascista: R. F. "il Lawrence italiano", Lavagna 1938; A. Lessona, Verso l'Impero, Firenze 1939, pp. 13 ss.; C. Bertacchi, Il barone R. F. e le esplorazioni, specialmente italiane, nella Dancalia, in L'Universo, XXII (1941), pp. 5-18; P. Aloisi, Journal, a cura di M. Toscano, Paris 1957, pp. 200 s.; G. Dainelli, Esploratori ital. in Africa, Torino 1960, pp. 667-674; E. Berra, Prologo di un conflitto, Torino 1965, p. 62; A. Del Boca, Gli Italianiin Africa Orientale. La conquista dell'Impero, Roma-Bari 1979, ad Ind.; C. Bondavalli - R. Mirabile, Sulle orme del barone F., Reggio Emilia 1992; A. Brighi - A. Fariselli, La collezione etnografica Franchetti. Materiale del sudest asiatico nel Museo civico di Reggio Emilia, in Palazzo Ruini, aprile-giugno 1992, pp. 1-4.

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