Inquinamento da plastica: un trattato globale è la soluzione per salvare il pianeta? | National Geographic

Inquinamento da plastica: un trattato globale è la soluzione per salvare il pianeta?

L’idea di un trattato globale per affrontare il problema dei rifiuti di plastica sta guadagnando sempre maggiore consenso.

da Laura Parker

pubblicato 21-06-2021

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Si prevede che entro il 2040 l’inquinamento da plastica sarà triplicato e questo rende sempre più urgente trovare una soluzione a livello globale.

La comunissima busta di plastica è diventata il simbolo del crescente problema mondiale dell’inquinamento da plastica.

Tuttavia nel mondo questo diffusissimo oggetto viene definito in sette modi diversi e questo rende ancora più faticosi gli sforzi volti a ridurne la proliferazione.

Il divieto di utilizzo delle buste di plastica, così come di altri tipi di confezionamenti in plastica, è il rimedio più comunemente usato per ridurre i rifiuti di plastica. Ad oggi sono 115 le nazioni che hanno adottato questo approccio, anche se in modi diversi. In Francia ad esempio sono vietate le buste con spessore inferiore ai 50 micron; in Tunisia invece quelle di spessore inferiore ai 40 micron.

Questo tipo di differenze crea lacune e scappatoie che consentono alle buste di plastica illegali di raggiungere le bancarelle dei mercati e i venditori ambulanti. Il Kenya, che nel 2017 ha applicato il divieto più rigoroso al mondo, ha dovuto combattere con il commercio illegale di buste di plastica provenienti dall’Uganda e della Somalia. Lo stesso è successo in Ruanda.

Una simile questione formale riguarda le zanzariere che il Ruanda ha importato dagli Stati Uniti: i prodotti sono arrivati in confezioni di plastica non indicanti la composizione chimica del contenuto – che non è stata comunicata neanche dietro richiesta esplicita di un’azienda di riciclaggio ruandese – e questo li ha resi non riciclabili.

Per le aziende globali come Nestlè che vende prodotti alimentari in 187 Paesi, questo significa dover garantire la conformità a 187 quadri normativi diversi, in merito alle confezioni di plastica.

Questi sono solo tre esempi di centinaia di casi di politiche contraddittorie, incongruenze e mancanza di trasparenza che caratterizzano il commercio globale della plastica e rendono difficile tenere sotto controllo il sempre maggiore accumulo di rifiuti di plastica. Non solo le definizioni cambiano da Paese a Paese ma mancano anche delle regole globali per procedure (come ad esempio stabilire quali materiali plastici possono essere abbinati in uno stesso prodotto) e questo può creare labirinti inestricabili per le attività di riciclaggio. Inoltre non esistono metodi internazionalmente riconosciuti per misurare la quantità di rifiuti di plastica che finiscono nell’ambiente. Senza standard di riferimento uniformi né dati specifici, qualsiasi attività mirata a risolvere il problema diventa sostanzialmente impossibile.

Ma una svolta in positivo potrebbe essere vicina: l’idea di un trattato globale per affrontare il problema dei rifiuti di plastica sta guadagnando sempre maggiore consenso. Almeno 100 nazioni si sono già espresse a favore di un trattato sulla plastica, e quelle già impegnate in discussioni preliminari sono fiduciose che verrà presto approvato un accordo che riuscirà a fare la differenza, così come nel 1987 il protocollo di Montreal segnò una svolta nella tutela dell’ozono stratosferico.

“In sostanza, se non potranno contare su una partnership e un quadro di riferimenti internazionali, i governi non saranno in grado di adottare misure incisive, quindi ogni sforzo risulterà vano”, afferma Hugo-Maria Schally, capo dell’Unità di cooperazione ambientale multilaterale della Commissione Europea. “Si tratta di un problema concreto che richiede una soluzione concreta, e la soluzione è un accordo globale”.

Il messaggio di Schally al settore è diretto: “Potete collaborare con le politiche pubbliche mirate a rendere la plastica sostenibile, facendo quindi parte della soluzione al problema, oppure potete adottare un atteggiamento difensivo, diventando parte del problema”.

Impennata nei rifiuti

La principale argomentazione contraria alla redazione di un trattato da parte delle Nazioni Unite e dei suoi 193 Stati membri è che le necessarie negoziazioni potrebbero protrarsi per un decennio o più e, sul tema della plastica, il tempo a disposizione è rimasto poco. 

Ogni anno vengono creati 275 milioni di tonnellate di nuovi rifiuti di plastica. Ad oggi il 75% di tutta la plastica prodotta al mondo è diventata un rifiuto e si prevede che la produzione triplicherà entro il 2050. Una nuova ricerca di quest’anno calcola che anche l’accumulo di rifiuti di plastica negli oceani triplicherà entro il 2040 arrivando a 29 milioni di tonnellate all’anno. 

Con numeri come questi, non sorprende che nessuna delle nazioni principalmente responsabili della presenza di rifiuti di plastica nell’ambiente non siano state in grado di controllare e gestire la loro spazzatura. E anche se i trattati globali sono accordi che richiedono tempistiche lunghe, nessuna questione ambientale di questa entità è mai stata affrontata diversamente. 

L’inquinamento da plastica è un tema presente sull’agenda delle Nazioni Unite dal 2012. Nel 2019, in occasione dell’ultima riunione dal vivo dell’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite a Nairobi, la discussione sui rifiuti di plastica è stata ostacolata principalmente dagli Stati Uniti che si sono opposti a un trattato vincolante. L’unico accordo cui si è giunti è stato quello di continuare a discutere sulla questione.

Nel corso degli ultimi dieci anni le cose sono sensibilmente cambiate. “Nel 2015 nessun Paese aveva espresso il proprio interesse nella realizzazione di un trattato globale”, afferma Erik Lindebjerg, che sta capeggiando la campagna del WWF contro i rifiuti di plastica da Oslo. Lindebjerg ha contribuito a supervisionare la pubblicazione di The Business Case for a UN Treaty on Plastic Pollution (Il caso aziendale per un trattato ONU sull’inquinamento da plastica, NdT), una relazione preparata in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation, che indica in dettaglio il modo in cui un trattato potrebbe risolvere una serie di problemi aziendali. “In un certo senso abbiamo raggiunto un punto di saturazione quindi improvvisamente l’impatto è visibile ovunque”.

Anche il settore dell’industria ha cambiato la sua posizione oppositiva.  

“Abbiamo cambiato la nostra posizione perché è cambiata la situazione”, afferma Stewart Harris, dirigente dell’American Chemistry Council (ACC) parlando a nome del Consiglio Internazionale delle Associazioni Chimiche, un’associazione globale di categoria di cui l’ACC fa parte. 

“Ci preoccupava l’aspetto vincolante di un trattato globale. Non ci siamo sentiti pronti per un impegno simile, al tempo”, continua. “Ora le cose sono cambiate. Ora riteniamo che uno strumento globale sia necessario per aiutarci a eliminare i rifiuti presenti nell’ambiente e aiutare le aziende a raggiungere obiettivi di autoregolamentazione”.

Cosa c’è sul tavolo delle trattative 

Le discussioni preliminari sono già in corso e puntano tutte sul prossimo incontro dal vivo che avverrà a Nairobi in occasione del quale si spera di raggiungere un accordo per procedere verso la stesura di un trattato.

I Paesi scandinavi da sempre presentano il tema dei rifiuti di plastica, con in testa la Norvegia, attuale presidente dell’Assemblea delle Nazioni Unite. Ma anche altri gruppi di nazioni si sono riuniti per portare avanti la discussione. Ecuador, Germania, Ghana e Vietnam hanno già partecipato a svariate sessioni di incontri e un’altra è già pianificata per settembre. Le piccole nazioni insulari, inondate dai rifiuti di plastica che le correnti riversano sulle loro coste e che hanno più da perdere in termini di conseguenze del cambiamento climatico, hanno portato avanti trattative preliminari per conto proprio.

L’obiettivo generale di questi incontri preliminari è quello di definire una data entro la quale eliminare lo sversamento di rifiuti di plastica negli oceani. I restanti punti in agenda si concentrano su quattro tematiche: la realizzazione di una serie di definizioni e standard armonizzati mirati ad annullare le incoerenze come ad esempio le diverse definizioni di busta di plastica; il coordinamento di target e progetti nazionali; un accordo su come vengono riportati standard e metodologie e la creazione di un fondo per realizzare strutture di gestione dei rifiuti dove sono più necessarie, nei Paesi meno sviluppati.

Christina Dixon, oceanografa presso l’Environmental Investigation Agency, un’organizzazione ambientale non profit con base a Londra e Washington, afferma che i metodi esistenti per la gestione del mercato della plastica non sono sostenibili. “Dobbiamo trovare il modo di guardare alla plastica da un punto di vista globale. Abbiamo un materiale che sta inquinando l’ambiente nell’arco di tutto il suo ciclo di vita e in tutti i Paesi del mondo. Nessun Paese è in grado di affrontare il problema da solo”.

Il potere dell’opinione pubblica e del dibattito

Anche l’opinione pubblica sta spingendo per un cambiamento. L’inquinamento da plastica è considerato uno dei tre maggiori problemi ambientali, insieme al cambiamento climatico e l’inquinamento delle acque, secondo un sondaggio del 2019 incluso nel report del Business Case per il trattato ONU. I giovani attivisti che sono scesi in piazza nel 2019 per protestare contro la scarsa attenzione rivolta al clima sono sensibili al problema dei rifiuti di plastica. Diversi studi del settore indicano che la generazione Z e i millennial stanno chiedendo ai produttori di beni di consumo di attuare pratiche sostenibili.

E poi c’è l’aspetto semplice ma non scontato che le parti contrapposte stanno ora dialogando tra loro. 

Nel 2019 Dave Ford, ex dirigente pubblicitario la cui azienda accompagnava leader aziendali in costosi viaggi in Antartide, Africa e simili destinazioni esotiche, ha deciso di organizzare una crociera di quattro giorni dalle Bermuda al Mar dei Sargassi con incontri e occasioni di confronto che ha riunito 165 persone operanti nel settore dei rifiuti di plastica. La lista dei passeggeri andava dai dirigenti di Dow Chemical a Greenpeace. In una mossa pensata per ottenere la massima visibilità, un attivista di Greenpeace ha condiviso l’alloggio con un dirigente di Nestlé creando quello che a bordo è stato soprannominato il momento “A letto col nemico”. 

La tattica ha funzionato: molti dei partecipanti alla crociera si stanno ancora confrontando tra loro e le tensioni tra le parti si sono allentate. Ford ha poi fondato la Ocean Plastics Leadership Network reclutando altri attivisti e dirigenti del settore da coinvolgere nel dibattito.

“Quello che stiamo cercando di fare è far incontrare le parti che da sempre si trovano su fronti contrapposti con l’obiettivo di far comprendere le reciproche situazioni”, afferma Ford, “in molti casi, si può scoprire che le posizioni sono più vicine di quanto si pensi”.