“Il prete che vorrei”. Pierluigi Bersani firma un articolo sull’Osservatore Romano sui sacerdoti della sua infanzia - la Repubblica

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“Il prete che vorrei”. Pierluigi Bersani firma un articolo sull’Osservatore Romano sui sacerdoti della sua infanzia

“Il prete che vorrei”. Pierluigi Bersani firma un articolo sull’Osservatore Romano sui sacerdoti della sua infanzia
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“Una proposta inaspettata”. L’ex segretario dem ricorda il parroco e l’insegnante di religione: lo sciopero dei chierichetti, la discussioni a scuola, il legame durato fino alla fine

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Se sul ruolo dei cattolici nel Pd il dibattito è ancora aperto, sull’Osservatore Romano le porte sono aperte per Pierluigi Bersani, e per un argomento quanto mai insolito. È lo stesso ex segretario dem a spiegare su X (ex Twitter): “Una proposta inaspettata. Nella giornata delle vocazioni il direttore dell’Osservatore Romano Andrea Monda mi ha chiesto di raccontare che sacerdote vorrei. Come non rispondere?”.

Il prete nel cortometraggio

In un cortometraggio intitolato “Coupon, il film della felicità”, girato dal regista Agostino Ferrente e proiettato l’anno scorso al Festival di Torino, Bersani, nell'inusitato ruolo di attore, aveva interpretato il prete e altri sei personaggi.

Pier Luigi Bersani commesso, cassiere e prete... in un cortometraggio

Il parroco e i “diavoli neri”

“Il sacerdote che vorrei l’ho già avuto. Anzi, ne ho avuti due: un parroco e un professore di religione”, scrive Bersani. Il primo è “don Vincenzo, il parroco di una delle due parrocchie di Bettola, il mio paese, quella ‘proletaria’. Poco più di mille anime. In chiesa ancora appeso, seppur sbiadito, l’avviso della scomunica ai comunisti voluto dalla Curia di Piacenza. Alla messa domenicale, ai funerali o alle prime comunioni, sempre presenti un bel numero di comunisti”. Una piccola società sportiva di ragazzi, ricorda Bersani, “pretesero, con provocazione giovanile, di intitolarla “Diavoli neri”: ancora oggi, sul sagrato, spicca la targa dedicata al demonio. Poi una corale, buona per i canti sacri nelle funzioni solenni e per i canti popolari da portare nelle sagre paesane, nelle case di riposo e anche nei manicomi, che c’erano ancora”. L’ex segretario del Pd rievoca anche un aneddoto che ha più volte raccontato: “Quando, da chierichetto, gli organizzai contro uno sciopero dei chierichetti per una questione di equità nella distribuzione delle mance, don Vincenzo corse da mia mamma per il timore (giustificato) che mi punisse: “Cara Bruna, lo lasci stare. Ho sbagliato io”. Il giorno della mia nomina a ministro pensò di interpretare l’orgoglio del borgo suonando le campane. L’unica persona per la quale”, scrive ancora Bersani, “nel commemorarne la morte, è stato impossibile alla mia voce vincere le lacrime”.

Ora di religione e libertà

L’altro sacerdote è don Niso, “insegnante di religione in quello che allora si chiamava ginnasio. In quegli anni l’unica, assolutamente unica occasione di poter discutere in libertà: l’ora di religione. Un pretesto per cominciare: un fatto di cronaca, un problema scolastico, una frase del Vangelo. E don Niso a provocare, a sollecitare anche i più timidi a dire il loro pensiero e a stimolare perché ne avessero uno. A ruota libera per un’ora e alla fine un modo breve di tirare le fila lasciandoti un messaggio senza pretese, ma sostanziale e profondo. Quando arrivò la notizia dell’alluvione di Firenze lanciò nel liceo l’idea: perché non andiamo a dare una mano? Avevo 15 anni e ci sarei andato a piedi. Per convincere i miei a lasciarmi andare però dovetti scomodare don Niso. E poi a Firenze, lui con la tuta sempre con noi, e così l’anno dopo con l’alluvione nel Biellese”. Sacerdoti “fatti così”, conclude Bersani, che lasciavano “l’idea, per dirla con Albert Camus, che l’irreligiosità è la più grave forma di volgarità. E che sia possibile continuare a cercare”.

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