Sánchez rimonta alle elezioni in Spagna e ferma l’onda nera - la Repubblica

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Sánchez rimonta alle elezioni e ferma l’onda nera in Spagna con il suo manuale di resistenza politica

Madrid, il Primo Ministro e segretario del PSOE, Pedro Sanchez, si è recato a votare per le politiche

Madrid, il Primo Ministro e segretario del PSOE, Pedro Sanchez, si è recato a votare per le politiche

 
Il premier si era dimesso a maggio per evitare di essere logorato. Dietro nei sondaggi, risale grazie a coerenza e al nuovo alleato Sumar
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MADRID — Uno specialista nell’arte della sopravvivenza, capace di tenere testa ai nemici esterni come agli avversari interni al suo stesso partito, che più di una volta hanno cercato di fargli lo sgambetto. Una capacità di cui Pedro Sánchez è ben cosciente, tanto da teorizzarla, già quattro anni fa, nel libro autobiografico Manuale di resistenza.

Un testo che, anche in queste settimane, molti hanno ricordato per mettere sull’avviso chi dava ormai per politicamente morto il leader socialista, in netto svantaggio in tutti i sondaggi. Ma già la sua scelta di convocare a sorpresa elezioni anticipate dopo il magro risultato delle amministrative del 28 maggio — coraggiosa o suicida secondo i punti di vista — era frutto di un freddo ragionamento che, alla fine, ha pagato.

Sánchez era convinto che fosse troppo rischioso attendere novembre, conclusione naturale della legislatura, perché il Partito Popolare, rinfrancato dal successo alle comunali e regionali, avrebbe fatto di tutto per logorarlo con un crescendo di attacchi. Ma soprattutto era preoccupato dall’eccessiva frammentazione del blocco politico alla sua sinistra, e dalla crisi nei rapporti con Podemos, suo principale alleato di governo. L’urgenza della formazione delle liste ha costretto il partito fondato da Pablo Iglesias a mettere da parte le polemiche e a unirsi al nuovo movimento Sumar guidato da Yolanda Díaz, la vicepremier e ministra del Lavoro che è stata capace di creare una ragionevole amalgama tra i rivoli del progressismo alla sinistra del Psoe. La vera mossa vincente, che esalta nuovamente le capacità tattiche del premier.

Quando si affacciò per la prima volta alla politica nazionale — dopo un’esperienza da consigliere comunale di Madrid e con una formazione da economista — Sánchez ebbe l’impressione di non essere preso troppo sul serio. Anzi, si sentì, “un intruso”, perché estraneo alle regole dell’apparato socialista, una corazzata con 144 anni di storia. Sembrava la sua debolezza, è stata la sua forza.

Nel 2014, quando Alfredo Pérez Rubalcaba lascia la guida del Psoe dopo la sconfitta alle Europee, si presenta alle primarie e le vince contro ogni pronostico. Fino a poche settimane prima, per la maggioranza degli iscritti, era un perfetto sconosciuto. Ma è l’unico che riesce a dare una speranza di rinascita a una formazione in grave crisi.

Due anni dopo, la battuta d’arresto. Prima fallisce il tentativo di formare un governo che avrebbe mandato all’opposizione il Pp (soprattutto per l’incompatibilità tra i due potenziali alleati, Podemos e Ciudadanos), poi, a ottobre del 2016, è costretto a dimettersi dalla segreteria del Psoe per le pressioni dei “baroni” del partito, favorevoli ad astenersi sull’investitura del popolare Rajoy alla presidenza del governo dopo dieci mesi di stallo politico. Lui aveva garantito «mai con il Pp» e mantiene la parola.

Anche questa, una rarità in politica. Lascia anche il seggio da deputato. Ma si rimette subito al lavoro: percorre palmo a palmo tutto il Paese per «sentire la voce di chi non è stato ascoltato». Gli iscritti, che a maggioranza non ne volevano sapere di accordi con il Pp. Infatti, appena otto mesi dopo essere stato defenestrato, recupera la segreteria sconfiggendo alle primarie la candidata dell’apparato, Susana Díaz.

La conquista della Moncloa avviene un anno più tardi, a giugno 2018, con una modalità anche questa inedita in Spagna: una mozione di censura al governo Rajoy, travolto dagli scandali di corruzione. L’anno successivo ci vorranno due elezioni, ad aprile e novembre, per dare vita al primo governo di coalizione della Spagna democratica: il patto è sancito da un abbraccio tra Sánchez e il leader di Podemos, Pablo Iglesias.

È l’inizio di una coabitazione difficile, ma punteggiata di successi che hanno dato un senso alla legislatura di governo progressista: dalla riforma del mercato del lavoro alle leggi sull’eutanasia e i diritti delle persone trans, le norme contro il cambiamento climatico, la legge sulla memoria democratica che consentirà di riesumare le vittime della Guerra civile. Un percorso accidentato per le due peggiori crisi degli ultimi decenni, la pandemia e la guerra in Ucraina, dalle quali l’esecutivo di Sánchez è riuscito a uscire limitando al massimo i danni e risollevando l’economia del Paese.

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