Paolo Gentiloni: “L’Italia acceleri sul Recovery, diremo sì solo a lievi ritocchi” - La Stampa

INVIATO A RIMINI. «Sulla determinazione del governo uscente a far procedere le riforme non ho dubbi, spero faccia altrettanto il nuovo…». Fiera di Rimini, ieri. Paolo Gentiloni cammina svelto verso l’auto che lo deve accompagnare al treno per Roma. Ha appena finito di parlare nel primo giorno del Meeting di Comunione e Liberazione, che mai come quest’anno sarà la vetrina della politica della prima campagna elettorale estiva della storia repubblicana. Il commissario europeo agli Affari economici aveva deciso da qualche giorno di lanciare il sasso nello stagno. Le uscite di Giorgia Meloni a proposito della necessità di rimettere mano al Recovery Plan hanno creato allarme ai piani alti di Bruxelles. L’Italia, primo destinatario dei fondi del piano, ha un’enorme mole di atti da compiere per non perdere la seconda tranche dei venti miliardi del 2022. I tempi sono strettissimi. La data cerchiata sul calendario di Palazzo Chigi è quella del 13 ottobre. Solo allora, espletate le formalità, si riuniranno le Camere per le elezioni dei due presidenti. Quanto ci vorrà da allora perché giuri il nuovo governo? E sarà in grado di rispettare la scadenza del 31 dicembre?

Per Gentiloni e Ursula von Der Leyen tanto basta per mandare un messaggio chiaro al centrodestra, e poco importa se è necessario farlo mettendo i piedi nella competizione in atto fra i partiti. Al Recovery possono essere fatte «correzioni limitate», spiega l’ex premier. Nelle ipotesi formulate da Fratelli d’Italia, una volta insediata la nuova maggioranza vorrebbe chiedere più fondi a favore delle infrastrutture energetiche, anche se dovesse imporre il rallentamento degli obiettivi della transizione verde. L’ipotesi in sé ha un fondamento logico, ma agli occhi di Gentiloni significherebbe - e lo dice apertamente - assumersi un enorme rischio. «Stiamo attraversando acque molto agitate, con inflazione alta e alti costi delle energie, ma ancora abbiamo la possibilità di scommettere sul fatto che un certo livello di crescita possa essere tenuto. E quel livello dipende dal piano delle riforme».

Ritocchi dunque, nulla di più. «Stiamo dicendo a tutti che la sfida oggi è accelerare sui piani, non ripensarli. Se c’è qualcosa di concreto da modificare, le porte a Bruxelles son aperte. Ma per cose limitate, non per ricominciare da capo un programma da cui dipende la sorte della economia europea. Possiamo discutere con i diversi governi qualche concreto aggiustamento mirato, qualcuno ce lo ha già chiesto». Mario Draghi sa che dovrà restare in sella almeno fino al Consiglio europeo del 20 ottobre, quello che discuterà un tema delicatissimo: l’introduzione di un tetto al prezzo del gas russo. Nell’apparente quiete agostana, sui tavoli delle cancellerie europee si stanno accumulando molte incognite. La prima: la strategia di logoramento di Mosca, che sta lentamente riducendo le forniture. La chiusura dei rubinetti di metano ha fatto schizzare i prezzi sul mercato libero ai massimi di sempre. Se non sarà costretto a farlo Draghi, il primo atto del nuovo governo dovrà essere un nuovo decreto per calmierare il prezzo dell’energia di famiglie e imprese. Con il passare delle settimane l’incertezza sulle forniture sta deprimendo le stime di crescita in tutta l’Unione, a partire dalla Germania, la più forte e interconnessa delle economie con quella italiana. Se non bastasse, nel frattempo arrivano segnali pessimi dagli Stati Uniti, alle prese con le conseguenze degli aumenti dei tassi di interesse.

Non appena insediato, il governo dovrà scrivere la legge di bilancio e farla approvare dalle Camere entro Natale, pena un pericoloso esercizio provvisorio.

Gentiloni, in costante contatto con Draghi, ha deciso così di mandare un messaggio al centrodestra che si può in estrema sintesi riassumere così: fate attenzione a mettere troppa carne al fuoco, anche perché il margine per nuove spese in deficit è limitato e quei venti miliardi sono una delle poche garanzie per la tenuta dell’emittente italiano sui mercati internazionali. La Meloni, che dalla crisi del governo in poi non ha mai interrotto le comunicazioni con Draghi, è consapevole del rischio, e lo si intuisce dalla risposta non polemica al commissario italiano. «Ci sforzeremo di garantire la massima continuità istituzionale», è il messaggio che filtra dal suo partito.

La natura non politica del governo uscente sarà di aiuto al centrodestra: Roberto Garofoli ha passato buona parte dell’ultimo mese a premere sui capi di gabinetto dei ministeri per far procedere i decreti attuativi del piano. Il sottosegretario alla presidenza sta scrivendo l’intervento che farà domani al Meeting, e in cui darà indicazioni su quel che resta da fare. Giovedì a Rimini sarà il turno di Draghi. Fra le questioni più delicate da portare in fondo c’è il disegno di legge concorrenza, approvato a fatica dalle Camere dopo la caduta del governo. A Bruxelles sono pronti a concedere alla nuova maggioranza flessibilità anche sulle scadenze, purché si mostri decisa a portare avanti il piano. Lo si intuisce da una delle battute strappate a Gentiloni lasciando la Fiera di Rimini: «Se ci sarà bisogno di qualche aggiustamento sui tempi ce ne occuperemo». Mai come in questo momento i destini politici dell’Italia e dell’Unione sono tutt’uno. Gentiloni lo aveva detto apertamente poco prima nell’auditorium pieno di militanti ciellini, gran parte dei quali elettori del centrodestra: «Il piano è un esame di maturità per l’Unione», e il suo successo «sarà determinato dal fatto che l’Italia abbia successo». Se ciò non avverrà, l’Italia potrebbe ritrovarsi in condizioni simili a quelle di dieci anni fa, e la prima a non augurarselo è Giorgia Meloni.