Paola Malatesta, la Parisina/ Una tragedia d'amore di 600 anni fa, una leggenda viva ancora oggi |

Paola Malatesta, la Parisina/ Una tragedia d’amore di 600 anni fa, una leggenda viva ancora oggi

Pubblicato il 23 Giugno 2009 - 20:29 OLTRE 6 MESI FA

Paola Malatesta, detta la Parisina, nacque in un giorno imprecisato del 1404, rampolla del potente lignaggio di quei Malatesti che da più di un secolo dominava le terre di Rimini e dintorni. Pochi giorni dopo il parto, la madre, Lucrezia Ordelaffi, decedeva. L’ingestione di un’ingente dose di veleno ne terminava i giorni punendola con la morte, della sua partecipazione ad una congiura di palazzo. Paola, ancora in fasce, fu affidata, secondo il volere del padre, alle cure materne e alla sorveglianza dello zio, Carlo Malatesta e di sua moglie, Elisabetta Gonzaga.
L’educazione di Paola fu curata con zelo. I genitori adottivi non risparmiarono nulla per la formazione della giovane, che rivelava fin dai suoi primi passi a corte rara eleganza e intelligenza. Nel castello di Rimini la sua infanzia trascorse serenamente tra i maestri di latino e di francese, di eloquio e di conversazione, di lettere e galateo. Ancora bambina fu avviata ai cortesi passatempi tipici dell’epoca: lettura di romanzi, equitazione, caccia, falconeria, suonate per arpa. Nulla mancava a questo prodigio di eleganza e bellezza, che presto si conquistò, per la sua naturale grazia, l’affettuoso nomignolo di Parisina, ovvero la Parigina, volendo così indicarne le squisite maniere, l’incedere elegante, i raffinati passatempi.
Al tempo, tra i nobili, il matrimonio di una fanciulla assolveva svariati compiti. Trattato di pace, accordo militare, atto di espansione territoriale, il vincolo nuziale era, parafrasando Clausewitz, la prosecuzione della politica con altri mezzi. Normale dunque che, dietro l’unione di nobili rampolli, si celassero i malcelati intrighi di una corte di diplomatici e faccendieri. Nel caso di Paola, il prestigioso “ruffiano” fu niente di meno che la Serenissima repubblica di Venezia. Quest’ultima, desiderosa di un accordo tra Rimini e Ferrara in funzione antimilanese, premeva perché le casate dei Maletesti e degli Estensi stringessero un’alleanza politica. Fu dunque deciso, senza che Paola fosse consultata, che la giovane Malatesta sarebbe andata al più presto in sposa al marchese di Ferrara, Niccolò III.
Quando comunicarono a Paola il suo imminente matrimonio con Niccolò III, il cuore le sobbalzò in gola. I suoi tredici anni da poco compiuti venivano, d’un colpo, offerti alle voglie del quarantenne Niccolò III in pegno della politica adriatica di Venezia. A peggiore le cose, veniva la fama del marchese, descritto dalle cronache del tempo come “pingue e sensuale”. Inoltre, la nomea del signore di Ferrara non era attestata solo da effimere voci maligne. Un manipolo di figli bastardi, frutto di diversi rapporti extraconiugali, vivevano, dopo essere stati naturalizzati dal padre, negli alloggi del palazzo marchionale. Quello stesso palazzo dove Paola si accingeva a passare il resto della sua vita.
Le nozze di Paola con Niccolò III si svolsero sotto il peggiore degli auspici. In quell’anno domini 1418 Ferrara era colpita dalla peste e, sebbene si fosse superato il picco del contagio, si temeva l’occasione di una nuova epidemia. Le autorità cittadine decisero dunque, per evitare una recrudescenza del morbo, che per l’ingresso della neomarchesa fosse proibita ogni manifestazione pubblica. Quando Paola entrò nella città impiagata, accompagnata da lunga silenziosa teoria di carrozze e cavalli, a più d’uno sembrò di assistere all’ingresso di una processione funebre, invece che d’un corteo nuziale.
Nella residenza estense l’accoglienza non fu migliore. Vi soggiornavano i bastardi di Niccolò III, figli illegittimi del marchese e di varie donne. Tra questi, un posto particolare spettava ad Ugo, Leonello, e Borso d’Este, nati da Stella dei Tolomei, la cortigiana favorita di Niccolò III. Da anni l’amante ufficiale del marchese, Stella non aveva visto di buon’occhio l’arrivo di Paola. Temeva, infatti, che la marchesina, dando alla luce l’erede tanto desiderato dal Marchese, avrebbe potuto minare i già precari diritti dei tre figli bastardi di Niccolò. Sfruttando la sua posizione a corte, l’intrigante Stella, riuscì a tessere un clima di ostilità e diffidenza nei confronti della giovane sposa. Quando Paola fece il suo ingresso a corte, nell’imponente palazzo marchionale non trovò, per quanto si guardasse attorno, nessuna traccia di volti amichevoli e bendisposti.
Tali funesti inizi avrebbero scoraggiato anche gli animi più forti, figurarsi una giovane adolescente che il destino aveva fatto marchesa a tredici anni. Eppure, nonostante tutto sembrasse osteggiarla, dai funesti presagi delle nozze alla gelida accoglienza di Ferrara, Paola dimostrò fin dai suoi esordi a palazzo doti rare, dispiegando instancabili energie nel governare la casa e i suoi domini. Lentamente, mese dopo mese, il corso delle cose sembrava finalmente premiare la ferma volontà e la grazia naturale della giovane marchesa. Mentre la sua fama di donna capace ed educata le guadagnava prestigio in tutta Italia, le sue maniere amabili conquistavano i ferraresi e la corte estense. Solo qualche anno dopo il suo matrimonio col marchese, rimanevano in pochi a maledire il giorno dell’arrivo di Paola a Ferrara. Tra questi, per la posizione e la qualità del malanimo, eccelleva il figlio prediletto di Niccolò III, Ugo d’Este.
Da sempre Ugo aveva nutrito un astio profondo e pugnace nei confronti di Paola. La madre, timorosa della posizione dei figli nelle grazie dell’incostante marchese, lo aveva istruito in un odio cieco riguardo quella incombente minaccia che la marchesa, con una sua eventuale gravidanza, rappresentava per lui e i suoi fratelli. Di conseguenza, due persone nel grande palazzo marchionale di Ferrara stavano bene attente a non incrociare i loro cammini: Paola, la giovane sposa ed Ugo, il figlio prediletto del marchese.
Non appena Niccolò III si rese conto dell’astio che covava tra i suoi affetti più cari, decise di porvi rimedio. Escogitò un piano elementare e, a prima vista, di semplice efficacia: costringere il recalcitrante Ugo a passare qualche giorno con l’affascinante marchesa. Le maniere amabili e cortesi di Paola, credeva il marchese, avrebbero ammorbidito, come già in altre occasioni si era avverato, la diffidenza di Ugo e poco a poco conquistato il suo cuore. Fu così stabilito che Ugo avrebbe partecipato al corteo incaricato di scortare la nobildonna nel suo breve soggiorno a Ravenna presso i vicini Da Polenta. Qui, per la durata di un mese, Ugo sarebbe stato responsabile di seguire tutti i movimenti di Paola dentro e fuori la città adriatica. Cominciava il mese di maggio del 1424 e nessuno poteva immaginare che Paola e Ugo sarebbero morti di lì a un anno in una segreta di Ferrara.
Entrambi nel fiore della gioventù, Ugo e Paola non erano fatti per odiarsi. Non ancora ventenni, liberi, lontani dalla rigida etichetta della corte, tutto concertava perché, in quella primavera, il malanimo si trasformasse in un amore passionale. Isolati in uno splendido maggio, Ugo e Paola cominciarono a Ravenna una storia impossibile.
Pochi giorni prima di tornare a corte, contro ogni prudenza e buon senso, i due presero una decisione fatale: giurarono di continuare il loro amore sfidando la fiera gelosia del marchese e malgrado i delatori di corte, frequenti al tempo in ogni città d’Italia. Nei mesi che seguirono, diversi luoghi divennero rifugi per il loro precario amore, i possedimenti estensi nelle campane ferraresi, l’abitazione di un compiacente galeotto, le camere private di Paola.
Una donzella della corte fu colei che si incaricò di scrivere la parola fine all’incauta passione. Sperando in una ricompensa, la giovane donna riferì al marchese le dicerie che, già da qualche tempo, circolavano a corte riguardo ai due giovani. Furente e ferito, sentendosi derubato dei suoi più cari affetti, Niccolò III non volle in principio credere a ciò che gli veniva raccontato. Ma, oramai, il timore gli gelava il sangue delle vene e un tarlo gli rodeva l’anima. All’alba di una notte insonne prese la sua decisione.
Poche ore dopo, il marchese era steso gattoni in una stanza inutilizzata all’ultimo piano del palazzo marchionale. In posizione ben poco principesca, la guancia contro l’impiantito, osservava attraverso un minuscolo foro la camera sottostante. Vedeva, attraverso un’artificiale feritoia, l’abitazione privata di sua moglie, i suoi abiti, le sue mobilie, l’arpa che si dilettava di suonare. Poi, vide entrare qualcuno nella stanza, suo figlio Ugo, la marchesa andargli incontro, i due baciarsi con insaziabile avidità.
Il giorno seguente, i due giovani erano segregati in due celle separate della torre marchionale. Paola ed Ugo non dovettero attendere a lungo l’esito di un processo già deciso. A nulla valse il pentimento di Ugo, l’incolparsi sincero della marchesa, le suppliche degli amici di Niccolò III. Ugo aveva appena compiuto i suoi vent’anni mentre la Parisina ne aveva solo uno di più, quando la notte del 21 maggio 1425 le teste dei due amanti caddero in due distanti cesti di vimini.
Il resto è silenzio, l’oblio degli uomini favorito dall’accanimento del marchese nel suo cieco desiderio di cancellare ogni traccia dell’amore di quei giovani innocenti. Per chi vuole consultare le carte amministrative della corte ferrarese per il periodo maggio 1424-maggio 1425, un eloquente silenzio si frappone insormontabile ad ogni ricerca. Senza dubbio, Niccolò III voleva che ogni segno di quel sentimento, che tanto insultava la sua potenza, scomparisse con quei due cadaveri seppelliti di nascosto all’alba nel giardino di una chiesa.
Per errore, o inavvertenza, sfuggì alla generale damnatio memoriae un catalogo dei beni della marchesa trasmessi dopo la sua morte ai parenti. Tra mobili, gioielli, possedimenti vari, un oggetto trattiene l’attenzione di chi scorre il prezioso documento: un lussuoso manoscritto da tempo in possesso dei Malatesta, un Tristano, l’antico romanzo francese sul tragico amore di Tristano ed Isotta.
Chissà, si domanda il lettore, quale legame tra quelle letture di impossibili amori e la tragica passione della marchesa. E la mente vaga, suggestionata all’idea che Paola non fu il primo Malatesta a cadere vittima di un libro di amori fatali. Un suo parente, un certo Paolo detto “Il Bello”, leggendo un giorno per diletto di Lancillotto come amor lo strinse, aveva trovato una fine simile…

 

Le informazioni del pezzo sono state tratte, per la maggior parte, dal Dizionario Biografico degli Italiani della Utet, dove alla Parisina è consacrato un ottimo articolo. Le fonti primarie non sono, né possono essere, gli archivi della città, poiché questi sono stati censurati. La storia è rintracciabile dunque tramite le testimonianza di storici e cronachisti contemporanei alla Malatesta.
Qualche informazione supplementare si può trovare in Henri Hauvette, “L’Arioste et la poésie chevaleresque à Ferrare au début du XVIème siècle”, Paris, Champion, 1927.