Mothers and Daughters

Mothers and Daughters

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Presentato e premiato al Miff Awards di Milano, per l’assegnazione del Cavallo di Leonardo a Mira Sorvino come migliore attrice non protagonista, Mothers and Daughters è un film molto classico dalla solida sceneggiatura, un film tutto al femminile, un film d’attrici, dove si tratta il tema della maternità declinandolo in tutti i modi possibili.

Sappiamo che sarà femmina

Le storie intrecciate di madri, figlie e nonne nella upper class di Manhattan. La fotografa Rigby scopre di far parte di quel 3% dei casi in cui si rimane incinta pur avendo sempre avuto rapporti protetti e deve decidere se abortire o meno. Georgina è una madre mancata per un’adozione decisa superficialmente. Rebecca alla morte della madre scopre che questa in realtà era la nonna e di essere figlia di colei che credeva sua sorella. Beth è scappata di casa per vivere con il fidanzato, un fallito e, per aiutarlo nel suo progetto imprenditoriale, dovrà tornare a rivolgersi alla madre. [sinossi]

Rigby è una fotografa che osserva e registra il mondo, racconta con i suoi scatti alcune tra le infinite storie possibili, tra gli infiniti avvenimenti che avvengono dietro ogni finestra, in ogni casa. Pur specializzata in concerti, in personaggi del mondo musicale, il suo approccio è quello che le deriva da quando, da bambina, la madre le indicava le finestre di un palazzo come cornici, in ognuna delle quali si può iscrivere un ritratto. Foto che poi tornano nell’album fotografico finale e nelle immagini sui titoli di coda. L’approccio dei registi Paul Duddridge e Nigel Levy si condensa in questa visione disincantata del mondo, pronta a registrare quello che più trovano interessante sul tema del rapporto tra madri e figlie che è un tema universale.
Mothers and Daughters, premiato al Miff 2016, è come sfogliare un album fotografico e soffermarsi sulle immagini più interessanti per scoprire le storie che si celano dietro. È l’approccio dell’angelo dell’inizio de Il cielo sopra Berlino che ascolta i pensieri dei passanti e dei passeggeri della metropolitana o quello successivo dei raccordi wendersiani ad Al di là delle nuvole.

Mothers and Daughters è un moderno Women di Cukor, un film di attrici che riesce a radunare un imponente cast di star che hanno brillato al loro massimo negli anni Novanta, Sharon Stone, Mira Sorvino, Susan Sarandon, Christina Ricci. È un film dalla sceneggiatura di ferro, con quattro storie che si alternano incentrate su personaggi femminili alle prese con situazioni complesse legate alla maternità, alla dimensione esistenziale di madre e/o figlia e alla sua messa in discussione. Una sceneggiatura complessa piena di simmetrie e rimandi interni. Georgina, ventitré anni, prima aveva avuto una figlia da padre sconosciuto quando frequentava il mondo promiscuo e disordinato del musicista per cui aveva perso la testa. Lo stesso mondo dell’altro cantante, oggetto dei reportage fotografici di Rigby, che sta per abusare dell’amica ubriaca. Da lì potrebbe nascere una storia come quella di Georgina.
C’è Georgina, rinomata stilista di reggiseni, che dice di non avere figli ma a un certo punto si fa viva la figlia che ha avuto da ragazza che aveva lasciato in adozione. C’è la rampante Nina, direttrice di una rivista femminile, abituata a fare shopping da Tiffany, che è proprio la madre adottiva della figlia di Georgina. C’è Becca, che si intuisce sia un legale perché sta preparando un processo, che alla morte della madre scopre che questa in realtà era sua nonna e la sorella la sua vera madre che l’aveva avuta quand’era molto giovane, e la madre l’aveva così fatta passare come sua figlia probabilmente per evitare lo scandalo. C’è la fotografa Rigby che, alla fine della sua relazione, scopre di essere rimasta incinta nonostante avessero sempre usato il condom – eventualità rarissima –; opta per l’aborto, poi ci ripensa ed esce con il medico che dovrebbe praticarglielo. C’è Beth che è scappata dei genitori per stare con il suo ragazzo, che è un designer di torte fallito, e deve tornare a rivolgersi alla madre, Millie, per farsi dare un cospicuo assegno e poter avviare l’attività con lui. A parte quest’ultima coppia, ma la madre Millie – che gioca in borsa – compensa, siamo in un mondo altolocato, di donne in carriera che hanno avuto successo nella vita. Sono tutti ritratti positivi, a parte quello di Nina che è una spietata tiranna. Donne forti ed emancipate.
Quando il compagno di Rigby le comunica che è intenzionato a tornare dalla ex, per il bene del bambino peraltro, lei semplicemente sorride facendogli presente che le aveva sempre detto di odiare la ex. Le situazioni di moralismo sono solo quelle del passato, quella di Georgina che aveva portato a termine la sua gravidanza indesiderata ma senza tenere la bambina, e quella della nonna di Becca che non aveva accettato la prematura gravidanza della figlia e aveva messo a tacere la cosa facendo passare la nascitura come figlia propria. Sono personaggi, quelli del film, portatori di saggezza, che snocciolano nei loro monologhi intensi, come quello del ginecologo che differenzia il suo approccio professionale con le donne da quello passionale.

La stessa modernità di vita e dei rapporti umani si riflette nella loro modernità di linguaggio e comunicazione. I personaggi sono sempre legati alle loro propaggini comunicative, pc e smartphone spesso insieme, e la narrazione procede spigliata in questo modo. Siamo in un mondo dove tutto si snoda facilmente e velocemente in fibra ottica. I registi fanno propria l’estetica della comunicazione contemporanea adattandovi il linguaggio cinematografico, insistendo tantissimo sulle conversazioni in chat che diventano una nuova forma di campo/controcampo a distanza, tra una persona reale e una sullo schermo, dove peraltro ogni campo contiene già il suo controcampo, e viceversa, nella piccola immagine interna della schermata di FaceTime o Skype.
E si arriva al massimo della moltiplicazione dell’immagine quando Georgina partecipa collegata dal suo pc a una trasmissione televisiva. Becca avvisa che il fratellino è con lei, ed è dalla sua parte, semplicemente whatsappando la sua foto ai familiari. Messaggi messenger appaiono poi anche in sovrimpressione.

Mothers and Daughters appartiene a quel ristretto novero di film, insieme a Personal Shopper di Olivier Assayas e a No Home Movie (peraltro un altro film sulla figura materna) a interpretare e fare proprio il linguaggio delle chat e di messenger che fa parte della nostra vita quotidiana.
E la comunicazione dei personaggi di Mothers and Daughters è condizionata al cyberspazio anche in negativo. Becca chiude tutte le comunicazioni e si isola perché arrabbiata con i suoi familiari. Lo capiamo vedendo i messaggi non letti del suo smartphone. Nina chiude il pc in faccia al suo interlocutore. Georgina e la figlia comunicano via mail non conoscendosi, ma semplicemente chiamandosi con una sigla. Anche questo può succedere nello spazio virtuale. La lettera della nonna di Becca, di un’altra generazione, è cartacea, l’unica nel film, eppure, o a maggior ragione, è toccante e giustifica un comportamento che finora tutti si metteva in discussione. “La scrittura è della nonna” dice il fratello, richiamando un’epoca in cui si poteva ancora riconoscere una grafia. E la mamma del cantante non si era preoccupata perché il figlio da un po’ non si faceva vivo. Non sente quell’obbligo della comunicazione e del vedersi virtualmente, che appartiene alla contemporaneità.
E alla fine, in una progressione temporale che da Natale porta alla festa della mamma, tra i ciliegi in fiore del Central Park, si arriva al trionfo dei rapporti umani, dei contatti diretti. Le riconciliazioni, anche dolorose, avvengono vis à vis. Georgina di persona incontra e abbraccia la figlia, Becca si riappacifica con la madre – ex-sorella – e il padre, Nina con la figlia adottiva. Ma anche il trionfo è quello della fotografia, dell’immagine artistica, del bianco e nero, che conserva ancora qualcosa di materico.
Altra soluzione brillante di regia è il montaggio analogico tra le torte creative del ragazzo di Beth e l’ecografia che stanno facendo al pancione di Rigby. Ma non c’è bisogno. Sua madre è sicura che sia femmina, non c’è bisogno neanche di sperarlo, come le protagoniste del film di Monicelli. Siamo in un cinema tutto al femminile, la versione attuale delle ‘women’ di Cukor.

Info
La scheda di Mothers and Daughters sul sito del MIFF 2016.
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