I crediti di imposta per fronteggiare il caro bollette varati da Draghi, il mini ampliamento del taglio del cuneo fiscale dello stesso Draghi e dell’Assegno unico nato durante il Conte 2 e attuato dal successore, i prepensionamenti con la quota 103 mutuata da quota 100 (Conte) e quota 102 (Draghi), l’Opzione donna del Berlusconi II, l’Ape sociale di Gentiloni, lo stralcio delle cartelle sotto i 1000 euro del Conte 1, le decontribuzioni per donne e giovani del Conte 2, i voucher lavoro e la social card del Berlusconi IV, l’aumento del tetto al contante di Renzi (e prima ancora Berlusconi). Il catalogo dei principali contenuti della prima legge di Bilancio del governo Meloni è questo. Rifinanziamenti, repliche, proroghe di misure ideate dai predecessori. Anni all’opposizione non sono evidentemente bastati per farsi trovare “pronti” con idee originali. Presentando il provvedimento, la premier ha rivendicato che “in appena un mese questo governo ha scritto una manovra che racconta una visione politica“. Ma, a ben guardare, gli unici segnali di discontinuità sono l’annuncio dello stop al reddito di cittadinanza nel 2024 e la marcia indietro sulle multe per i commercianti che non accettano la moneta elettronica.

Il pacchetto contro i rincari energetici – Continuità totale con l’esecutivo caduto in estate. Per il primo trimestre 2023 vengono confermati e rifinanziati l’azzeramento degli oneri generali di sistema in bolletta, il taglio dell’Iva sul gas, i crediti di imposta per energivori e gasivori e per le piccole attività (che salgono rispettivamente dal 40 al 45% e dal 30 al 35%). Il bonus sociale energia e gas, che Draghi aveva allargato alle famiglie con Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) tra 8.200 e 12mila euro, andrà anche ai nuclei con Isee fino a 15mila. Le uniche novità sono sul fronte delle entrate: la tassazione degli extraprofitti è destinata ad aumentare e sarà applicata sugli utili, come richiesto dalla Commissione Ue. E arriva il price cap sui ricavi dall’energia prodotta da rinnovabili e altre fonti con costi inferiori a quelli del gas, compreso il carbone.

Il cuneo fiscale – Meloni ripropone il taglio del 2% dei contributi a carico dei lavoratori con redditi lordi sotto i 35mila euro, in vigore dallo scorso luglio. Solo per i redditi sotto i 20mila euro lo sgravio sale al 3%, con benefici che restano ridottissimi (al massimo 30 euro al mese). Un anno fa la leader di Fdi aveva criticato la scelta del governo Draghi di dedicare alla riduzione dei contributi solo una piccola parte degli 8 miliardi disponibili per l’antipasto della riforma fiscale. E a luglio, intervistata dal Sole 24 Ore, aveva garantito che il taglio da 16 miliardi chiesto da Confindustria si poteva fare: “Dall’inizio dell’emergenza Covid abbiamo speso 200 miliardi in deficit, crede davvero che non si potevano trovare 16 miliardi per il cuneo?”.

L’assegno unico – La premier ha annunciato un aumento del 50% dell’assegno unico per il primo anno di vita del bambino. L’incremento durerà tre anni per le famiglie numerose. L’aiuto per le famiglie, che sostituisce tutte le precedenti agevolazioni, esiste però dal marzo 2022. Il disegno di legge delega in materia è stato approvato durante il governo Conte 2 e la misura è andata a regime nel marzo 2022, con Draghi. Che ha anche ridotto dal 22 al 10% l’Iva sugli assorbenti femminili: Meloni ne ha annunciato un ulteriore taglio al 5%, che riguarderà anche i prodotti per l’infanzia.

Gli incentivi alle assunzioni – Forza Italia sta rivendicando come “idea di Silvio Berlusconi” la decontribuzione fino a 6mila euro per i nuovi assunti under 35. Meloni ha detto che saranno azzerati anche i contributi per chi assume donne. Anche questa è tutt’altro che una novità, ma non risale ai governi dell’ex Cavaliere: ricalca pari pari gli incentivi introdotti dal governo Conte 1 nella legge di Bilancio per il 2021. Idem per gli sgravi a chi inserisce in azienda percettori del reddito di cittadinanza: sono previsti fin dal 2019, quando il sussidio è nato.

La flat tax – L‘innalzamento da 65mila a 85mila euro del tetto di ricavi sotto il quale gli autonomi possono chiedere l’applicazione dell’aliquota fissa del 15% deluderà qualche elettore di centrodestra, visto che la promessa era di portare la soglia a 100mila, ma è indubbiamente una prima attuazione degli annunci elettorali mirati alle partite Iva. Il fatto è, però, che ad introdurre in Italia la flat tax cara alla Lega è stato nel 2019 il governo gialloverde Conte 1 (fino ad allora il regime forfettario aveva limiti di ricavi più bassi e prevedeva una serie di altri requisiti legati alle spese per i lavoratori e ai costi dei beni strumenti). Secondo la commissione che scrive la relazione annuale sull’evasione fiscale, la misura ha indotto i contribuenti ad “autoselezionarsi“, cioè a far di tutto per restare sotto la soglia dei 65mila euro. Con relative ricadute sulle cifre nascoste al fisco.

Lo stralcio delle cartelle e il tetto al contante – Anche la rottamazione delle cartelle sotto i 1000 euro consegnate all’agente della riscossione tra 2000 e 2015 ricalca lo stralcio approvato dal Conte 1 a fine 2018. Le rateizzazioni per chi ha dichiarato ma non versato, non ha dichiarato, ha ricevuto un avviso di accertamento o è già in contenzioso con il fisco – stando alle anticipazioni del viceministro con delega alle Finanze Maurizio Leo – somigliano invece da vicino a quelle messe in campo negli anni da Renzi, Gentiloni e poi Conte. Sempre con esiti deludenti per l’erario. Sempre a Renzi (2016) risale anche l’ultimo aumento del tetto al contante da 1000 a 3mila euro, che secondo Bankitalia ha ampliato la quota dell’economia illegale.

Le pensioni – Silenziato Matteo Salvini, che continuava a spingere per la costosissima quota 41, in campo pensionistico la maggioranza ha optato per una nuova una tantum: solo nel 2023 si potrà uscire dal lavoro con 41 anni di contributi e almeno 62 di età, la cosiddetta “quota 103”. Un intervento di portata minima, considerato che la platea potenziale non arriva a 50mila persone. Come evidente, comunque, si tratta della naturale prosecuzione della quota 100 introdotta dal Conte 1 e della quota 102 scelta dall’esecutivo Draghi per quest’anno. In parallelo viene prorogata, con curiose modifiche (vantaggi che dipendono dal numero di figli), la Opzione donna introdotta nel 2004 dal governo Berlusconi II. E sarà riproposta anche l’Ape sociale voluta da Gentiloni nel 2017.

I voucher lavoro – Dall’1 gennaio tornano i voucher per pagare lavoratori agricoli e domestici ma anche addetti alla ristorazione e alle strutture ricettive. Un bel balzo indietro in direzione del precariato più spinto. A introdurli per la prima volta in Italia è stato il governo Berlusconi IV, attuando una delle previsioni della legge Biagi del 2003. Nelle intenzioni avrebbero dovuto far emergere il lavoro nero, ma si erano rapidamente trasformati in quella che l’ex presidente Inps Tito Boeri aveva definito “l’ultima frontiera del precariato. Sono stati aboliti nel 2017, per evitare che fossero cancellati a furor di popolo con il referendum promosso dalla Cgil.

La social card – Altra eredità dell’era berlusconiana è quella che Meloni ha definito “carta risparmio spesa” per i redditi bassi. A quanto si è capito si tratta di un potenziamento (con 500 milioni) della dotazione con cui viene finanziata la social card o carta acquisti introdotta sempre nel 2008: vale 40 euro al mese, si può usare per comprare cibo o pagare spese sanitarie e bollette e oggi è riservata a over 65 e ai genitori di bambini sotto i 3 anni con Isee sotto i 7.120 euro. Già in vigore anche le convenzioni con negozi, catene di supermercati, bar e ristoranti disponibili a scontare del 5% i beni comprati con la carta: quindi non sembra una novità nemmeno l’annunciata richiesta agli esercizi commerciali di “calmierare a loro volta i prezzi per le persone maggiormente in difficoltà su alcuni beni fondamentali”.

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