Mario Monti: “In Europa bisogna saper trattare, non fare alleanze con i nazionalisti” - la Repubblica

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Mario Monti: “In Europa bisogna saper trattare, non fare alleanze con i nazionalisti”

Mario Monti, 80 anni, è senatore a vita dal 2011

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Intervista all’ex premier: “Meloni guida un grande Paese dell’Ue e in questa veste le è precluso il modello adottato da Budapest e Varsavia

a meno che non voglia fare gravi danni all’Italia”

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Professor Mario Monti, dal tema dell’immigrazione ai conti pubblici, la partita tra Italia ed Europa si fa dura. Lei è stato a Palazzo Chigi e alla Commissione europea. Sui flussi migratori, in particolare, che cosa può fare l’Italia?

«Dovrebbe puntare ad alleanze solide, da pari a pari, senza nervi a fior di pelle, con Francia e Germania. Creare con loro un clima di intesa responsabile per indirizzare l’Europa, in questo e altri campi. E non sbandierare, e possibilmente non avere, alleanze privilegiate con Paesi governati da leader nazionalisti come quelli di Ungheria e Polonia. Quei governi restano nazionalisti - in particolare sulle migrazioni - anche nei confronti di una leader come Giorgia Meloni, con la quale avevano intessuto comunanza di visione quando anche lei era spiccatamente nazionalista. Ma Meloni non era ancora capo di governo di un grande Paese europeo. In questa veste le è proprio precluso - a differenza, per esempio, di Orban - perseguire il nazionalismo. A meno che sia disposta a recare gravi danni al suo Paese».

Lo dice mentre Meloni e Orban riaffermano assieme i valori della destra e chiedono una politica europea comune sull’immigrazione. Pensa davvero che Francia e Germania abbiano interesse a una politica comune su questo tema?

«Penso che, proprio a cominciare da Francia e Germania, andrebbero moltiplicati gli sforzi di persuasione, magari cambiando la chiave e il messaggio. Martellarli al suono di “Così lasciate sola l’Italia!” potrà far guadagnare voti in Italia, ma difficilmente sposterà le coscienze altrui. Oggi in Europa la politica deve farsi con la pedagogia in casa d’altri, ad esempio andando a Budapest, Varsavia, Vienna, Parigi e spiegare là, nei media, nelle università, nei loro parlamenti, in dibattiti popolari, quanto i loro Paesi avrebbero da guadagnare da un’efficace politica comune sulle migrazioni».

14/09/2023 Budapest, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni,  ha tenuto un intervento al Budapest Demographic Summit - Sessione Family is the key to security, nella foto con con Katalin Novàk, Presidente dell’Ungheria e Viktor Orbàn, Primo Ministro
14/09/2023 Budapest, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha tenuto un intervento al Budapest Demographic Summit - Sessione Family is the key to security, nella foto con con Katalin Novàk, Presidente dell’Ungheria e Viktor Orbàn, Primo Ministro (agf)

Parliamo anche degli altri dossier tra Roma e Bruxelles. La tensione è innescata a senso unico dall’Italia o ci sono situazioni e atteggiamenti che obiettivamente possono danneggiare il nostro Paese e alle quali è utile che il governo reagisca?

«La Commissione è un organo sempre più politico, ma ha anche il compito essenziale di fare applicare le regole, molte delle quali sono essenziali perché l’Europa esista e non sia una giungla: regole sul mercato unico, sulla concorrenza, sui bilanci pubblici, eccetera. Non è facile, ma è essenziale per la sua credibilità anche come grande attore della politica per l’Europa, che sia imparziale».

Non sarà che la “underdog” Meloni ha qualche motivo quando lamenta l’ostilità delle strutture della Commissione?

«Come in passato, anche oggi l’Italia ha un governo rispettato a Bruxelles. Ma è un governo composto anche da forze politiche e personalità per le quali il rispetto verso l’Europa è molto recente e intermittente. Questo determina a volte difficoltà di dialogo e qualche dubbio su quanto gli impegni assunti siano attendibili. Consiglierei perciò ai nuovi rappresentanti dell’Italia di dismettere la postura mentale dei “pugni sul tavolo”, di negoziare tenacemente sulla sostanza, di ricordarsi che se ritengono davvero di aver subito un torto la via maestra è di denunciarlo alla Corte di giustizia europea. E, se vogliono seguire la logica del negoziare “a pacchetto”, che a volte è preziosa, occorre molta accortezza per evitare esiti rovinosi».

Le anticipo qualche reazione alle sue parole: è l’establishment che parla, preoccupato di un’Italia che finalmente si fa rispettare…

«Da Commissario per dieci anni e poi da presidente del Consiglio ho visto che l’Italia è stata sempre rispettata. Certo, l’esito delle richieste o proposte italiane è stato variabile, a seconda della buona o meno buona preparazione del dossier e della capacità di argomentazione. Suggerirei comunque di mettere un bemolle all’ansia che aveva l’Italietta, ma che non dovrebbe avere la nostra Italia, di mostrare al mondo, ma soprattutto ai propri cittadini, il “protagonismo”. A me sembra che rivendicare protagonismo sia quel che si fa quando, se non lo si facesse, nessuno verrebbe a sapere che c’eri. Non è meglio farlo vedere con i risultati oggettivamente conseguiti, con discrezione, tenacia e anche durezza?».

Al di là delle polemiche, ci sono le riforme. Quella del Patto di stabilità e di crescita, presentata dalla Commissione, non convince l’Italia. Anche qui, che cosa consiglia?

«Più il dibattito procede, più mi convinco di una cosa. Un nuovo Patto di stabilità e di crescita, più ancora che da regole minuziose che, come in passato, non verranno fatte rispettare, dovrebbe fondarsi su alcuni principi semplici, di buon senso economico, comprensibili ai cittadini. E che portino ad una ragionevole disciplina di bilancio azzerando il balletto, un po’ patetico, che è ancora in corso tra i Paesi con radicata propensione al disavanzo e la Germania, la quale è ancora considerata da se stessa e dagli altri il campione della disciplina di bilancio, pur non essendolo più».

E quali principi?

«È il momento ideale, tanto più con una Presidente della Commissione tedesca, per indurre tutti i Paesi a convergere verso la “regola aurea”, cioè ad avere – semplificando – un disavanzo non superiore agli investimenti pubblici. Dopo tutto, la Germania, nei decenni della sua grande espansione economica nella stabilità monetaria, aveva nella propria Costituzione proprio una “regola aurea”, sostituita nel 2009 dal “freno sul debito”, che soprattutto negli ultimi anni non ha dato buona prova di sé, né per la crescita né per la disciplina di bilancio».

Vasto programma, quello di cambiare la Costituzione in Germania e non solo…

«Ma non vedo perché la Germania, oggi, dovrebbe opporsi ad un indirizzo che rendesse tendenzialmente uniforme la disciplina di bilancio in Europa. Gli altri Paesi smetterebbero di avere un’ormai radicata avversione ad ogni principio che freni il disavanzo, perché lo associano al Patto di stabilità imposto dalla Germania negli anni Novanta, e probabilmente si renderebbero conto che è nel loro interesse non caricare di debito improduttivo i loro figli e nipoti. La Germania cesserebbe invece di sentirsi maestra di virtù di bilancio. L’Europa diventerebbe un “continente normale”, non più diviso da pericolose passioni ancestrali. E sarebbe bello se fosse proprio Ursula von der Leyen, nell’ultimo anno della sua (prima) presidenza della Commissione, a porre fine a questa “Guerra dei Trent’anni”».

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