Approfondimenti

Casanova e il Correggio, 2 (Il furto della Maddalena)

   

    Più di trent’anni dopo l’episodio della tabacchiera col doppio ritratto dell’amante narrato nei Mémoires, il nome di Correggio ricompare in una lettera che Giacomo Casanova scrive il 30 ottobre 1788 dal castello di Dux (Duchcov) ad Alexander Mikhailovich Beloselsky (1757-1809) (1). La figura del principe – in quegli anni ambasciatore russo a Dresda – rappresenta bene gli stretti legami che univano la cultura russa e quella europea nella seconda metà del Settecento: giusto l’anno dopo, Beloselsky ebbe modo di assistere nella propria residenza a una contesa musicale tra Mozart e Johann Wilhelm Hässler (2), e nel 1790 pubblicò in francese Dianyologie ou Tableau philosophique de l’entendement (Dresda 1790) (3). Un saggio elogiato dallo stesso Casanova, nei Mémoires:

I russi allora erano come quell’uomo che aveva letto un solo libro, ma mi hanno detto, e ci credo, che oggi sono più profondi. A Dresda, ad esempio, ho avuto modo di conoscere il principe Beloselski, che, dopo esser stato ministro del suo paese a Torino, ritornò in Russia: ebbene, costui si è spinto fino a interpretare geometricamente l’intelligenza dell’uomo, ha analizzato la metafisica e nel suo piccolo libro ha studiato sistematicamente l’anima e la ragione. Più leggo questo testo, più lo trovo sublime e ritengo che sia un vero peccato che un ateo possa abusarne (4).

    Il ritratto del principe russo proposto da Christian Gottfried Schulze – su disegni di Giovanni Battista Casanova e Jacob Seydelmann – richiama espressamente i suoi interessi culturali (i libri in secondo piano, il gesto della scrittura), tanto più che, sotto il ritratto, leggiamo una dedica in versi di Voltaire.

Christian Gottfried Schulze, Ritratto del principe Alexander Mikhailovich Beloselsky. Una nota a penna sul verso precisa: 'La figure gravé d'après Mr. le Professeur Casanova / et la Tête d'après Mr. Seydelmann à Dresde”).

    Casanova spedisce la lettera a Beloselsky con la speranza di farlo sorridere di una sua “aventure”, una di quelle da inserire “entre les extraordinaires”. Il martedì precedente – racconta – era partito da Dresda dopo aver salutato il “caro fratello” Giovanni Battista (l’artista, che aveva iniziato la carriera in Italia collaborando tra gli altri con Anton Raphael Mengs e con Johann Winckelmann, allora dirigeva e insegnava nell’Accademia di Pittura della città).

    Appena partita, la carrozza viene fermata a una barriera doganale: sei agenti scaricano i bagagli di Casanova e frugano tra le camicie, i fazzoletti, le lettere, e arrivano persino a spacchettare le sue “quatre livres de chocolat”. Non avendo trovato quello che cercavano, i sei uomini rimettono assieme tutto, ma “sans ordre et sans miséricorde”. Poi disfano le imbottiture della vettura, compresa quella del cocchiere, le ricuciono alla meglio e ispezionano dappertutto il veicolo.

    A questo punto, il più giovane degli agenti spiega a un Casanova ammutolito che stavano cercando “la Magdalaine”, la Maddalena. “Quando pensavo che fosse tutto finito – continua la lettera – mi dissero che dovevo permettere loro di perquisirmi; senza dire una parola, mi tolsi il mantello, la ‘redingote’ e cominciai a svuotarmi le tasche; e loro stessi aprirono le mie due grandi tabacchiere, perché la santa peccatrice che stavano cercando poteva trovarsi sotto la superficie del mio tabacco”. Spazientito, Casanova fa notare che poteva anche avere una gamba finta o nascondere qualcosa sotto il vestito: quando uno degli uomini si azzarda a toccarlo sotto il gilet, il viaggiatore si sbottona mutande e calzamaglia, così da mostrare che tra “le sue cosce” non c’era “niente di simile alla Maddalena”.

    Finalmente la carrozza può ripartire, ma il ritardo lo costringe a fermarsi, “morto di fame e di rabbia”, in “une mauvaise auberge” dove, a lui che non amava la birra, offrono una bevanda indigeribile chiamata “moste de Pilnitz”.

    Sta di fatto che il 28 ottobre Casanova era arrivato al castello di Duchcov (oggi Cechia, una novantina di chilomentri a sud di Dresda). Qui risiedeva – da pochi anni e non molto volentieri – come bibliotecario del conte Josef Karl von Waldstein. Appena arrivato aveva dovuto subito risolvere una briga: la cuoca che aveva assunto due mesi prima era così maldestra che alcuni servi erano stati male. Casanova la licenzia esortandola a imitare la Maddalena (la santa che si era ritirata nel deserto), anche se la cuoca era “vecchia, brutta e puzzolente” (“le plaisant est qu’elle est vieille, laide et puante”).

Mi creda, mio principe – aggiunge Casanova – l’unico vero diritto esistente è quello del più forte. Credo che il diritto delle genti – questo è il tema che, riferisce Casanova, Beloselski stava studiando – sia come quello dell’amore, diritto quando non è fatto, fatto quando non è diritto. Ho conosciuto tante Maddalene, ma nessuna mi ha fatto imprecare tanto come quella di Correggio («J’ai connu bien des Magdalaine, mais aucune ne m’a fait tant jurer comme celle du Correggio»)”.

H. Bürkner, La Maddalena di Correggio a Dresda, incisione.

    Con una battuta Casanova ridisegna la propria immagine di dongiovanni e svela il motivo dell’accanimento delle guardie nei suoi confronti: qualche giorno prima era stato rubato dalla Galleria di Dresda il celebre quadro della Maddalena di Antonio Allegri: era su questo che indagavano alla “barrière” della città sassone. L’Elettore di Sassonia – continua Casanova – faceva bene a farlo cercare, ma non a trattare così le persone che si trovavano per caso a Dresda quando erano stati rubati i quadri della sua collezione.

    Il furto di cui si parla nella lettera a Beloselsky – una vicenda ben documentata (5) – non riguardò solo la Maddalena di Correggio, ma anche il Giudizio di Paride di Adriaen van der Werff (Gemäldegalerie, 1818) e il Fanciullo con flauto di Christian Seybold (Gemäldegalerie, 2092). Appena si diffonde la notizia del furto, avvenuto nella notte tra il 22 e 23, viene offerta una ricompensa di mille ducati e vengono effettuate perquisizioni domiciliari presso alcuni sospetti. Ma la cosa più incredibile è la lettera anonima che arriva all’allora ispettore della Galleria Johann Anton Riedel, in cui si diceva che c’era un modo sicuro per catturare il ladro: esporre sulla porta della Galleria e sulla finestra da cui era entrato una sorta di formula di cinque parole (misteriose e incomprensibili) sottostate da altrettante piccole croci!

    Nel frattempo, il 26 ottobre, un lampionaio aveva scoperto in un pacco avvolto nella carta i quadri di Seybold e van der Werff, con una lettera rivolta all’Elettore di Sassonia in cui si chiedevano mille ducati come riscatto della Maddalena e si indicava il punto esatto – fuori da una porta della città, la “Schwarzen Thore” – in cui lasciare il denaro.

    I sospetti si erano già addensati su un certo Wogaz, che aveva precedenti penali e, soprattutto, aveva parlato con qualcuno del valore delle pietre preziose che ornavano la cornice della Maddalena. Prima del furto, infatti, il dipinto aveva una cornice speciale, risalente almeno ai primi del Seicento, quando viene descritta così: “un adornamento d’argento scornicciato, e com(mes)so tutto di castoni e rosette d’oro dentrovi acquemarine girasoli turchini e altre gioie simile” (6).

    A quel punto si confrontò la grafia di Wogaz con quella della lettera che chiedeva il riscatto, e dopo due perquisizioni si trovò la Maddalena in un suo fienile, con altra refurtiva; Wogaz venne così arrestato l’8 novembre. Si ritrovarono anche le decorazioni in oro e argento, e le pietre preziose della cornice: erano stati con ogni probabilità questi preziosi, e non il dipinto di Correggio, ad attirare il ladro.

    Esistono almeno tre incisioni con il ritratto di Johann Georg Wogaz. Una, di Johann Adolph Darnstedt, lo mostra a figura intera e con tricorno in capo dinanzi alla Galleria di Dresda. Un’altra, di Christian Friedrich Traugott Uhlemann, lo riprende di tre quarti e a mezzo busto (al di sopra una ghirlanda formata addirittura da manette, lucchetto e catene).

    La più significativa è senz’altro quella in cui si presenta un ritratto accurato del ladro, con la didascalia “Voleur de la S(ain)t(e) Magdalene de Correggio”. La sorprendente attenzione per le fattezze di Wogaz ha due motivazioni concomitanti. La prima è la straordinaria eco che ebbe il furto, da un lato per la risonanza del nome degli artisti (Correggio prima degli altri, come dimostra l’ultima delle tre incisioni), dall’altro perché era avvenuto all’interno della collezione stessa del sovrano. La seconda ragione è il successo che stava riscuotendo in quegli anni la fisiognomica, la teoria che metteva in relazione carattere e inclinazioni degli uomini con i tratti dei loro volti: il viso di un rinomato delinquente era insomma un argomento di speciale interesse.

   Dunque, si trattava solo di un maldestro ladro, ed è davvero singolare che, circa un secolo dopo l’evento, Giovanni Morelli lo presenti come un intenditore. Usando lo pseudonimo di Jvan Lermolieff, il conoscitore mise in scena un dialogo tra giovane nobildonna e suo padre davanti alla Maddalena di Dresda, una soluzione insolita per argomentare in modo chiaro la sua convinzione che il piccolo quadro non fosse opera di Antonio Allegri, ma “una copia che potrebbe essere stata realizzata all’incirca nella seconda metà del XVII secolo da un fiammingo molto vicino ad Adriaen van der Werff”. L’ipotesi avanzata da Morelli è addirittura che Wogaz fosse un “amatore delle belle arti” e avesse deliberatamente scelto il Giudizio di Paride di van der Werff, (1659-1722) e la Maddalena in quanto riteneva che i due quadri fossero “dell’istesso valore” (7).

    P.S.: alcuni anni dopo la lettera di Casanova e il furto della Maddalena, una volta rientrato in Russia, Beloselsky scrive un piccolo trattato di estetica (per la verità non particolarmente originale) sotto forma di tre missive indirizzate a una immaginaria contessa. Le virtù cardinali della Pittura sono per lui il Bello (Beau), la Grazia (Charme), il Vero (Vrai) e il Grandioso (Grand): inutile dire che anche per Beloselsky, come per tutta la critica settecentesca, Correggio è incontrastato signore della Grazia (8).

Claudio Franzoni

  1. Octave Uzanne, in “L’ermitage”, II, 10, ottobre 1906, pp. 202-204. Il testo della lettera è riportato in parte anche da M. Leeflang, Le vol d’un Corrège, in “Les Lettres françaises”, 72, 5 June 2010, p. III.
  2. Cliff Eisen, New Mozart Documents. A Supplement to O. E. Deutsch’s Documentary Biography, London 1991, p. 57.
  3. Cfr. https://bibulyon.hypotheses.org/4220; https://www.lyriktext.de/ingold-graebt-aus/protagonist-der-aufklaerung-fuerst-alexander-beloselski/
  4. Giacomo Casanova, Storia della mia vita. III (1764-1774), a cura di P. Chiara e F. Roncoroni, Milano 1989, p. 235.
  5. Carl von Weber, direttore dell’archivio di Stato di Dresda, ricostruì minuziosamente i fatti nel capitolo Diebstahl auf der Bildergallerie zu Dresden, 1788, in Aus vier Jahrhunderten. Mittheilungen aus dem Haupt-Staatsarchive zu Dresden, Leipzig 1857, pp. 345-353.
  6. Gaetano Ghiraldi, Il mito della ‘Maddalena leggente’ del Correggio nella storia delle Collezioni Estensi, in Jadranka Bentini (a cura di), Sovrane passioni. Le raccolte della Ducale Galleria Estense (catalogo della mostra, Modena, Galleria Estense), Milano 1998, p. 106.
  7. Jvan Lermolieff, Le opere dei maestri italiani nelle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino, Bologna, Zanichelli 1886, p. 133.
  8. Alain Besançon, Un néo-classique russe: à propos de trois lettres du prince Alexandre Beloselski, in “Revue des études slaves”, 42, 1-4, 1963. pp. 83-95.

 

   

Adriaen van der Werff, Giudizio di Paride, 1712. Già Dresda, Gemäldegalerie, 1818 (perduto nella seconda Guerra Mondiale).