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Resistenza e resilienze

Un 25 aprile quest’anno turbolento, più degli altri anni, segnato da due guerre che non si spengono, in Italia da polemiche fra forze politiche opposte, dalle reticenze cocciute del governo Meloni che si ostina a non riconoscere il valore della Resistenza (e quindi le basi stesse della nostra Costituzione su cui ha giurato) e non riesce, come un balbuziente, a pronunciare la parola “antifascismo”. L’opposizione denuncia tali comportamenti, le scelte impopolari del governo (che pure retoricamente al popolo si richiama mantenendo ancora un robusto consenso) e con diverse sfumature denuncia, fa intravedere il pericolo del ritorno del fascismo, quello del ventennio, in stivaloni, parate, tautologie ducesche e repressione delle libertà.

Io penso che non sia superfluo fare chiarezza su alcune questioni per evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni.

Il fascismo degli anni 20-’40 del Novecento, come altri avvenimenti della storia, era legato ad un contesto preciso di tipo politico, economico, culturale, sociale: la fine della prima guerra mondiale, il reducismo con le delusioni e le veemenze che lo attraversavano, la scissione del Psi e la successiva nascita del Pcdi, il biennio rosso a Torino, la insipienza di un governo liberale presieduto dal pallido ministro Luigi Facta, la mediocrità e pavidità di una monarchia guidata da Vittorio Emanuele III, il re “sciaboletta” per statura e sentire, l’ascesa veloce di Benito Mussolini, un ex esponente del Psi che lascia il partito, repentinamente diventa un capopopolo spregiudicato e coinvolgente che mette insieme le trasgressioni di Tommaso Marinetti  e del suo movimento modernista ed i fasti dell’antica Roma imperiale, un attivismo vitalista, fonda i Fasci di combattimento con patina vagamente anticapitalista e promessa di ordine, ma soprattutto, nella sua essenza, crea un braccio poderoso per gli interessi degli agrari e dei padroni del vapore come presto sarebbe stato chiaro.

La storia va letta in modo dinamico e non statico e ne discende quindi che quel fascismo, come il franchismo o il nazifascismo o altri regimi totalitari o autoritari non possono riproporsi oggi con quel medesimo calco.

Allora il problema si pone diversamente. Le metamorfosi del fascismo come pure quelle dei populismi (vi è infatti molta differenza fra il populismo pioniere di Juan Perón in Argentina e quelli odierni, se pure con un elemento costante che non varia) sono un dato su cui porre attenzione. Le scienze sociali e una parte della storiografia hanno già fatto questo sentiero, come pure la letteratura consapevole e di impegno civile (penso a Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e altri).

Come è noto, già nel 1995, in una conferenza per la Columbia University, Umberto Eco aveva delineato i tratti di un fascismo che egli definiva persistente, l’Ur Fascismo, dal prefisso tedesco “ur” che significa originario, delle origini, un nucleo cioè composto da varie caratteristiche a volte contraddittorie fra loro che non sempre sono presenti insieme nei vari regimi totalitari o autoritari storicamente realizzati. Se però anche solo una di esse compare, il fascismo si ripropone, ossia si realizza con altre vesti, una sorta di resilienza. Eco fa un elenco preciso di esse di cui ricordo le principali:  ossequio smodato e acritico della tradizione come valore unico (patria, famiglia cristianità) quindi atteggiamento antilluminista e ostilità contro la ragione e la capacità di rinnovamento; rifiuto del pensiero critico e di ogni forma di disaccordo (cosa che non solo nelle democrazie, ma nello statuto delle scienze in genere è invece elemento necessario per raggiungere e sviluppare nuove conoscenze); enfatizzazione dell’azione, dell’agire comunque  contrapposto al pensiero; paura del diverso, dell’estraneo, e rigido culto dell’identità nazionale, cosa che rassicura un popolo chiuso in sé stesso consentendo all’élite al potere di controllarlo meglio, quindi xenofobia esplosiva o mascherata; evocazione del complotto, di tanti occulti nemici che attentano alla grandezza e virtù dell’élite al potere, ma anche la insistita convinzione di batterli con l’appoggio del popolo di forti radici autoctone; il linguaggio usato, una lingua grezza, povera, senza ipotassi e con molte paratassi ma roboante a volte, che colpisca come proiettile magico le menti, anzi l’istinto dei governati, senza farli troppo pensare ma  solo assentire.

Ora questo governo di destra estrema in Italia presenta alcuni di questi tratti, tende a restringere alcuni diritti fondamentali (sanità, scuola, lavoro), a riproporre un dualismo discriminatorio di genere, un conflitto di razze, geografico all’interno (autonomia differenziata); ha preso a mani basse il controllo della tv pubblica, attua forme di censura sia pure camuffate da pretesti maldestri (il caso Scurati, ultimo, ma anche il licenziamento o il non gradimento di diversi conduttori che sono passati ad altri canali televisivi; non dialoga, ossia non accetta il contraddittorio in qualunque forma); le comunicazioni della premier Meloni sono sempre nel chiuso di stanze ovattate e sembrano evocare in una caricatura tragica L’Eresia catara di Pirandello, sostituendo all’ignaro, idealista professore che parlava ai soprabiti dei suoi allievi senza saperlo, la protervia di chi afferma senza permettere domande ai giornalisti  e opinioni diverse ad interlocutori, evitati come la peste, vantando scelte sempre definite “epocali”. 

Non è dunque il fascismo con orbace, purghe e mascella sporgente, che non può riproporsi oggi, quello che dobbiamo temere, ma una declinazione nuova di esso, autoritaria quanto possibile in una democrazia consolidata (la riforma pasticciata del premierato ne è un esempio, la censura e le querele ad alcuni giornali) e travestita con gli accessori dell’atlantismo, della semplificazione popolaresca e ammiccante, delle promesse tanto mirabolanti quanto irreali, cose che insidiano le nostre società ed il tessuto prezioso della forma democratica. 

Allora difendiamo con tenacia la Costituzione, la Resistenza, il nostro processo di Liberazione da cui tutti veniamo come paese, l’essere attori sociali consapevoli e l’antifascismo vero come progetto politico coraggioso, quotidiano e di prospettiva, per proteggere la nostra democrazia e migliorarne la qualità!

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