LUDOVICO IV il Bavaro, imperatore in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

LUDOVICO IV il Bavaro, imperatore

Enciclopedia Italiana (1934)

LUDOVICO IV il Bavaro, imperatore

Giovanni Battista Picotti

Nato nel 1287 da Ludovico II, duca della Baviera Superiore e conte palatino del Reno, e da Matilde, figlia di Rodolfo d'Asburgo, fu, dopo la morte del padre (1294), educato alle arti politiche e militari nella corte di Vienna. Nel 1313, dopo lunghe contese col fratello maggiore Rodolfo, rivendicò la partecipazione all'eredità paterna, lasciando a lui la dignità elettorale. Contrastò a Federico d'Austria la tutela dei piccoli duchi della Baviera Inferiore e lo vinse a Gammelsdorf (9 novembre 1313). Eletto re di Germania a Francoforte (20 ottobre 1314) da cinque elettori, mentre altri tre eleggevano Federico d'Austria, poté farsi coronare ad Aquisgrana (25 novembre) e nella lunga guerra fu appoggiato soprattutto dalle città del medio e basso Reno. Costrinse Rodolfo, ridisceso in campo, a rinunziare in tutto alla Baviera e al Palatinato (1317), batté Federico a Mühldorf sull'Inn (28 settembre 1322) e lo tenne in prigionia fino al 1325; dopo la morte di Leopoldo d'Austria, fratello di Federico (1326), non ci fu più chi gli potesse contrastare il trono in Germania.

Ma papa Giovanni XXII, valendosi di un diritto tradizionale, riconosciuto dagli stessi contendenti, aveva attribuito a sé il giudizio sulla duplice elezione e il reggimento e la giurisdizione dell'impero in sede vacante, e in Italia cercava di soppiantare in tutto la potenza dei ghibellini e di ristabilire l'autorità pontificale. La nomina del conte Bertoldo di Neiffen a vicario generale in Italia (2 marzo 1323), l'aiuto prestato da questo agli scomunicati Visconti, fecero divampare una lotta, che raggiunse una violenza non mai veduta. Il papa minacciò L. di scomunica, se non lasciasse entro tre mesi il titolo regio assunto senza approvazione papale (8 ottobre 1323); L. trasportò la questione in un campo nettamente religioso: si appoggiò ai minoriti lottanti contro il pontefice per la questione della povertà (v. francescanesimo; giovanni xx11), fece sue le dottrine di Marsilio da Padova e di Giovanni di Jandun, che negavano il diritto di giurisdizione al pontefice, davano al concilio il potere di giudicare della fede, affermavano l'assoluta indipendenza dell'autorità regia, collocavano la fonte della sovranita nel popolo, sovrapponendo l'autorità dello Stato a quella della Chiesa. Scomunicato dal papa (23 marzo 1324), appellò al concilio e al vero legittimo papa, accusando "Giovanni che si diceva papa XXII", d'essere caduto nell'eresia come denigratore della dottrina evangelica della povertà (appello di Sachsenhausen, 22 maggio 1324). Il papa, in sostegno del quale si affermavano nel contrasto le estreme teorie curialiste di Agostino Trionfo e di Álvaro Pelayo, moltiplicando i processi contro Ludovico, lo dichiarò decaduto da ogni diritto all'Impero (11 luglio 1324), anzi privato dello stesso ducato di Baviera e degli altri feudi (3 aprile 1327) ed eretico, siccome assertore delle dottrine di Marsilio e di Giovanni (23 ottobre 1327); e predicò la crociata contro di lui, accordando indulgenza a chi vi prendesse parte. E L., raccogliendo intorno a sé tutti gli avversarî della persona e della dottrina di Giovanni XXII e del potere pontificale, Michele da Cesena, Bonagrazia da Bergamo, Guglielmo di Occam, dando sempre più largo favore a Marsilio, lanciò contro l'"apostatico" papa un'enciclica (febbraio-marzo 1328).

Frattanto, L. invitato dai ghibellini d'Italia, era venuto a Trento (gennaio 1327) e aveva preso a Milano la corona di re (31 maggio) per mano di due vescovi scomunicati; ma, non ben sicuro degli stessi Visconti, aveva deposto dall'ufficio di vicario Galeazzo (7 luglio), incarcerato lui, il figliuolo Azzo e i fratelli Marco e Luchino, dato alla città un reggimento nuovo con un vicario imperiale, estorto 50 mila fiorini d'oro. Così egli aveva cominciato già a scontentare i suoi stessi fautori e fatto parere alle città troppo cara la protezione imperiale. E aveva costretto ad arrendersi Pisa, ghibellina ma nemica a Castruccio Castracane ch'era con lui, e timorosa della scomunica e non vogliosa di nuova guerra con i guelfi (8 ottobre), e le aveva tolto per 200 mila fiorini; a Castruccio non aveva dato la città desiderata, bensì Lucca, Luni, Pistoia, Volterra, come duca ereditario (19 novembre).

Entrato poi in Roma (7 gennaio 1328), si fece, secondo le nuove dottrine, nominare senatore e capitano e designare alla corona imperiale dal popolo romano raccolto in Campidoglio (11 gennaio), e il 17 fu consacrato in S. Pietro da altri due vescovi scomunicati, ma ebbe la corona da Sciarra Colonna, rappresentante del popolo. E non pure promulgò decreti sulla tutela delle vedove e dei pupilli e sulla riverenza dovuta ai chierici, ma sulla fede e sull'obbligo di residenza del pontefice in Roma. Anzi, comminata pena di morte "all'eretica pravità e alla lesa maestà" (14 aprile 1328), dichiarò innanzi al popolo, raccolto davanti S. Pietro, in forza della sua autorità di ministro di Dio e col consenso del clero e del popolo di Roma, dei principi e prelati di Germania e d'Italia, deposto il "mistico anticristo Iacopo di Caorsa, che si diceva Giovanni XXII" privato di ogni prerogativa ecclesiastica, come "eretico notorio e manifesto" (18 aprile), e fece acclamare dal popolo il frate minore Pietro da Corvara come papa Niccolò V e, coronatolo (12 maggio), si fece da lui ricoronare (22 maggio). Ma a Roma, interdetta e quasi deserta di cattolici e di religiosi, Iacopo Colonna osava pubblicare innanzi a S. Marcello sul Corso, la bolla di condanna contro L. (22 aprile); il popolo aveva "mala volontà e indegnazione" per le forti gravezze e le atroci persecuzioni contro i fedeli al pontefice: Castruccio era partito e, contro il volere dell'imperatore, s'era fatto signore di Pisa; le genti di re Roberto prendevano Ostia e Anagni. L. lasciò la città col suo antipapa, mentre il popolo lanciava grida di spregio e di morte e gli faceva "la coda romana" (4 agosto); la notte stessa Roma tornava alla Chiesa. L'imperatore tentò invano di prendere Grosseto, non osò assalire Firenze, a Pisa (21 settembre) fu ricevuto con festa dai cittadini, lieti d'essere sottratti alla tirannide dei figli di Castruccio, ch'era morto poco innanzi (3 settembre), e liberò da costoro anche Lucca, ma ad ambedue impose enormi taglie. A Pisa rinnovò la sentenza contro il papa (13 dicembre 1328), che, a sua volta, ripeté il processo e la deposizione da ogni dignità (20 aprile 1329). Aveva qui conferito il vicariato di Milano ad Azzo Visconti (15 gennaio 1329); ma, lasciata Pisa (11 aprile), tentò di assalire Milano, non fidandosi del Visconti, e ne fu respinto con vergogna; poi si accordò con Azzo e lo confermò vicario (23 settembre), senz'impedire ch'egli e i Milanesi si riaccostassero al papa. Luigi Gonzaga prendeva da L. il titolo di vicario in Mantova, strappata ai Bonaccolsi (11 novembre); ma Cangrande, il maggior ghibellino della Venezia, era morto, i marchesi d'Este si riaccostavano al papa, la stessa Pisa si sottometteva a questo, ne era assolta (15 settembre) e poco dopo consegnava l'antipapa. Nel dicembre L. era a Trento, nel febbraio 1330 ripassava le Alpi.

Trovò in Germania formata una lega contro di lui e riuscì a discioglierla: al papa offrì sottomissione e chiese perdono, ma non poté smuoverlo dall'esigere ch'egli rinunziasse alla corona. Contro il re di Francia, ostacolo gravissimo a un accordo col papa, si alleò con Edoardo III d'Inghilterra (1337), nominò questo a vicario imperiale nei Paesi Bassi (1338), aizzò contro la Francia i Fiamminghi. Poi, disperando di ogni intesa col pontefice, fece dichiarare dagli elettori tedeschi, toltone il re di Boemia, nell'"unione elettorale" (Kurverein) di Rense (16 luglio 1338) che l'eletto dalla maggioranza di loro era vero e legittimo re, senza necessità di conferma papale; e nella dieta di Francoforte (8 agosto) promulgò una costituzione, in cui la dignità imperiale era detta venire immediatamente da Dio e l'eletto essere senz'altro imperatore e con un'altra costituzione diretta a tutta la cristianità dichiarava illegale la sentenza del papa, non potendo questi giudicare l'imperatore, essendo anzi soggetto egli stesso al giudizio del concilio. Il che non gl'impedì tuttavia nuovi tentativi d'intesa col papa.

Impiegò gli anni di una relativa tregua ad ampliare con fortuna i possessi della famiglia. Aveva già dal 1323 dato a uno dei suoi figlioli (v. ludovico v) il Brandeburgo, aggregò nel 1341 ai suoi dominî la Bassa Baviera, gli fece sposare Margherita Maultasch, erede dei conti del Tirolo (1342), annullando il matrimonio di lei con un figlio di Giovanni di Boemia, sposò nel 1345 Margherita, figlia del conte di Olanda, e ne ebbe in dote le contee di Olanda, di Zelanda e di Frisia. Ma si guastò così col re d'Inghilterra, diede gelosia ai principi tedeschi, e prima al re di Boemia, irritò il papa con quell'annullamento dì matrimonio. Clemente VI lo dichiarò nuovamente scomunicato (12 aprile 1343) e, dopo un altro processo, rinnovò la scomunica, incitando i principi tedeschi ad eleggere un nuovo re (13 aprile 1346). Fu eletto da cinque elettori (11 luglio) Carlo, figlio del re di Boemia (v. carlo iv). Il "re dei preti" aveva tuttavia fatto assai scarsi progressi, quando L. morì durante una caccia a Fürstenfeld presso Monaco (11 ottobre 1347).

L. fu uomo di una certa abilità militare e politica, buon reggitore del suo ducato, dove incoraggiò l'industria, il commercio, la vita cittadina, diede un nuovo sistema di leggi, favorì la cultura. Ma al suo compito altissimo gli manmrono misura e decisione. Profondamente pio, fondatore e benefattore di monasteri, accolse dottrine sovvertitrici della base stessa della fede e della disciplina cattolica; oscillò tra la sfida e la soggezione al pontefice; si guastò con gli stessi suoi fautori più caldi; volle fare dell'Impero un'investitura della plebe romana, poi ne fece uno strumento in mano dei principi tedeschi; tolse alla corona di Carlomagno, in Germania e in Italia, "l'estremo barlume del suo splendore".

Bibl.: Mon. Germ. hist., Lwgum, sectio 4ª, V e VI (1909-14), incompleto; J. F. Böhmer, Fontes rerum Germanicarum, I-IV, Stoccarda 1843-68; Böhmer-Ficker, Regesta imperii 1314-47, Innsbruck 1865, e Acta imperii selecta, Innsbruck 1870; S. Riegler, Vatikanische Urkunden zur deutschen Geschichte in der Zeit Kaiser Ludwigs des Bayern, Innsbruck 1891; A. Steinberger, Kaiser Ludwig der Bayer, Monaco 1901; R. Moeller, L. d. B. und die Kurie im Kampf um das Reich, in Eberings historische Studien, CXVI, Berlino 1914; R. Scholz, Unbekannte kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit L.s d. B., in Bibl. des preuss. histor. Instituts in Rom, X, roma 1914.

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